La violenza contro la popolazione civile nella Grande Guerra.

bianchiBruna Bianchi insegna Storia contemporanea, Storia delle donne e questioni di genere, Storia del pensiero politico contemporaneo all'Università Ca' Foscari di Venezia. Dal giugno 2017 fa parte della Sezione italiana della Women's International League for Peace and Freedom.

Il libro raccoglie i contributi presentati in occasione di una giornata internazionale di "Studio sulla violenza contro la popolazione civile", svoltasi nel 2003 presso il Dipartimento di Studi storici dell'Università di Venezia. Agli interventi discussi al convegno sono stati aggiunti alcuni saggi dedicati a questioni come la violenza perpetrata contro le donne, esaminata attraverso il caso specifico dell'occupazione austro-germanica in Friuli e in Veneto, all'indomani della battaglia di Caporetto. Inoltre nelle sue ultime pagine, è presente una ricca appendice documentaria.

Dalla Premessa:

Questa raccolta di saggi affronta il tema della violenza contro la popolazione civile nella Grande Guerra in una pluralità di contesti, si interrogano sulla complessa interazione di cause che condussero i combattenti ad infierire sulle popolazioni nel corso delle invasioni e delle occupazioni, riscostruiscono le argomentazioni volte a giustificare la violenza che si andarono affermando nella sfera giuridica e nel pensiero militare, analizzano l'ampliamento della sfera di influenza dello stato nella vita sociale, le modalità e gli esiti della repressione, la specificità del vissuto femminile, il tema della memori individuale e collettiva.

Scritture di donne: la memoria delle profughe trentine

Donne e bimbi in fuga, 1917. (Fonte: Europeana) Donne e bimbi in fuga, 1917. (Fonte: Europeana)

p. 221: "Nella storiografia relativa alla Grande guerra si parla comunemente di 'profughi', ma sarebbe più appropriato usare il vocabolo al femminile, cioè 'profughe', in quanto furono coinvolti in maggioranza donne e bambini, e comunque furono sempre le donne nell'esodo a dover decidere, a cercare le condizioni di sopravvivenza per sé e i propri figli, a tentare di tenere unita la famiglia, a coltivare i sentimenti in modo da evitare almeno il trauma della lontananza affettiva dopo aver subito quella reale. Abbiamo scelto quindi di soffermarci su alcuni aspetti soggettivi dell'esodo nei territori trentini e dolomitici riguardanti la memoria delle donne, proprio perché questa esperienza cui furono soggette le popolazioni che vennero a trovarsi nella zona del fronte segnò profondi cambiamenti nel ruolo femminile all'interno della società, ruppe gli antichi schemi,fece nascere nuove consapevolezze, anche se temporanee in quanto nel dopoguerra ci fu un necessario rientro nei ranghi."

Profughe, 1917. (Fonte: Europeana) Profughe, 1917. (Fonte: Europeana)
Evacuazione di civili in Veneto, inverno 1918. (Fonte: Europeana) Evacuazione di civili in Veneto, inverno 1918. (Fonte: Europeana)

 

p. 223: "Se noi ci soffermiamo sui diari, troviamo in essi degli aspetti comuni, sebbene ogni persona abbia un modo tutto suo di affrontare le esperienze drammatiche, [...]. Prendiamo al momento in considerazione l'evacuazione delle popolazioni trentine verso l'Impero austro-ungarico [...]:

'La partenza dal Trentino di noi disgraziati avvenne la mattina del 24 maggio. Siamo partiti col treno, come pazzi, piangendo: c'era anche chi moriva e c'erano le donne che dovevano partorire. Siamo dovuti scappare con una camicia ed un abito. A Fortezza abbiamo ricevuto del brodo e poi per tre giorni e mezzo ci hanno trascinato attraverso l'Austria superiore. Una sera, a mezzanotte, ci fanno smontare dal treno, sfiniti dalla dissenteria e ci alloggiano in una stalla che era servita ai maiali. Quella notte non c'è stato verso di riposare: c'era chi piangeva dalla fame e chi dalla paura. Siamo rimasti lì a Praibach Kirchen tre giorni e poi ci hanno condotto in un castello maltrattandoci a più non posso. Per un po' siamo rimasti in compagnia delle mucche e dei buoi, ma poi ci hanno levati ed ogni mese ci facevano cambiare di luogo finché siamo arrivati all'accampamento di Braunau (poco a nord di Salisburgo). Nelle baracche di Braunau siamo rimasti 9 mesi e poi ci hanno condotti a Linz nel campo di internamento di Katzenau, dove abbiamo patito fame e malattie. Poi una mattina è giunto l'ordine di partire per l'Italia, ci hanno chiusi come tante bestie feroci in vagoni sigillati sorvegliati dai soldati e siamo arrivati in Svizzera e poi abbiamo proseguito per l'Italia. E così speriamo che i viaggi siano terminati.'..."

I profughi in Italia dopo Caporetto: marginalità, pregiudizio, controllo sociale

p. 259 e segg: "Fin dall'entrata dell'Italia in guerra quella dei profughi fu innanzitutto la storia di una categoria controversa, anche dal punto di vista semantico. Che cosa s'intendeva precisamente con il termine profughi di guerra, termine a volte vago ed omnicomprensivo, a volte indicante solamente coloro che erano costretti a fuggire sotto la pressione dell'invasione nemica o per disposizione delle autorità militari e a trasferirsi in località spesso molto lontane?
La distinzione, necessaria ai fini burocratici, secondo le quattro categorie di profughi, internati, rimpatriati, fuorusciti, non era infatti così immediata agli occhi dell'opinione pubblica. Non solo, ma tale distinzione non teneva nemmeno conto degli abitanti dei comuni italiani sgombrati per necessità militare da parte del Comando supremo. Del resto, la circostanza che già durante i primi mesi di guerra vi fossero in Italia migliaia di civili profughi, a dispetto della propaganda avrebbe dovuto passare inosservata e per quanto possibile essere taciuta a livello ufficiale
[...].

Profughi in fuga dalla zone dei combattimenti. (Fonte: Europeana) Profughi in fuga dalla zone dei combattimenti. (Fonte: Europeana)

Dopo la Strafexpedition il Governo italiano si rese finalmente conto che i profughi non costituivano solo un problema di pubblica sicurezza, come avveniva dall'inizio della guerra, quanto una questione di assistenza materiale da risolvere attraverso il coinvolgimento, per esempio, dei Comuni. [...] La questione dei profughi acquistò ovviamente un rilievo del tutto diverso dopo Caporetto, quando quasi 250.000 civili del Fiuli e delle provincie venete occupate e almeno altrettanti da città come Padova, Treviso, Vicenza e Venezia, si riversarono nelle altre regioni d'Italia.
L'imponenza dell'esodo che avvenne in gran parte tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre del '17, la vastità della cosiddetta 'Caporetto interna', anche se non riconosciuta come tale [...] costrinsero il governo Orlando ad istituire un Alto commissariato per i profughi di guerra presieduto da Luigi Luzzatti. [...] Nonostante l'istituzione dell'Alto commissarito, anche dopo Caporetto la questione dei profughi di guerra continuò ad essere una prerogativa quasi esclusiva del Ministero dell'Interno. Le misure di controllo sociale adottate dal governo Orlando durante l'ultimo anno di guerra, riguardavano ovviamente anche i profughi che, al di là delle rappresentazioni patriottiche, costituivano un enorme problema di ordine pubblico. [...]."