Al di qua e al di là del Piave. L'ultimo anno della Grande Guerra.

Al di qua e al di là del PiaveGiampietro Berti è stato professore ordinario di Storia dei partiti politici e di Storia Contemporanea nonchè Direttore del Centro per la Storia dell'Università di Padova.
Piero Del Negro, professore emerito di Storia militare dell'Università di Padova, è stato anche presidente del Centro interuniversitario di studi e ricerche storico militari e rappresentante dell'Italia nella Commissione internazionale di storia militare.

Il libro raccoglie gli Atti del Convegno internazionale di studi dedicato a L'ultimo anno della Grande Guerra , che si tenne dal 25 al 28 maggio 2000 presso il Museo Civico di Bassano del Grappa. Vengono analizzati gli eventi del nostro paese, ma non solo, dopo la rotta di Caporetto, quando il fronte si stabilizzò sulla linea del Piave.

Dalla IV di copertina del libro:

La ricerca approfondisce lo studio in particolare dodici mesi che separarono il novembre 1917 dal novembre 1918, quando l'arretramento del fronte dall'Isonzo al Piave trasformò i territori dell'Altopiano di Asiago e del massiccio del Grappa nella parte più esposta del fronte nord-orientale italiano. I diversi aspetti della guerra, dal quadro internazionale agli aspetti più propriamente militari, dal suo impatto sull'Italia alle modalità e conseguenze della vittoria del 1918, vengono affrontati nella convinzione che il loro contrapporsi ed intersecarsi possa restituire la complessità di quel conflitto.

Dopo l'invasione: il dramma degli invasi e il trionfo della fame

(da p. 462 e seguenti)
"Le gravi difficoltà di spostamento furono ulteriormente aggravate dalle severe disposizioni limitative del movimento delle persone all'interno del territorio invaso, o - per le popolazioni dolomitiche - verso l'interno della monarchia asburgica. Perciò, le possibilità di recarsi verso le zono più fertili della pianura, nelle quali esisteva una certa disponibilità di derrate alimentari, erano molto ridotte. Tuttavia le fonti attestano incessanti spostamenti; scrive un testimone oculare [...]: 'Molta gente di Zoldo e Cadore con slitte su carrette e con gerli ed altro cominciarono subito dopo a fare la spoletta dai loro paesi per la Clautana e Valcellina alla pianura, spingendosi quasi fino al mare per acquistare grano' [...] ."

Le donne

Requisizione di formaggio a Dogna, 1917. (Fonte: Europeana) Requisizione di formaggio a Dogna, 1917. (Fonte: Europeana)

"Protagoniste di questo calvario erano in primo luogo le donne, alle quali incombette per tutto quell'anno l'onere di procacciare il cibo e di far funzionare in qualche modo la società veneto-fiulana. I diari e i documenti d'archivio sono ricchi di toccanti descrizioni di donne che, dopo aver ottenuto a fatica il lasciapassare, magari in cambio di qualche oggetto prezioso rimasto in loro possesso, e dopo essere altrettanto faticosamente riuscite a raggiungere zone più floride, sulla strada del ritorno con il loro sudato sacco di grano [...] venivano fermate e il grano sequestrato da qualche pattuglia particolarmente vorace o da ufficiali non disposti a riconoscere il lasciapassare [...]."

I profughi

"...Comunque, tra tutti, coloro che subirono i colpi più duri furono soprattutto i profughi. Sballottati da un paese all'altro, costretti a vivere in pessime condizioni igieniche, senza casa, senza lavoro, senza un campo da coltivare, i profughi si collocano indubbiamente al gradino più basso della gerarchia sociale in questo periodo. Leggiamo due testimonianze 'ufficiali', da parte dei sindaci provvisori di Feltre e di Belluno. Il primo relaziona, a guerra finita:

'Se si pensa che attraverso la città passarono quasi tutti gli abitanti di Alano, Schievenin, Vas, Quero e Val Seren... e cioè migliaia e migliaia e che la massima parte di essi, alloggiatisi in città, preferivano naturalmente restarvi, mentre in essa gli alimenti erano quasi esauriti, non è da meravigliarsi se i cittadini ne desiderassero l'allontanamento.'

Un anno prima, nella fase iniziale dell'occupazione, il sindaco provvisiorio di Belluno scriveva un po' sibillinamente:

'Siccome tra costoro sonvi degli elementi che offrono qualche sospetto, sembra opportuno che ai detti profughi in generale sia dato permesso ed eventualmente ordine di ritornare ai propri paesi'.

Un drammatico passo di una memoria, scritta in rozzo italiano da un profugo nel Feltrino, ci offre uno squarcio su come la vicenda dell'occupazione venne vissuta da questi sventurati:

'E passo per le case col bereto inmano ogni casa il paternoster come si deve e infine ne ò trovati sette pezzetti abbastanza grandi (di polenta, NdA) e cercavo di metterne da una parte ma non era buono la cena la fontana o mangiato o bevuto e o detto - Signore io farei la firma col sangue delle mie vene di poter aver polenta secca.'

La vicenda dei profughi, del loro arduo inserimento nel tessuto sociale dei villaggi i cui abitanti ne condividevano la cultura, costumi e dialetto, testimonia quali scossoni l'eccezionale situazione dovuta all'occupazione militare abbia suscitato nella società veneta. Persino a guerra finita – come risulta da molti documenti- essi continuavano a rappresentare un fattore scomodo."