La salute pubblica in Italia durante e dopo la guerra

Giorgio Mortara (fonte: Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Giorgio_Mortara) Giorgio Mortara (fonte: Wikipedia)

Giorgio Mortara (Mantova, 4 aprile 1885 – Rio de Janeiro, 30 marzo 1967)

Eclettico economista e statistico, fu convinto interventista nel 1915, ma a causa di una semi-sordità provocata da un'otite contratta durante il servizio di leva, non venne mobilitato. Riuscì tuttavia a farsi richiamare nel 1916 e ad essere assegnato al Comando supremo.
Durante la ritirata di Caporetto (novembre 1917) fu decorato con la croce di guerra al valor militare.
"Come accadde a molti intellettuali italiani, l'esperienza bellica influenzò la sua attività rafforzando – in ambito demografico – il nesso fra ricerca e tematiche nazionalistiche" (Marco Magnani, Mortara, Giorgio in Dizionario Biografico degli Italiani, 77, Roma, Treccani, 2012).

 

Nel suo libro La salute pubblica in Italia durante e dopo la guerra affronta proprio il periodo storico della Prima Guerra Mondiale. Oltre a presentare numerose statistiche sui principali indicatori demografici (mortalità, morbosità, natalità, ecc.) riporta le drammatiche conclusioni delle Relazioni redatte dalla Reale Commissione d'Inchiesta sulle condizioni di vita della popolazione.

La grande fame

Sono molti gli episodi legati all' "affamamento delle popolazioni" (pag. 93), come la definì la Reale Commissione d'Inchiesta, cioè la fame, causa primaria dell'altissima mortalità nel Veneto invaso.
"All'inizio dell'estate 1918 la situazione era così disperata che si ammise lo scambio di genere alimentari (fino allora proibito per ragioni di polizia e nell'interesse di un'amministrazione razionale dei generi alimentari) tra la popolazione ed i territori bisognosi. La popolazione offriva formaggi, burro, aceto, tela e perfino vestiti e gioielli quali generi di scambio per avere il granturco. Il provvedimento si risolse in un'atroce beffa a danno delle popolazioni affamate. Riferisce la Commissione d'Inchiesta: " Migliaia di donne, fanciulli e vecchi fecero a piedi parecchie giornate di strada, scendendo dalle valli alpine alla piana, per procurarsi un sacco di farina. Le gendarmerie locali però seppero trovare ancora un'occasione per derubare la popolazione, reduce da centinaia di chilometri, del prezioso carico. In alcuni luoghi la gendarmeria aveva l'ordine di sequestrare il carico e di arrestare le persone, in altri posti invece di impedire il passaggio sui ponti. La Commissione ha le prove di due casi in cui povere donne, derubate violentemente della farina in circostanze simili dalla gendarmeria, caddero in tale stato di disperazione da precipitarsi nel fiume vicino" (pag. 98)
"Se pessime erano le condizioni per le popolazioni rimaste nei loro paesi addirittura intollerabili erano quelle delle popolazioni profughe ". (...) "i rapporti provenienti dai paesi dove essi avevano trovato ricovero sono concordi nel dipingere l'estrema indigenza." (...) " I cittadini di Pedavena dichiarano che i profughi 'vennero abbandonati, privi di tutto com'erano, senza ricevere alcun aiuto, tanto che per vivere furono costretti ad andare elemosinando di paese in paese'. "(pag.99)
"Il direttore dell'ospedale civile di Belluno attesta che nei mesi di aprile, maggio, giugno e luglio 1918 le condizioni alimentari della popolazione erano indescrivibilmente penose. La fame aveva indotto le persone a mangiare perfino l'erba-spagna ed altre erbe commestibile soltanto per le bestie. Le gastriti e l'idroemia si diffusero rapidamente soprattutto fra i vecchi e i bambini. Dal suo diario, lo stesso medico stralcia questa annotazione in data 24 luglio 1918: Si è fatto per la cucina del pane che rassomiglia a paglia pesta. All'ambulatorio ogni giorno più vi è affluenza di gente… Tutti soffrono la fame. Grandi disturbi viscerali in causa delle erbe che si mangiano. Tutti i bambini hanno la diarrea. Vecchi profughi arrivano all'ospedale quasi morti. Si legge in tutti la sofferenza e la fame. Molti assomigliano a spettri senza voce e senza forza di camminare. Tutti sono gonfi alle gambe per la grave idroemia". (pag. 100)
Il sindaco di Cencenighe, in provincia di Belluno, dichiarò : "Per effetto delle requisizioni e spogliazioni praticate dall'esercito nemico, la popolazione rimase quasi totalmente priva di generi alimentari, tanto da essere costretta per vivere a cibarsi per oltre quattro mesi (estate 1918), quasi esclusivamente di erbe". (pag. 101)
A Forni di Sopra, in provincia di Udine, la fame giunse a tal punto che moltissime famiglie, per non morir di fame, dovettero far macinare i torsoli delle pannocchie di granturco, i gusci dei fagioli e delle fave, e perfino le canne di granturco (pag. 102).
Anche tra i militari reclusi nei campi di concentramento l'insufficienza del vitto concesso era fortemente aggravata dalla disonestà dei preposti ai campi di concentramento, i quali rubavano una parte delle somme destinate all'acquisto dei viveri o una parte dei viveri forniti in natura. Imbestialiti dalla fame, i prigionieri erano costretti a frugare nelle immondizie e nei letamai in cerca di residui alimentari, a contendersi i rifiuti dei pasti di animali domestici, a mendicare gli avanzi del rancio di prigionieri d'altra nazionalità meno crudelmente affamati dal nemico, ad ingoiare erbe non commestibili, terriccio, sassolini, per calmare gli stimoli della fame. "(...) Gli invalidi restituiti prima dell'armistizio pesavano in media meno di 40 chilogrammi" (pag.53).

I bombardamenti aerei

L'analisi delle cause di mortalità descritte da Mortara include un quadro dettagliato dei decessi per bombardamenti subiti. L'autore allega una carta raffigurante Venezia e i punti dove furono sganciate le bombe dagli aeroplani austriaci e tedeschi dal 24 Maggio 1915 al 15 Agosto 1918 (pag. 62).

Bombe lanciate su Venezia dal 24 maggio 1915 al 15 agosto 1918
Bombe lanciate su Venezia dal 24 maggio 1915 al 15 agosto 1918 (pag.62)


Di seguito, in un'altra tabella, riporta il numero di morti e feriti per bombardamenti aerei nei singoli centri colpiti (p.64-66).


Morti per bombardamenti aerei


I profughi

Altri episodi drammatici sono quelli legati alle deportazioni della popolazione civile.
A pag. 89 si racconta dello sgombero della striscia di 6 chilometri sulla sinistra del Piave, che causò un brusco allontanamento di 35-40.000 persone dalle loro case. L'evacuazione fu eseguita senza preavviso e senza preventivi provvedimenti per gli alloggi nei luoghi di destinazione. I ritrosi vennero trasportati su carri, famiglie intere con vecchi e bambini vennero abbandonate sulla strada in mezzo alla neve. La responsabilità della sistemazione e del vettovagliamento venne scaricata sui comuni a cui i profughi evacuati venivano avviati. Le case dei profughi furono aperte al saccheggio delle truppe. Le coperte furono disperse nei campi militari e nelle trincee, il mobilio fu bruciato per riscaldamento, le scorte alimentari furono rubate.
A pag 90 si cita la Relazione della Reale Commissione d'inchiesta a proposito della deportazione di circa 16.000 cittadini italiani in Austria. Questi, tutti uomini dai 14 ai 70 anni, furono internati per vari mesi in campi di concentramento in condizioni igieniche, sanitarie, alimentari, non immaginabili.

La drammaticità di questi racconti ci lascia oggi, come allora, increduli di fronte alle sofferenze subite dai "figli di una storia minore" nel quadro della Grande Guerra. Lo stesso Mortara a pag. 103 dichiara: "Crediamo che i brani, scelti tra i moltissimi che avremmo potuto riportare, siano più che sufficienti a rendere credibili quei saggi di mortalità, che forse altrimenti il lettore sarebbe stato propenso a giudicare inverosimili."