Un’ampia parte di questa sezione è occupata dalla prosa ed in particolare dagli epistolari a stampa: più che documenti biografici, un vero e proprio genere letterario che nello stesso tempo propone modelli di stile e composizione a uomini di lettere e di autorità, che devono saper stare nel mondo e colloquiare appropriatamente con i loro pari, ma allo stesso tempo un prodotto promozionale che mette in luce con maggiore o minore audacia, l’autore e la sua rete di contatti nel grande paese senza confini della Repubblica delle Lettere.
A Verdara -oltre ovviamente al classico Cicerone- si potevano leggere gli incunaboli con le Familiares di Matteo Bosso e la princeps delle lettere di Alcifrone nella aldina curata da Marco Musuro e appartenuta a Calfurnio; ma non mancavano i sei tomi di colui che può essere considerato a buon diritto il vero fondatore del filone, Pietro Aretino, oltre alla raccolta di Poliziano improntata su diversi modelli latini per non perdere in originalità e inventiva, ma anche antologie come quella curata da Bartolomeo Zucchi poi rivista ed ampliata in edizioni successive o raccolte a tema, come le amorose del Parabosco. Per il Seicento, compaiono i cinque tomi delle lettere del Card. Arnaud d’Ossat che aveva negoziato l’abiura di Enrico IV; i due di Roger de Rabutin conte di Bussy e cugino della marchesa di Sevigné di cui conservò le missive per la posterità; e poi ancora la selezione in tre volumi di quelle di Guy Patin il padre dello Charles che finì coll’insegnare medicina a Padova e raccolse un’importante collezione numismatica, e infine quelle di Michele Giustiniani e i tomi di Arnauld d’Andilly.
Anche la letteratura in volgare e soprattutto le tre Corone (Dante, Petrarca e Boccaccio) sono ben presenti nella Biblioteca: romanzi come l’Elegia di Madonna Fiammetta e il Corbaccio e l’opera omnia di Pontano in lingua latina oltre ai dialoghi, un altro genere che nel Cinquecento trova una grande diffusione, come modello di proprietà di lingua e stile qui rappresentato dall’opera di Sperone Speroni e come immagine di quel mondo ideale della corte, raccontato dal Castiglione nel suo Cortegiano.
I canonici però potevano anche contare sulla poesia, per rinfrancare lo spirito e alleggerirlo dai numerosi impegni religiosi e comunitari: poesia in latino in cui l'imitazione dei modelli classici diventa mezzo per una ricreazione originale sia su temi più classicamente amorosi o bucolici come nel caso dell' "Arcadia" di Sannazzaro sia di ispirazione religiosa come nel caso dei Floridorum libri octo del Pontano cui vengono percorsi i momenti più salienti della vita di Cristo e della Madonna o su temi civili come nel caso del panegirico indirizzato al doge Loredan dal canonico Tomaso Negri di Spalato. Si tratta di autori oggi poco noti al grande pubblico, ma all'epoca vista la diffusa conoscenza e pratica della lingua latina come lingua della scienza, della filosofia, della liturgia e del diritto, decisamente frequentati e letti come avviene per gli epigrammi di Michele Cappellari e le Iuveniles di papa Chigi -una raccolta di versi eroici, elegiaci e lirici in latino e una tragedia composti da Fabio Chigi come membro dell'accademia dei Filomati con il nome de 'il guardingo'- o le Rime piscatorie di Nicola Giannettasio, nell'edizione con frontespizio e 10 tavole incise su disegno di Francesco Solimena, in cui viene descritta anche la pesca dei coralli.
Petrarca resta l'auctoritas per antonomasia della lirica in volgare: le sue Rime con i loro toni e temi insieme a quelle di Torquato Tasso diventano modello formale anche per epigoni di ispirazione devota come per Dio, la raccolta di sette trattati che poi celebrano con una serie di inni il Signore di Francesco da Lemene, iniziatore della cosiddetta "Arcadia devota" o per cortigiani come Fulvio Testi al servizio degli Este a Modena, che nei versi d'argomento amoroso e d'occasione si ritagliava un passatempo colto fra impegnativi incarichi diplomatici.