Inediti della Grande Guerra. Immagini dell'invasione austro-germanica in Friuli e nel Veneto orientale.

Copertina di: Inediti della grande guerraEugenio Bucciol, è stato scrittore e storico italiano, notissimo in tutta Europa, soprattutto a Vienna e in tutta l'Austria. Come storico si è occupato soprattutto della prima guerra mondiale. È stato fondatore e primo Presidente del Cedos - Centro di documentazione storica sulla Grande Guerra, con sede in San Polo di Piave.

Gustavo Corni,  è docente di Storia contemporanea presso l’Università di Trento. Si è occupato di storia comparata delle dittature e di storia sociale delle due guerre mondiali.

Angelo Schwarz, giornalista pubblicista dal 1968, è autore di fondamentali saggi sulla storia della fotogiornalismo, sulla fotografia di montagna, sugli usi, ruoli e funzioni della fotografia nella Grande Guerra. È stato professore ordinario di Tecniche e Storia della Fotografia presso l’Accademia delle Belle Arti di Venezia e presso l’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino, dove è stato nominato Professore Emerito di Fotogiornalismo.

 

Dall’Introduzione del libro:

La pubblicazione presenta un apparato fotografico quasi totalmente inedito a partire dal quale viene proposto un nuovo discorso storico-fotografico che viene fatto interagire con le indagini correnti sul modo con il quale gli invasori intesero documentare il significato della loro presenza e del loro rapporto con la popolazione italiana nell’anno di occupazione. A distanza di più di settant’anni lasciano trasparire logiche più profonde di quelle attribuibili alla routine del lavoro dei fotografi di guerra austroungarici e costituiscono un corpus che può contribuire a riesaminare il tema dei rapporti tra invasori ed invasi nel periodo dell’occupazione austroungarica.

Dalla IV di copertina:

"In queste fotografie ho visto l'altra faccia del fronte, quella che per noi era rimasta sconosciuta e di cui sempre si è poco o niente parlato. Salvo nei filò nelle stalle, sottovoce, nel tempo d'inverno tra Piave e Isonzo finché sono rimasti in vista coloro che la vissero" Mario Rigoni Stern, La Stampa.

 Veneto e Friuli nell'anno dell'occupazione: l'evacuazione forzata delle retrovie del Piave

p.40 - 44. Oltre ai profughi che riuscirono a porsi in salvo dietro le linee italiane "… vi è un altro tipo di profughi […]. Mi riferisco alle svariate decine di migliaia ("cinquantamila circa" - secondo una relazione postbellica del prefetto di Udine) di persone che abitando nella fascia prospiciente il Piave (comprendenti centri con San Donà, Oderzo, Valdobbiadene) per una profondità di circa 10 chilometri, furono fatte evacuare dalle autorità militari austro-germaniche ai primi di dicembre. […]
L'attuazione del piano di evacuazione ci è nota, almeno nelle sue linee generali, attraverso un piccolo, ma significativo carteggio […]. Con burocratica pignoleria gli uffici del comando divisionale prepararono un articolato piano di evacuazione a tappe. […]
Di fatto, le fonti di cui disponiamo ci mostrano come le modalità con cui la popolazione fu evacuata non corrisposero ai piani forgiati scrupolosamente dalla burocrazia militare. Fra l'altro, molti abitanti delle zone più vicine al fronte non attesero che l'evacuazione venisse imposta dall'alto, ma si spostarono autonomamente verso Oriente, […].
La fretta, la scarsità di carri e di mezzi di trasporto, non da ultimo le pessime condizioni atmosferiche, trasformarono
l'evacuazione dei profughi in una breve, ma dura odissea. Secondo le disposizioni emanate, ai profughi avrebbe dovuto essere consentito di portare con sè vestiti, biancheria, stovigli e pentolame, per poter riorganizzare altrove il focolare. Ma il trasporto di questi oggetti, relativamente ingombranti, presupponeva una disponibilità di cariaggo che era ben lungo dall'essere data. […]
La maggior parte dei profughi dovette perciò accontentarsi di fare un misero fagotto da trasportare in spalla per chilometri e chilometri, su strade fangose e impervie, e di notte."

 Veneto e Friuli nell'anno dell'occupazione: il trionfo della fame

p.91 "… coloro che subirono i colpi più duri furono soprattutto i profughi. Sballottati senza alcun ordine da un paese all’altro, costretti a vivere in pessime condizioni igieniche, senza casa, senza lavoro, senza un campetto da coltivare, i profughi si collocano indubbiamente al gradino più basso nella gerarchia sociale in questo periodo [1917-1918 N.d.R.]. Inoltre si ha la netta sensazione dalle fonti disponibili che anziché scattare un meccanismo di compassione e mutua assistenza da parte degli abitanti dei villaggi in cui i profughi vennero smistati, si ebbero invece reazioni negative:

'Ben lo si comprende, che il profugo non portava vantaggi, ma solo danni' - scriveva il parroco di Mosnigo, profugo, nel suo diario, e un’altra profuga scriveva: ‘Pare che ci facciano una colpa di aver abbandonato il paese, quasicché non fosse stato un ordine al quale era stato giocoforza ubbidire!’.

I profughi erano spesso visti come un elemento perturbante di una situazione già tesa e delicata; le zone in cui furono fatti affluire, la pedemontana bellunese e trevigiana, ad esempio, erano già molto scarse in quanto a risorse alimentari, percui l'immissione coatta e repentina di centinaia o migliaia di nuove bocche da sfamare peggiorava oggettivamente le cose. […]
La vicenda dei profughi, del loro arduo inserimento nel tessuto sociale di villaggi i cui abitanti ne condividevano la cultura, costumi e dialetto, testimonia quali scossoni l'eccezionale situazione dovuta all'occupazione militare abbia suscitato nella società veneta. Persino a guerra finita –come risulta da molti documenti- essi continuavano a rappresentare un fattore scomodo, di cui tutti volevano liberarsi al più presto."