Lettere 1910-1946. La voce di un intellettuale nella Grande Guerra.

Adolfo OmodeoAdolfo Omodeo (Palermo, 1889 – Napoli, 1946) fu uno storico italiano, allievo di Giovanni Gentile.

Interventista, partecipò alla Prima Guerra mondiale come sottufficiale di artiglieria e lasciò pagine intense e dolenti su questa esperienza, che impresse un solco incancellabile nel suo animo, nelle sue Lettere 1910-1916 e nell’opera Momenti della vita di guerra.

Finita la guerra, fu professore di Storia antica all'Università di Catania; dal 1923 passò all'Università di Napoli, dove tenne la cattedra di Storia del cristianesimo e dove ebbe modo di frequentare Benedetto Croce.

Dopo un’iniziale atteggiamento di netta riserva verso il fascismo, Omodeo finì per maturare nei confronti del regime una decisa e aperta opposizione. La scelta di “quella via fuori della quale non sarei più io” lo portò alla dolorosa conseguenza di allontanarsi dal “suo buon professore” Giovanni Gentile, che, invece, non abbandonerà mai le idee  fasciste.

Non a caso, il suo scritto più importante e più ricordato è L’opera politica del Conte di Cavour (1940), composto durante la fase terminale del fascismo, nel quale si sottolinea come  la parte più feconda dell’operato cavouriano vada ricercata proprio «nell’affermazione del regime parlamentare del Piemonte… nocciolo del regime parlamentare in Italia». È chiara la volontà dell’autore di opporre, a suo modo e con i suoi strumenti, all’oppressione del fascismo l’etica risorgimentale portatrice di quel moralismo illuministico che tanto gli stava a cuore.

Morì a Napoli, a soli 56 anni, suscitando un largo cordoglio e il rammarico che “una così grande forza sia venuta meno alla nazione in un momento grave e decisivo per essa.”( L. Russo, Belfagor, 1, 1946).

Dalla Nota:

Nel presente volume si sono raccolte tutte quelle lettere (o parti di lettere) di Adolfo Omodeo che si sono potute reperire, che presentano un effettivo interesse culturale, politico o più semplicemente umano e che possono contribuire a una migliore intelligenza della Sua figura e della Sua storia spirituale.

Buona gente i veneti

p. 243: "Sto per ora in un casolare privo di porte e di finestre in cui il vento entra da tutte le parti. La sera stiamo a scaldarci intorno al classico focolare delle cucine venete. Ci stava della gente pacifica fino a poco tempo fa. Alcuni giorni fa venne la povera famiglia di contadini che abitava il casolare. La massaia si mise a piangere e a disperarsi: ‘Anca el porçeo, anca i polastri i gà portà via!’ E il marito la consolava dicendo che si sarebbe rivolto ai carabinieri! Scena pietosa e comica insieme. Come devasta la guerra, e come devasta terra italiana ! A pensarci vien da mordersi le mani e da bestemmiare il dio dei cieli e il diavolo dell'inferno. E questa povera gente si attacca disperatamente alla propria terra: rimangono fin nelle prime linee di fanteria, e tollera il flagello con una mite rassegnazione che commuove. Buona gente i veneti."

Le tombe del Carso sono redente

Quando la guerra finì, l'autore così scriveva in una lettera del quattro novembre: "I soldati cantano già le canzoni del congedo. Ieri sera accesero le candele alle tombe sparse per la campagna: oggi è  il giorno dei morti, dei morti d'Italia. Le tombe del Carso sono redente. L'anno scorso a Motta di Livenza, vedendo le donne accendere le lampade e portar fiori ai cimiteri, piangevo pensando ai nostri morti abbandonati. Ques'anno invece si può riguardare serenamente anche Caporetto"