La frase del Card. Bessarione, ci introduce nella Biblioteca: ospitata nella struttura posta a congiungere i due chiostri del complesso monastico, la "Sala della Libraria" era illuminata su entrambi i lati lunghi e si articolava all'interno in 30 plutei sul lato destro e 31 sul sinistro, divisi da un corridoio: "Biblioteca Manuscriptis Codicibus insignis" la definisce Giacomo Filippo Tomasini (Tomasini 1639, p.10) e Rossetti nella sua guida della città: "Biblioteca cui maggior pregio aggiunge l'esser fornita di buoni manoscritti, ed abbellita di alcune sculture di Giovanni Bonazza: cose tutte atte a recare piacere ad ogni qualità di persone nonchè agli intendenti (Rossetti 1780, p.187); nessuna parola sui testi a stampa purtroppo e se Tomasini precisa la posizione dei singoli codici nei banchi lignei, al momento non è possibile definire con certezza in che modo fossero disposti, se fossero organizzati per disciplina (Teologia, Diritto...), se vi fossero dei cataloghi e di che tipo.
Paolo Roculini incaricato già dal settembre 1783 di occuparsi dei riscontri della Libreria, attenderà per effettuarli la fine del mese di ottobre per poi bloccarsi di nuovo a causa degli impegni legati all'inizio dell'Anno Accademico (ASVe, Aggiunto sopra monasteri, b.115, reg.13); solo il 16 gennaio 1784, dopo 24 giorni di verifiche complessive condotte insieme all'Abate Morelli comunicherà ai Riformatori di aver portato a termine l'incarico, e di aver predisposto "alcune note" relative a tutti quei "generi" non registrati negli inventari" di cui invia copia, secondo le volontà dell'Aggiunto comunicate dall'Abate Morelli. Mentre tutto ciò che risultava negli inventari fu portato nella Libreria -compresi gli oggetti del Museo- nel Museo -svuotato- vennero posti libri e oggetti non riscontrati negli inventari; le due porte furono munite di nuovi lucchetti dati in consegna a Roculini come i due cataloghi della Libreria, e i cinque inventari del Museo (ASVe, Riff. allo Studio, b.140. 17 gennaio 1784). Durante tutta la fase di "riscontro" l'economo provvisionale Francesco Ponti assegnò un custode alla porta del Museo e della Biblioteca "per tener lontano alcun trafugo o asporto" (ASVe, Agg. sopra monasteri, b.115, r.14, 24 maggio 1784)
Qualche informazione sulle suppellettili che erano presenti in Biblioteca si ricava dalla "Nota dei mobili esistenti nella Sala della Libreria non compresi negli inventari" oltre a busti e quadri di diverse dimensioni, quattro tavolini di marmo, sei di noce con quattro sedie e quattro "scagni" (ASV, Riformatori allo Studio di Padova, b.141): la foto dei primi del '900 che documenta la Sala trasformata ormai in cappella per l'Ospedale militare (oggi è adibita a Sala Conferenze del Dipartimento Militare di Medicina Legale e vi si può accedere sono in particolari occasioni), suggerisce comunque l'idea della successione degli originari plutei in legno che come nel caso della Biblioteca Malatestiana, conservavano incatenati i testi più preziosi. Così almeno li vide Nikolaes Heinsius nell'inverno 1648, anche se il Panegyricum Berengarii da lui trascritto si trovava "in arca tineis ac blattis expositum" e non legato "ceterorum more, catenula pluteis" (Spanio 1978, p.119).
Dalla nota inoltrata ai Riformatori del 16 aprile 1784, con cui Roculini inoltra la distinta delle spese sostenute, si ricava che il "Legname" affidato al Bibliotecario per i necessari lavori di adeguamento nella "Publica Libraria" -conseguenti l'arrivo di una così consistente quantità di nuovi volumi- corrisponde agli "Armari della Libreria" di Verdara, che vennero smontati nel giro di due giorni da 6 "Marangoni": i Riformatori confermarono la proposta di Roculini di assegnare la parte eventualmente avanzata del "legname... in conto delle Fatture convenute col Marangone". Il trasferimento -sollecitato il 5 aprile dall'Aggiunto sopra Monasteri che doveva far subentrare gli Esposti- impegnò 6 facchini per quattro giorni; il materiale (libri e oggetti) venne stipato in 27 cassoni -con eccezione dei quadri, portati a mano- caricati su un carro che fece 28 viaggi e portato in un primo momento nella biblioteca in vista delle definitive collocazioni; il costo complessivo ammontò a 430 lire venete. (ASVe, Rif. allo Studio b.141, 16 e 27 aprile 1784).
La raccolta libraria -un tempo unica- si trova oggi sostanzialmente smembrata fra due istituti e si deve all'Abate Jacopo Morelli il parere definitivo sulla destinazione che avrebbero dovuto avere la selezione dei 587 codici e una "quarantina" di incunaboli fra i più preziosi che vennero consegnati alla "Pubblica Libreria della Dominante" -la Biblioteca Nazionale Marciana- già "celebre" per il prestigio e la qualità delle raccolte "egualmente che le altre librerie di Principi", quindi capace di attrarre "lo studio anche de forestieri" e più adatta a conservare documenti considerati "rarità e ornamenti delle città"; invece "Li libri stampati...è conveniente che si diano alla pubblica Libreria di Padova -la Biblioteca Universitaria- la quale ha da essere fornita di libri di ogni scienza, servendo agli usi dello Studio Pubblico, in cui si insegna ogni scienza" anche perché di "molti ...essa è mancante".
Prima di vedere più da vicino i volumi, una premessa -necessaria- e una considerazione generale sulla tipologia delle raccolte librarie di S.Giovanni di Verdara:
- nelle varie sezioni in cui è stata idealmente articolata la biblioteca, gli "incunaboli", cioè i testi stampati fra la metà del '400 e il '500, che nella fase più alta di sviluppo dell'ars scribendi artificialiter inventata da Gutenberg affiancano il manoscritto, mutuandone inizialmente alcune caratteristiche -la miniatura fra le più smaglianti- verranno considerati insieme ai "libri antichi", cioè ai volumi prodotti fra il 1501 e il XVIII secolo, periodo in cui la tecnica ormai affermata degli stampatori, distinguendosi via via negli obiettivi e nella professionalità dall'imprenditorialità degli editori, trionfa sul manoscritto con manufatti che -pur restando artigianali- raggiungono alti vertici di raffinatezza e un'ampia diffusione.
- La grande prevalenza di testi sacri, a carattere religioso o devozionale, di morale e di diritto canonico, di patristica e omiletica, con un'attenzione particolare dedicata agli autori membri dell'ordine Lateranense, risponde alle finalità proprie di una biblioteca eminentemente ecclesiastica, fatto che però non esclude un'importante presenza di testi tipici dell'educazione umanistica, dai classici come Aristotele e Cicerone ai contemporanei come Tasso, ma anche di una letteratura di uso pratico e di testi scientifici.
Si è scelto di illustrarne le caratteristiche (indipendentemente dall'istituto attuale di conservazione) a partire dalle loro tipologie, con un particolare approfondimento sui libri a stampa, obiettivo principale del progetto di catalogazione e digitalizzazione.
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