Caporetto. Storia, Testimonianze, Itinerari. Il ritorno dei profughi sloveni, la fuga dei profughi italiani.

Camillo Pavan

Camillo Pavan, libero ricercatore, scrittore ed editore in proprio ha pubblicato vari lavori dedicati alla Grande Guerra. Da anni si occupa di storia locale e cultura popolare con grande rigore e partecipazione senza mai cadere nel provincialismo nostalgico che spesso connota questi studi in ambito regionale. Le sue ricerche, infatti, sono mosse innanzitutto da una grande curiosità per le persone che incontra, che fa parlare attraverso i documenti o la loro viva voce, e da una notevole capacità di scovare le 'fonti', anche attraverso canali poco fequentati dagli studiosi ufficiali. (Recensione di A. Casellato - Notiziario bibliografico della Regione Veneto, 05/09/2004).

Dalla IV di copertina del libro:

Dopo la battaglia il fronte si sposta verso l'Italia con rapidità sorprendente: è la disfatta italiana, o il miracolo austro-tedesco a seconda dei punti di vista. Ne approfittano per tornare a casa i profughi dei villaggi sloveni che per due anni e mezzo erano stati al centro della guerra. Non importa se ad aspettarli sono campi incolti e devastati, case diroccate, terreni disseminati dai resti insidiosi e mortali della prima guerra tecnologica e di massa dell'umanità. Basta solo poter tornare a casa. Ma al ritorno della popolazione civile del fronte dell'Isonzo si contrappone l'esodo di massa di quella del Friuli e del Veneto, che vede incredula passare la fiumana dell'esercito in rotta, al quale non resta che aggregarsi, nonostante i maldestri proclami delle autorità, che invitano alla calma.

La valanga si è messa in moto

I profughi, (Fonte: Il Mondo in Guerra, Prima guerra mondiale, Selezione R.D.) I profughi, (Fonte: Il Mondo in Guerra, Prima guerra mondiale, Selezione R.D.)

p. 164 Per tutto il primo giorno della battaglia la situazione sul campo è assolutamente fuori controllo delle autorità militari. Altrettanto si può dire per la popolazione civile: dagli uffici del Segretariato generale per gli Affari civili a Udine non esce alcuna direttiva. Si assiste all'evolversi dell'offensiva in quell'atmosfera sospesa fra sicurezza, speranza e incredulità ben descritta dal diario di Gatti per gli attigui uffici del Comando supremo. Al mattino del secondo giorno di battaglia la situazione appare comunque chiara per tutti. Ad iniziare da chi è mandato controcorrente a tentar di arginare la rotta.

'Avevano assistito per tante ore della notte all'esodo della popolazione e dei compagni, avevano ancora negli occhi visioni di spavento e di miseria. Ora la strada appariva abbandonata. Le figure di quelli che ripiegavano erano scomparse con la notte'.

Così Walframo di Spilimbergo ricorda la situazione di Stupizza all'alba di giovedì 25 ottobre. In quel tratto di strada dell'alta val Natisone, primo lembo di terra italiana, tuttto si è già concluso nelle ventiquattro ore precedenti. Chi è riuscito a fuggire è fuggito, fra i soldati, e chi ha voluto partire è partito, fra i civili.
La valanga si è messa in moto, e staccatasi dai paesini di montagna della Slavia Veneta sta ormai rotolando, ingrossandosi metro dopo metro verso il fondovalle, verso Cividale e la pianura friulana

Un esempio di dimenticanza storiografica

p.235: "…fronte italo-austriaco, che vide il susseguirsi di varie ondate di profughi culminate in quella più drammatica, causata dalla rotta di Caporetto. Drammatica anche perché, a differenza delle precedenti ondate (scoppio della guerra nel '15, Strafexpedition e presa di Gorizia nel '16, Bainsizza nel '17), che avvennero tutte con la buona stagione, questa volta la fuga verso l'ignoto coincise con piovose e sempre più corte giornate d'autunno avanzato, in un clima di panico che coinvolgeva non solo le popolazioni civili interessate, ma anche i militari e l'intera struttura nazionale. […]
Per lungo tempo in Italia la questione dei profughi della Grande Guerra è stata 'un esempio di dimenticanza storiografica', come la definì Gustavo Corni, […].
Corni indicava come causa principale di questa dimenticanza 'l'entusiasmo della vittoria, cui dopo pochi anni fece seguito l'avvento al potere del fascismo', che contribuirono

ad annegare nel mare del più mieloso patriottismo un tema per molti versi scomodo e scabroso' e comunque 'poco piegabile in senso meramente celebrativo."

I profughi sloveni in Italia

p.249-250: "L'evacuazione della popolazione slovena ed il suo trasferimento in Italia furono disposti dalle autorità militari italiane per presunte ragioni di sicurezza e precisamente nell'arco di 500 metri dalla zona di operazioni militari. L'esodo verso l'Italia si snodava in tre fasi: l'evacuazione, le stazioni di sosta e l'arrivo a destinazione. Ad essi corrisposero diversi tipi di provvedimenti. L'impostazione di fondo della movimentazione dei profughi fu assicurata dall'apposito Servizio per profughi, internati ed evacuati. Di norma la popolazione avrebbe dovuto essere informata in anticipo dell'evacuazione, affinchè potesse sistemare le proprie vettovaglie ed i propri beni mentre gli anziani e gli ammalati avrebbero dovuto essere trasportati ai più vicini nosocomi. Stando alle disposizioni del Segretariato generale, gli evacuati avrebbero dovuto trovare alloggio nelle località vicine, dove sarebbero stati censiti assieme ai propri beni. Da tali località i profughi avrebbero dovuto ragiungere, in gruppi composti da famiglie, i campi profughi ossia le stazioni di sosta. Sennonchè l'evacuazione si svolse in fretta e furia ed in particolare senza nessun preavviso. Il Segretariato generale istituì un apposito Servizio profughi e rimpatriati il quale eseguì nel settembre 1915 il censimento degli 'esodati' in Italia. Essi furono distribuiti in quattro categorie: profughi, internati, rimpatriati e fuoriusciti. Gli sloveni ricaddero nelle categorie dei profughi e degli internati. [...] A subire l'internamento fu quella fetta di popolazione che costituiva il nerbo dell'autorità spirituale e politica delle comunità. [...] Tutti questi provvedimenti gettano un'ombra di sospetto sulle ragioni di sicurezza addotte a giustificazione dell'evacuazione dei villaggi sloveni e lasciano intendere che essa fosse dettata anche da motivi politici. I profughi avrebbero dovuto raggiungere le stazioni di sosta su convogli ferroviari dotati di misure di disinfezione poichè provenienti da aree infestate da malattie contagiose, sia a causa delle particolari condizioni di vita innescate dall'occupazione sia a causa dei militari austriaci reduci dal fronte russo. A Udine e a Palmanova i profughi venivano di conseguenza vaccinati dontro il colera e la dissenteria. Il soggiorno nelle stazioni di sosta non avrebbe dovuto superare i sei giorni necessari alla vaccinazione. I profughi venivano quindi instradati in gruppi ai luoghi di destinazione in diverse città italiane dove venivano affidati alle competenze del ministero deli interni. I profughi sloveni subirono l'evacuazione da tre aree lungo il versante occidentale della linea del fronte e cioè dal Collio goriziano, da Canale e dintorni e da Kambresko; vale a dire dall'area confinaria compresa tra i fiumi Iudrio/Idrija ed Isonzo, nonchè dall'altra valle dell'Isonzo."