Le migrazioni forzate nella storia d’Italia del XX secolo.

Migrazioni forzate nella storia d'Italia del XX secolo.Luca Gorgolini svolge la sua attività di ricerca presso il Centro studi sull'emigrazione (Dipartimento di storia, cultura e storia sammarinesi) dell'Università degli studi della Repubblica di San Marino ed è docente a contratto di Storia contemporanea presso l'Università di Modena e Reggio Emilia.
È il curatore editoriale del libro, che raccoglie diversi saggi sui i movimenti migratori forzati in Italia nel ventesimo secolo, alcuni dei quali riguardanti gli esodi durante la Grande Guerra: profughi trentini e adriatici, profughi di Caporetto.

In particolare, dalla IV di copertina si legge:
Il libro si inserisce appieno nella nuova stagione della storiografia europea che ha sviluppato un'attenzione crescente al fenomeno delle migrazioni forzate di milioni di individui a seguito di eventi bellici, persecuzioni, etc… I saggi che lo compongono intendono affrontare il caso italiano mettendo in campo uno sguardo complessivo in grado di includere i movimenti migratori forzati che hanno riguardato i cittadini italiani. Muovendo dal caso della doppia evacuazione che ha per protagonisti i cittadini italiani trentini costretti a sfollare nel corso della Grande Guerra, si prosegue con la ricostruzione della vicenda degli abitanti del Friuli e di alcune provincie venete che abbandonano le propie case dopo la rotta di Caporetto cercando riparo nelle altre regioni italiane. Questa riflessione sul tema delle migrazioni forzate si completa analizzando il fenomeno negli anni del fascismo e del secondo dopoguerra.

Sfollati dalle autorità asburgiche

Le evacuazioni dal Trentino stabilite dalle autorità austroungariche cominciarono prima dello scoppio delle ostilità. Il comune sentimento dei comandi militari circa la fedeltà politica della popolazione trentina era di assoluta inaffidabilità.


Evacuazione di Bondo, 1916 (Fonte: Europeana). Evacuazione di Bondo, 1916 (Fonte: Europeana)


p. 19: "Come conseguenza il modus operandi delle truppe sul campo risentiva del timore della pugnalata alle spalle. Nella prassi, verrero concesse poche ore per preparare il bagaglio, che non doveva superare i 5 kg a persona; gli sfollati vennero caricati su carri bestiame, dai quali non si poteva scendere fino alla stazione di perlustrazione di Salisburgo; soprattutto non veniva comunicata agli esuli la destinazione dei convogli. La lettura di uno spezzone di diario, redatto da una sfollata, chiarisce quali furono le condizioni del viaggio: 'Chi non ha veduto la confusione che regnava quel giorno alla stazione non può certo immaginarlo. La v'erano riuniti tutti i paesi del distretto di Rovereto, ad ogni ora partiva un treno carico di persone. […] Alla fine fummo invagonati come le bestie e siamo stati in viaggio alcuni giorni, poi ci hanno scarmigliati un pochi per parte in mezzo alla gente tedesca che non si poteva intenderci neppure una parola.' Oltre a ciò, il mezzo dell'evacuazione diventò strumentale a propositi che, pur essendo collaterali, sono indicativi della natura coercitiva dell'azione: mediante lo sfollamento vennero velocizzate le procedure di requisizione forzata di molti beni materiali, venne organizzato un prelievo coatto della forza lavoro maschile dai convogli dei profughi, [...]. In sostanza, lo spostamento non fu frutto di una scelta volontaria, ma una misura imposta."

Ottobre 1917, Caporetto: la fuga e l'esilio


Profughi, 1917. (Fonte: Europeana) Profughi, 1917. (Fonte: Europeana)


p. 39-42: "Partono attaccando i buoi al carro sul quale salgono le donne, i vecchi e i bimbi e nel quale hanno messo qualche cosa da mangiare e un po' di robe personali, gli uomini marciano a piedi alla guida dei carri e di altri svariati mezzi di trasporto. Marciano per uno o due chilmetri poi non si può più andare avanti, la strada è ingombrata, per proseguire bisogna staccare i carri, farli rotolare dalla scarpata. Poi prelevano, da ciò che avevano caricato, le cose più necessarie e se ne fanno un fagottino per uno e seguitano a marciare portandosi dietro i buoi e i cavalli, ma poi è giocoforza abbandonare anche il bestiame che se ne va per i campi. Per qualche tempo le famiglie marciano unite ma poi, nella confusione, perdono contatto, il marito perde di vista la moglie, il bimbo la madre ecc. e così il dramma di questo terribile esodo è al completo. [...] Le condizioni nelle quali migliaia di fuggiaschi arrivarono nelle città del Veneto o solo le attraversarono, furono davvero impressionanti e rischiarono di avere degli effetti devastanti sul resto della popolazione: 'Non si possono descrivere gli orrori del viaggio fino a Padova di questa massa di fuggenti, la gran parte a piedi o con carretti, che poi dovettero abbandonare per via con quanto avevano caricato e continuare a piedi. Per farsi un'idea dei disagi basta dire che partiti sabato e domenica trascorsa solamente mercoledì od oggi arrivarono alcuni; altri moltissimi sono per via. Altri dalla ressa vennero schiacciati dai camions e trovansi morti per le strade con i soldati parimenti morti: nei fossati animali morti, camions rovesciati etc. Altri sono smarriti e nulla si sa: bambini che hanno perduto i genitori, vecchi di cui non [si] sa nulla, rimasti indietro, impotenti a camminare e morti forse dall'inedia, non trovando nè da mangiare nè da dormire. Si aggiunga una pioggia torrenziale senza tregua: e quando l'acqua cessava ecco pronti gli areoplani a inseguire e poi a seguire tutta quella colonna di militari e borghesi insieme e scaricare continuamente mitragliatrici sul facile bersaglio provocando ancora maggiore confusione."


Sfollamento di Gorizia, 1916 (Fonte: Europeana) Sfollamento di Gorizia, 1916 (Fonte: Europeana)


p. 44: "La disfatta di Caporetto percorse tutta la penisola e l'esodo arrivò fino in Sicilia. Nelle settimane successive i profughi diventarono in ogni grande e piccola località il ritratto della sconfitta e dell'invasione, l'emblema di una guerra improvvisamente diventata vicina: 'Stamane ho visto passare dalla stazione alcune interminabili convogli provenienti dal Veneto, carichi di profughi. Quella gente sembrava come trasognata; fra le migliaia di persone non udivi una parola, non dico di spirito, ma neppure di discussione. Avevano gli occhi senza espressione e guardavano il movimento dei molti soldati e della gente, come fosse cosa a loro del tutto estranea. Dovevano avere anche molta fame, giacché chiedevano almeno un pezzo di pane. C'erano molti bambini senza genitori, spersi, con le faccie attonite e curiose, i quali - unici - sembrava prendessero la cosa come uno scherzo, quasi contenti di vedersi strappati dalle loro case per girare il mondo. Ma c'erano anche povere donne del popolo, pallide e smunte, molte piangenti, miseramente vestite o poco vestite, rispetto alla stagione fredda, che portavano sul viso il segno dell'angoscia e di inenarrabili sofferenze."

Le donne nel profugato


Profughi dopo la battaglia di Caporetto. Profughi dopo la battaglia di Caporetto


p. 55-56: "Durante il profugato quella delle donne fu una voce di minoranza. Le loro condizioni erano certamente aggravate dall'assenza di mediatori sociali, come potevano essere i consiglieri comunali o i parroci profughi, in grado di favorire l'opera di assistenza a livello locale. Ai disagi quotidiani si affiancava la vergogna che le profughe provavano nel chiedere qualcosa o semplicemente nell'avanzare un'istanza, soprattutto se la richiesta viene inoltrata a una persona conosciuta alla quale era noto il passato stato di agiatezza:

'Fin che mi trovavo nel mio paese conosciuta da molti, la miseria non bussava tanto dolorosamente alla mia porta perchè la popolazione cercava di rendermi meno amara l'esistenza, ma ora qui, in questo paese estraneo della Lomellina, la vita mi torna più dura. Buona gente ve ne sono ma... non a tutti oso palesare la mia miseria. […] M'hanno informata di rivolgermi presso comitati regionali «Pro profughi» ma io non ho osato farlo finora rifuggendo sempre dal pensiero di dover stendere la mano.'

Le profughe furono costrette a portare avanti la gravidanza e a partorire in condizioni problematiche, spesso senza l'appoggio dei famigliari e nell'impossibilità di lavorare. Per quasi tutte le donne fu difficile mantenere il precedente impiego."