I vinti di Caporetto nella letteratura di guerra.

Mario Isnenghi Mario Isnenghi (Venezia, 1938), professore emerito dell'Università Cà Foscari di Venezia e Presidente dell`IVESER, Istituto veneziano per la storia della Resistenza, è uno dei più autorevoli storici italiani e tra i principali studiosi della Prima guerra mondiale.

Nella sua lunga carriera di docente, ha insegnato anche all'Università di Padova e all'Università di Torino.

Nel suo libro raccoglie brani dei numerosi diari che la ragion di stato e la ragione editoriale avevano lasciato cadere nel dimenticatoio perché legittimano una visione scomoda e provocatoria di Caporetto come 'rivolta abortita', nel quadro della rivoluzione europea delle masse tradite dagli organi della rappresentanza delegata e costrette a una guerra di cui ignoravano tutto.

Il suo merito è l'aver fatto sentire la voce dei vinti di Caporetto, alla luce di inedite testimonianze dei protagonisti.

 

In fuga verso il Tagliamento

p. 159-160: "Codroipo. Folla urlante di soldati che sguazzano nell'acqua e nel fango. Colonne infinite di uomini, di bestie da soma, di carri e di furgoni che si dirigono a fatica verso il Tagliamento sotto la pioggia dirotta. Il fiume è in piena e ha divelto ed asportato ponti e passerelle. A Udine ci sono già gli ausriaci. Benvenuto taglia un pezzo di polenta fredda. Mangiamo. La grande cucina terrena è vuota, non c'è più nulla, hanno saccheggiato tutto. Una donna, disperata e sfinita, piange in un canto; aspetta il fratello da Zompicchia e poi fuggirà anch'essa. La popolazione cerca oramai di salvare quello che può e si dirige verso i ponti. Vecchi tremati di freddo, malati, uomini, donne, fanciulli spaventati. Sul binario della ferrovia c'è un lungo treno fermo, carico di soldati che sperano passare al più presto oltre il Tagliamento. Si parla di un terribile bollettino incitante al disprezzo della Nazione e il nome di Brigate che hanno tradito e gettato le armi. E piove, piove, piove senza sosta. [...] I ponti sul Tagliamento saranno fatti saltare. Chi indugia o si ferma o non trova la sua via, non passerà più e le prime pattuglie di Slesiano, da un momento all'altro ci saranno addosso. Alcuni artiglieri tagliano le tirelle ai cavalli e cercano di farsi strada tra la folla, sempre più fitta e confusa. Chi è sui camions o sui carri scende e si butta fra i campi. [...] La turba dei fuggiaschi, le colonne dei profughi non hanno fine. Guardo senza coscienza, insensibile, egoista."

Tutta la patria era su quella strada

(fonte: Roma - Museo Centrale del Risorgimento) Fonte: Roma - Museo Centrale del Risorgimento

p. 191: "Poi a Romans incontrammo la marea umana che defluiva dal Carso e dalla pianura di Gorizia, composta e raccolta dalla obbligata lentezza del movimento, ma tumultuosa e divisa da angosce e da egoismi. Non ho mai avuto impressione più dolorosa dello sfacelo, come guardando questa folla di automi, questa folla senza sguardi che s'avviava, s'avviava per la grande strada perchè ognuno seguiva quello che andava avanti senza avere nel cuore che una mèta desolata e disperata: la lontananza. Qualche casa svuotata di tutto, apriva le sue finestre attonite sulla marea che passava. [...], carrettelle friulane con un cavalluccio scarruffato al timone lungo, carri larghi e piatti trainati da buoi con sopra un carico enorme di suppellettili; tutto il pudore geloso delle intimità casalinghe, tutte le più gelose miserie sulla strada all'aria di tutti, e la famiglia dei vecchi dai tristi occhi pieni d'esilio, dei bambini dai dolci occhi d'oliva e, dietro ai carri, come in corteo, i più giovani e negli interstizi tra i carri, i cannoni, le vetture, le trattrici, soldati, soldati, soldati [...]. Tutta l'Italia era per la strada. Tutta la patria era su quella strada. Non aveva più nè pudore, nè gloria, nè confini. Si sfaceva nella lontananza, in quel lento fluire della moltitudine verso un ignoto destino, in quello sradicarsi dei vecchi dalle case, dai campi ove il lavoro li aveva fissati in amore, in dolore; [...]."

Popolo che non sa nulla, come una ruota che gira

p. 203: "Buoi, vitelli, maiali: bestie di ogni età e specie s'introducono nelle colonne in marcia. Il contadino li spinge innanzi, con le verghe e con la voce: e, i soldati, cui la luce ha ridato animo ed allegri, aggiungono al coro tutte le esclamazioni, che salgono loro alle labbra. Gli artiglieri danno qualche colpo di frusta alle bestie più restie. Sembra una carovana macabra. Di gente che vada verso un gran cimitero a seppellire il frutto del lavoro e dell'amore di un popolo: con armi impotenti e finte, di mascherata. Paesi che non rivedremo, chissà per quanto tempo: e sono così lieti di verde, così agili di architettura, così garruli di bimbi e di giovinezza! Ma quanto è lunga la strada per andare non si sa dove! Passivamente i paesani guardano i carriaggi che se ne vanno e non domandano, se convenga restare o seguirci. Qualche donna, anzi, sorride.

'Chi verrà, come saranno? E perchè dovrebbero farci del male? Se il soldato se ne va, noi non abbiamo armi: ma questo bel sorriso veneto, che dovrebbe piacere a tutti gli uomini del mondo, italiani o tedeschi: e il pollaio è ricco di pennuti; la stalla di latte e carne di vitello; il granaio, di grano e granone.'