Diario di un imboscato. Una lucida e dolente analisi della guerra.

Attilio Frescura

Attilio Frescura (Padova, 1881 - Lecco, 1943), figlio di Angelo Frescura, fondatore della prima fabbrica di occhiali del Cadore, esordì nella carriera di giornalista intorno ai quarant'anni, ma in breve seppe recuperare il tempo perduto fino a diventare redattore capo e quindi direttore di vari importanti quotidiani. Fu interventista, ufficiale della Milizia Territoriale al fronte e decorato di medaglia d'argento e di medaglia di bronzo al valor militare.

Raccolse i suoi ricordi e le sue considerazioni sulla guerra nel libro "Diario di un imboscato", uno dei pochi testi dedicati alla Grande Guerra privo di retorica, che, pubblicato già nel 1919, gli procurò come racconta lui stesso "attacchi violentissimi, sfide e insolenze" per essere stato pubblicato "quando ancora si dibatteva furibonda la campagna sovversiva contro la guerra vittoriosa". Proprio la tempesta polemica che seguì la pubblicazione del libro favorì un risultato editoriale fulmineo: la prima edizione fu esaurita velocemente. Nel mettere mano alle edizioni successive, Frescura apportò delle modifiche al testo che venne "scarnito a dovere", senza tuttavia che fosse scalfita la sua caratteristica sostanziale di essere, cioè, composto da "pagine non sempre ortodosse" nella cui immediatezza rispetto ai fatti che narrano sta il "documento umano e storico".

 

Dalla IV di copertina del libro:

L'opera contiene al lucida analisi di un uomo comune che, pur vedendo con occhio favorevole la guerra, è tuttavia uno dei più puntigliosi nel documentarne gli elementi di dissenso e di estraneità; è una testimonianza resa da chi a volte dice molto di più di quello che non vorrebbe dire.

Dopo Caporetto, la fuga disperata

p. 267: "La teoria delle dolenti continua. Sotto lo scosciare dell'acqua vanno, vanno, vanno. Giovanette che sorreggono vecchie che non faranno mille metri e stramazzeranno uccise di paura e di stanchezza, attraverso la strada. È piccolo dolore nella immane tragedia. È la guerra. Passano bambini che hanno perduto le scarpine, nella corsa e pestano i piedini nel fango nero, senza più lagrime, perché sono di già sommersi nel dolore e nell'ombra. Le madri cupe discinte li trascinano, disperatamente. Salvano i nati come le fiere. È la guerra. Passano giovinette nella vana ricerca di un parente. Saranno violentate per via, sul margine dei fossi, dai tedeschi ubriachi, che vincono. È la guerra. Passano vecchi signori che si danno un'aria composta e un prete che serra nella mano il breviario e sorregge una vecchia donna tutta chiusa nel nero scialle. Passano, passano, passano. Carri, carretti, carriole, pieni di dolori e di cose, travolti dalla guerra, sospinti dalla guerra, turbinati dalla guerra. I dolenti lasciano le povere case, le povere cose sudate tutta una vita. I ricchi lasciano ogni ricchezza. Livella, la guerra, questa volta. La pace, l'onore, il pudore, le convenienze, gli affetti, ecco, tutto è sommerso. Cacciati di luogo in luogo essi non potranno più rifare la loro vita. Ciò che è stato è stato. È una inesorabile legge del destino."

Passano vecchi, donne, bambini

p. 275: "Passano vecchi, donne, bambini. Una signora ha perduto le scarpette e cammina con le calze di seta inzaccherate e lacere, da cui escono i piedi piccini che si affondano nel fango. Passa un carro. Qualcuno supplica: "Per queste creature... fateci salire...". Di sopra soldati, sconciamente ubriachi, con dei fiaschi in mano, accennano: "Vuoi bere, bionda?" Una giovine madre cerca un bambino che ha perduto, pazza di dolore. Do un po' del mio latte a una piccina che mi guarda stupita, con gli occhi pieni di lagrime; ha i capelli di stoppa appiccicati dalla pioggia. Una signorina, con il bel corpo disegnato dalle vesti bagnate, mi chiede: 'Dove devo andare? Verso Folgaria o verso Spilimbergo?' E mi racconta: 'Ho perduto mia soerella e mia madre. Non ho un soldo. Sono sola.' Le indico brevemente la strada, le do del denaro, la consiglio a camminare rapida, prima che annotti e a diffidare di tutti."

Un'ondata che tutto distrugge

p. 278 - 279: "E ancora tutta la strada è satura di carriaggio, senza nessuno che vi provveda e se ne occupi. La visione dolorose della immane emigrazione di dolenti, abbruttiti dalla lunga fuga, senza aiuto e senza meta, continua. […] Per uscire da Sequals siamo stati delle ore immobili, prigionieri della interminabile colonna di carriaggi, che anche qui si snoda sulla strada senza fine...
5 novembre
Passiamo, come una ondata che tutto distrugge. Facciamo una bella propaganda, in verità, dove passiamo! I soldati rubano tutto e ciò che non possono rubare bruciano: mobili, porte, piante, viti... E ovunque a segnare la via della dolorosa ritirata, lungo i fossi delle strade e nei campi, dei cavalli morti imputridiscono. I soldati li hanno abbattuti per levarne magari solo una fetta di carne, cucinata con una porta scardinata dalla casa più vicina. Nessuna cosa dice più la guerra di queste carogne di cavalli che mostrano sul pelo scuro una larga macchia vermiglia..."

Asiago distrutta e abbandonata (Fonte: Diario di un imboscato)