Il lungo racconto di Giuseppe Del Bianco

Giuseppe Del Bianco (fonte: Dizionario biografico dei friulani) Giuseppe Del Bianco (fonte: Dizionario biografico dei friulani)

Giuseppe Del Bianco (1892–1954) editore, giornalista e intellettuale appassionato di storia e cultura locale, dedicò gli anni e le energie migliori della sua vita a quest'opera monumentale. Da storico non professionista, a partire dagli anni Venti percorre in lungo e in largo i paesi del Friuli e della Carnia toccati dalla guerra. Ovunque raccoglie racconti di testimoni oculari su eventi e persone legati al conflitto; annota dalla viva voce dei protagonisti, dei loro parenti e dei loro vicini la narrazione di episodi singoli e collettivi, spesso oscuri e inediti.
" .... ama intrattenersi con gli umili e i semplici popolani, che il più delle volte sono i suoi informatori. Più che dagli aridi documenti ufficiali, egli è attratto dalla voce della tradizione, che intende raccogliere e tramandare alle generazioni che non videro la guerra, ma che di questa porteranno ancora per molti anni il segno (Comelli 1992, p. 33)

La fase preparatoria, la raccolta del materiale in archivi pubblici e privati, la consultazione di diari editi e inediti, il confronto con gli atti e le relazioni ufficiali e il vastissimo corredo bibliografico e fotografico sull'argomento richiedono anni di paziente lavoro. Il risultato è un'opera imponente che getta una luce tutta umana sugli avvenimenti della Grande Guerra, raccontata attraverso l'intreccio di innumerevoli micro-storie. Un'autentica miniera di informazioni che, pur con tutti i suoi limiti, può stimolare gli storici contemporanei a riscrivere certi episodi vissuti nel Friuli travolto dalla guerra.



Dal volume n° 2

 

Gli ultimi profughi da Pontebba

Interi paesi al confine con l'Impero austro-ungarico vengono sgomberati per timore di collaborazionismo con gli austriaci (pp. 26-29)

"Ai primi di maggio erasi insediato a Moggio il comandante della divisione militare che occupava il settore Val Fella, generale Bozzani. Verificatesi alcune interruzioni di fili telefonici lungo la Valle Aupa, si ritenne a torto che la popolazione li avesse tagliati per atto di sabotaggio e con misura draconiana (...) l'autorità militare impose l'immediato sgombero da parte dei civili degli abitati di Bevorchians, Dordolla, Grauzaria, Monticello, Riolada, Pradis e Chiaranda per cui oltre mille profughi affluirono in Moggio, avversati e trattati male (non però dalla popolazione) perchè vennero tacciati di traditori (...)".

Altri sgomberi aumentano vertiginosamento il numero dei profughi e degli internati. "Questa povera gente (...) ha dovuto sgomberare subito senza essere preavvisata e senza avere i mezzi di farsi trasportare la mobilia e le vesti, le quali furono perdute e le case pure devastate. Capitarono pure a San Pietro al Natisone, sui carri del governo, gli abitanti di Serpenizza e Ternova con i loro preti senza portare con sè nulla, tranne gli animali, per andare il Liguria".

"Gli abitandi di Dresenza (a seguito di un attentato contro il generale Etna) dovettero sgomberare con le loro masserizie ai primi di giugno 1915 e furono avviati a Bergogna, quindi alcuni mesi dopo in provincia di Avellino (...). E un altro abitante di Dresenza, certo Somone Koren di anni 65, sospettato di spionaggio, veniva fucilato il 13 giugno 1915. Il Koren, sordomuto, viveva in una malga sul rovescio del Poulinich, di fronte alla Catena del Monte Nero, e fu trovato egli solo di borghese a vagare per questi greppi, quando tutto intorno infuriava la guerra, e già i paesi della conca erano stati sgombrati. Fu sepolto nel cimitero di Dresenza, e sulla sua fossa fu posta con la croce una targa, ove si leggeva fino a qualche anno fa fucilato per spionaggio".

"Non si potè mai sapere il numero degli internati, sparsi per tutta l'Italia, le isole comprese: il Governo non volle mail lasciarne pubblicare il numero: ma da calcoli approssimativi che risalgono al luglio-agosto del 1915, se ne faceva ascendere la cifra ad oltre settantamila ("Giustizia durante e dopo la guerra" - Giacomo Soravito de Franceschi). Ben presto il loro numero andò diminuendo, poichè molti - e di qualche provincia come Padova, tutti - furono rimandati alle loro case.

Firenze era il luogo di concentramento, e parecchi vi sono rimasti. La grande maggioranza che si sentiva colpita ingiustamente inviò - all'apertura della Camera dei Deputati, il 26 novembre 1915 - una commissione allo scopo di consegnare personalmente al maggior numero possibile di deputati la seguente:

DOMANDA COLLETTIVA DI ESSERE PROCESSATI

La calunnia, arma dei tristi, ha indotto la militare autorità a prendere una severa, quanto immediata disposizione nei nostri confronti. Strappati alla famiglia, ai campi, al cantiere e agli affari, senza che fosse vagliato il fine ed avvalorata la paternità delle accuse, fummo parte internati a Firenze, parte altrove, nè fino ad oggi alcuno è insorto allo scopo di considerare la opprimente situazione nostra, lo schianto intimo procuratoci e il danno materiale che da un tale provvedimento scende pel presente e si ripercuoterà sul futuro.

La legge apre a tutti i delinquenti le porte dei templi della giustizia. Riteneteci tali e schiudetene i battenti anche per noi, l'istruzione di un processo sia la benvenuta, ci venga accordato il confronto con i delatori; emerga così finalmente la nostra innocenza e si giunga al parallelo tra denunciato e denunciatore (...)".

 

L'arciduchessa Maria Giuseppina di Sassonia visita i profughi friulani a Wagna

Sui friulani del campo profughi di Wagna (pp. 368-369)

"Dopo la morte dell'imperatore Francesco Giuseppe nel novembre del 1916, l'arciduchessa Maria Gioseffa, madre di Carlo I, si affrettò pochi giorni dopo a ringraziare caldamente la rappresentanza provinciale e i profughi friulani raccolti nei campi di Wagna, i quali pure si erano senza indugio volti a giurare fedeltà, amore, ubbidienza.

Sire - diceva un loro indirizzo - per rimanere fedeli alla Casa d'Asburgo abbiamo perduto tutto, Patria, averi, case, parenti, amici e siamo costretti a vivere raminghi in mezzo a gente d'altra lingua, in mezzo a popoli che poco sinora ci conobbero e che ci chiamano forestieri. Per quei pochi dei nostri che rinnegarono i più sacrosanti doveri, siamo esposti anche noi alla calunnia, al sarcasmo, al disprezzo, anche noi che giustamente possiamo chiamarci traditi, ma non traditori.

Sire, quando correva voce che noi saremmo stati divisi dalla Vostra Casa e consegnati ad altri, nessuno accolse con giubilo una tal nuova, ma sibbene con sentito rammarico e con una forzata rassegnazione".


Il campo profughi di Wagna (fonte: La guerra e il Friuli) Il campo profughi di Wagna (fonte: La guerra e il Friuli)

Nota sul campo di Wagna, dove l'Austria aveva accampato i profughi friulani e istriani (p. 371)

"Complessivamente erano state costruite 120 baracche di legno, delle quali certune potevano ospitare fino a 200 persone. Ogni baracca era a due piani e l'interno era suddiviso da tavolati che separavano le singole famiglie. In un secondo tempo furono anche fabbricate ville in muratura ognuna con otto quartierini. Le cucine, in numero di 22, preparavano il cibo in comune ed ognuna poteva soddisfare a mille persone. Per dormire erano stati disposti pagliericci sul pavimento e si fecero eccezioni solamente per personalità, alle quali vennero concessi lettucci in ferro.

In ampi magazzini erano depositati viveri per tutta la città, che conteneva 22 mila abitanti. Merita anche ricordare la pistoria che in due giganteschi forni arrostiva ogni giorno circa 9 mila chili di pane.

Una cura speciale dimostrava la direzione per gli ammalati. Nella città di legno vi erano quindici ospedali, con oltre duemila letti, divisi a seconda delle malattie. Vi erano poi tre grandi locali per i bagni a doccia calda e fredda, i quali davano la possibilità a 2500 persone di lavarsi ogni giorno. C'era inoltre uno stabilimento per la disinfestazione dei vestiti, della biancheria ed una grande lavanderia con asiugatoio (...)

L'arciduchessa Maria Gioseffa volle avvicinarsi anche ai più miseri che si trovavano tra i fuggiaschi: agli orfanelli raccolti nella baracca 89. A piano terra di quella baracca si trovavano i fanciulli abbandonati di Gorizia, ed al primo piano una trentina di fanciulli e fanciulle pure abbandonati di Pola".


Gruppo di dame infermiere udinesi

Nota sul servizio di assistenza ai profughi nel Regno d'Italia, prima di Caporetto (pp. 375-76)

"Tale servizio si proponeva il disciplinamento dell'esodo delle popolazioni dai paesi di cui era stato ordinato lo sgombero, l'avviamento dei profughi al luogo di destinazione nel Regno, la tutela degli interessi loro nelle zone di guerra (...)

Nel primo momento, preavvisata la popolazione affinchè potesse dare assetto alle cose proprie, fatti trasportare con acconci mezzi i vecchi e i malati negli istituti di ricovero viciniori, acquistati dalle autorità militari i foraggi, le derrate, il bestiame che avrebbe dovuto altrimenti rimanere sul luogo, i profughi col sommario corredo di cui erano forniti venivano accantonati in località prossime a quelle sgombrate e dette di prima raccolta; sottoposti ivi ad una rapida recensione, di cui si dava atto in apposito elenco, venivano fatti proseguire in gruppi regolari - le cui unità erano formate da intere famiglie - per i predisposti luoghi di concentramento o stazioni di sosta.

Qui (secondo momento) eseguito il controllo degli arrivati, essi trovavano ricovero, ristoro, trattamento igienico e sanitario fino a quando opportunamente vettovagliati non fossero stati avviati nell'interno del Regno, al Comune di destinazione designato dal Ministero dell'Interno.

L'avviamento, in conformità delle direttive del segretario generale che prendeva accordi con le autorità ferroviarie e le altre autorità competenti, si effettuava con treni speciali, avendo cura di dividere per gruppi in base alle unità famigliari i parenti, ed assegnando a ciascuno di essi per capo gruppo una persona di fiducia dei profughi medesimi, affinchè potesse lungo il viaggio mantenere i necessari contatti colle autorità e i preposti al servizio di ogni treno. Appositi carro-bagaglio trasportavano il corredo dei profughi, contrassegnato col nome e l'indirizzo del proprietario.

All'arrivo a destinazione (terzo momento) l'opera del segretario generale cessava e subentrava quella del Ministero dell'Interno e delle Prefetture, le quali provvedevano al collocamento, alla sistemazione e all'assistenza ulteriore".

 

Dal volume n° 3

 

L'esodo da Udine dopo Caporetto (pp. 271-272)

"Nell'interno della stazione, sulle banchine e tra i binari, giacevano a terra ammalati fuggiti dagli ospedali, taluni senza cappello e senza scarpe, tal'altri mezzo vestiti, con una sola coperta sulle spalle, e frammisti alla moltitudine di profughi e di soldati si aggiravano i bambini del brefotrofio e di altri istituti di carità, i cui pianti e i cui strilli accrescevano fuor di misura la pena.

Soldati e borghesi, uomini e donne, vecchi e fanciulli, quali carichi di valigie e di sacchi ripieni, quali con pargoli in braccio si agitavano a fatica tra quella moltitudine di afflitti e ognuno badava a salire sui treni che via via venivano predisposti, e ognuno tentava di aggrapparsi a qualche sporgenza delle vetture già cariche, quando i treni incominciavano a muoversi. Continuo il chiamarsi, continuo il cercarsi affannoso nella penombra di quella tragica sera che calava rapidamente, tra il balenare sinistro di luci improvvise e il rombare di scoppi che sembravano avvicinarsi (...)

(...) Si dovette attendere fino alle 17, quando per ordine del prefetto fu disposto un treno per il brefotrofio. Nonostante i divieti, molti profughi vi salirono e in un momento le vetture furono così affollate che i bambini si ridussero ad essere uno sull'altro ammonticchiati come fastelli in catasta. Il treno pesante soverchio andava lento, lento, ed anche le fermate erano frequenti. Durante il percorso e nelle fermate di Treviso e di Padova morirono otto bambini tra i più gracili e malaticci. Nel trambusto della partenza non si potè effettuare il trasporto di registri o di carte in genere che si riferivano ai ricoverati e alla amministrazione, per cui tutto andò distrutto.

 

Stazione ferroviaria di Udine (fonte: CEDOS) Stazione ferroviaria di Udine (fonte: CEDOS)

Finiti i treni, si scappa da Udine con ogni mezzo (pp. 322-326)

"La moltitudine continuava nel frattempo a defluire senza sosta, e senza sosta continuava a capitare da tutte le parti sul piazzale. Chi a piedi, chi in bicicletta, chi affastellato sui carri, tutti cercavano nella fuga disordinata di allontanarsi al più presto, e vedevi una processione di migliaia e migliaia di civili, vecchi e giovani, donne e bambini, con fagotti, con sacchi, con valigie, le volte spingendo, le volte trascinando carri e carrette; e donne vedevi curve sotto il peso dei fardelli, ed altre con bimbi seminudi, piangenti tra le braccia; e malati trasportati con portantina, e malati numerosissimi distesi su qualche carro, penzolanti le povere teste rovesciate, le gambe stecchite, le mani cadaveriche, ed altri ancora vedevi sfiniti abbandonarsi al margine della via; e feriti che a malapena si trascinavano sulle stampelle; e pioggia, e vento, e fango; e rombare di cannoni lontani (...)

L'onda dei fuggiaschi con il trascorerre del tempo, anzichè diminuire, andava crescendo di minuto in minuto, e sempre con maggior irruenza, e sempre con maggior orrore, perchè gli ultimi a sopraggiungere o erano i più deboli, coloro cioè che si erano attardati per le condizioni malferme di salute o per la cadente età, o erano i più malvagi che la bramosia di saccheggio aveva trattenuto tra le case abbandonate e che, senza alcun ritegno di fronte all'immensa sciagura, commettevano atti di impunita rapina.

Poco lontano dal punto ove il viale del Camposanto si distacca dalla via nazionale, giaceva esanime uno degli ammalati usciti dall'ospedale, sorpreso dalla morte per lo spavento, per le intemperie, per le angustie della fuga... Altre tre salme si vedevano abbandonate lungo il tratto che dal Tiro a segno porta alla Rotonda - ove poco prima di mezzogiorno avveniva una scena spaventosa il cui orrore sorpassa l'immaginazione.

Cominciò non si sa da chi a gridarsi l'allarme per i gas tossici, e contemporaneamente si vide un nugolo di cavalleria scambiata per tedesca, mentre in realtà era francese, lanciarsi a spron battuto da un terrazzo del Cormor che sovrasta di qualche metro la strada (...) Si gridò allora al si salvi chi può, e il panico divenne generale, parossistico. Ogni legge di pietà infranta, ogni ritegno sorpassato, e tutti si sbandarono, buttandosi con urla di selvaggio terrore dalle scarpate verso la sottostante prateria; e tutti, liberatisi dai fardelli che avevano, calpestando i più deboli, e i meno lesti, separandosi dai più cari, abbandonando perfino quanti avevano in affettuosa custodia, cercarono salvezza atrraverso i campi ove, estenuati dall'affannosa corsa sul terriccio che la pioggia dirotta aveva trasformato in viscido pantano, finirono poi per fermarsi e per ritrovarsi sbalorditi, sconcertati, privi di tutto, anche di quel poco che a gran fatica avevano con sè portato (...) In quel funesto trambusto molte famiglie si scompaginarono, e genitori vi furono che perdettero i figli, e fratelli le sorelle, e bimbi vi furono che rimasero improvvisamente soli, affidati al caso o alla pietà degli estranei."