La collezione Cibin comprende anche una significativa serie di oggetti in bronzo di epoca romana e tardoantica, particolarmente rilevanti per qualità e stato di conservazione ma purtroppo riconducibili solo in modo piuttosto generico all’area dell’Alto Vicentino. Fanno eccezione pochi pezzi, per cui i dati a disposizione sono comunque estremamente sintetici e non permettono una ricostruzione precisa delle circostanze del recupero e del contesto archeologico di provenienza: si tratta di una piccola figura di Vittoria alata e di un campanello rinvenuti a Santorso, rispettivamente in località Prà Laghetto e presso la chiesa parrocchiale.
I restanti oggetti, piuttosto diversificati per tipologia (un contrappeso da bilancia, parti di vasi in bronzo, chiavi, lucerne, appliques e ornamenti personali), sono invece di provenienza ignota; solo per alcuni bracciali Alessio De Bon indica una provenienza da non meglio precisati contesti funerari.
Si tratta in ogni caso di manufatti di particolare pregio, che già nel secolo scorso avevano attirato l’attenzione degli studiosi e che vennero in parte pubblicati già nella prima metà del ‘900. Si vedano a tal proposito:
G. Pellegrini, Sant’Orso (Vicenza). Statuetta romana di Vittoria, in bronzo, in “Notizie degli Scavi di Antichità”, 1917, pp. 229-230.
A. De Bon, Romanità del territorio vicentino, Vicenza 1938.
Contrappeso da bilancia
Contrappeso per bilancia a due bracci (pondus) in bronzo, di forma sferica decalottata con corpo appena schiacciato e facce leggermente ribassate e di dimensioni diverse, una delle quali definita da un piccolo bordo in rilievo. Al centro di entrambe le facce è presente una piccola punzonatura puntiforme; sono inoltre visibili numerose striature con andamento irregolare, di difficile interpretazione. L’esemplare misura 3,2 cm di altezza e 6,2 cm di diametro massimo e pesa 687 g: il valore eccede dunque di qualche decina di grammi quello del dupondius (654,9 g, pari a 2 libbre). Va peraltro rilevato che l’esemplare della collezione Cibin sembra aver subito alcune modifiche nel corso del tempo, che potrebbero forse essere legate al suo peso leggermente maggiore rispetto allo standard: sulla faccia superiore sono infatti presenti un piccolo foro di forma tondeggiante e un tassello in bronzo di forma approssimativamente quadrata; un secondo tassello rettangolare è visibile sulla parete dell’oggetto, in prossimità del bordo superiore. La diffusione della forma a sfera decalottata e la sua lunga durata di vita rendono difficile definire la cronologia del pezzo, che può forse essere ascritto all’età romana imperiale.
Chiave
Chiave a scorrimento con impugnatura a testa di leone. L’animale, raffigurato con la bocca aperta, è reso in modo non naturalistico ma piuttosto dettagliato, con semplici tratti che rendono in maniera stilizzata i particolari della criniera, delle orecchie, degli occhi, delle vibrisse e dei ciuffi di pelo sulle guance e sul muso. Il fusto ha forma parallelepipeda, con una modanatura in corrispondenza dell’attacco con lo stelo, di larghezza ridotta rispetto al fusto e a sua volta articolato in due sezioni divise da una modanatura, la prima delle quali sfaccettata nella parte superiore. L’ingegno è disposto perpendicolarmente rispetto allo stelo ed è dotato di barba a 6 denti triangolari, 2 dei quali mancanti; presenta fitte solcature verticali sia sui lati che sulla parte inferiore. La chiave, lunga 10,2 cm, è realizzata in bronzo e può essere datata solo genericamente all’età romana imperiale. L’impugnatura configurata a testa di leone si ritrova di frequente su questo tipo di manufatti: la figura del felino, infatti, assumeva un valore simbolico di protezione della serratura e della casa intera. Essa aveva inoltre un valore decorativo: nei meccanismi di serratura dell’epoca, infatti, una volta sollevati i perni di bloccaggio la chiave restava inserita nella toppa (quindi a vista) fino alla nuova chiusura della porta.
Campanello
Campanello (tintinnabulum) in bronzo con corpo cilindrico dalla base ellissoidale con margine appena svasato, spalla arrotondata e presa ad anello con profilo interno circolare e profilo esterno pentagonale. L’esemplare è privo di batacchio, che doveva essere realizzato in ferro; nella parte interna del pezzo resta traccia delle due estremità di un probabile anello, anch’esso in ferro, cui il batacchio doveva essere appeso. Misura 8,8 cm di altezza e 4,4 cm di larghezza. Mancano dati precisi sul contesto di rinvenimento dell’esemplare, ritrovato in corrispondenza della chiesa parrocchiale di Santorso. Risulta pertanto difficile stabilire per che scopo fosse impiegato. I tintinnabula potevano essere utilizzati in ambiti molto diversi, sia pubblici che privati, come semplici segnalatori acustici ma anche come oggetti dal valore apotropaico: i riteneva infatti che i suoni emessi dai campanelli allontanassero gli spiriti negativi e proteggessero quindi le persone o gli animali che li portavano e gli edifici al cui interno erano collocati. Per quanto riguarda la datazione, si può proporre soltanto una generica attribuzione all’età romana imperiale.
Manico di pàtera
Manico di pàtera in bronzo con terminazione a testa di lupo, fratturato in corrispondenza dell’attacco con la vasca; di generica provenienza altovicentina (De Bon 1938, p. 65, fig. 130). Ha forma cilindrica cava ed è decorato da una serie di costolature orizzontali (4 per lato), che risparmiano la porzione superiore e quella inferiore dell’oggetto. Una serie di 3 cordoli, il più esterno dei quali con bordo perlinato, lo separa dall’attacco al corpo del recipiente, che si presenta ornato da girali vegetali; dal lato opposto, invece, è presente una più ampia fascia scanalata, con un anello - di nuovo - perlinato. La terminazione è conformata a protome di lupo (o di cane), resa in modo piuttosto realistico: l’animale è raffigurato con le fauci spalancate e sono ben visibili i dettagli della dentatura, le pieghe del muso con le labbra ritratte a scoprire le zanne, il naso, gli occhi, le orecchie rivolte all’indietro e i folti ciuffi di pelo sul collo. Il manico si conserva per 17 cm di lunghezza e misura 2,8 cm di diametro. Non è purtroppo possibile ricostruire la forma della vasca del recipiente cui era applicato, ma i confronti permettono di stabilire che prese conformate come quella in esame fossero associate a pàtere di forma aperta con vasca ampia e profonda a pareti convesse. Si tratta di vasi che si ritrovano di frequente in associazione a brocche trilobate: i due contenitori andavano infatti a comporre un servizio che veniva utilizzato per le abluzioni portate a termine sia in ambito domestico, prima dei pasti o al momento di accogliere gli ospiti, sia in contesti sacrali, in genere prima che i sacerdoti procedessero con le celebrazioni dei riti. La datazione è compresa fra l’età claudia e il II secolo d.C.
Lucerna
Lucerna in bronzo con corpo globulare e becco allungato con terminazione semilunata. Sulla spalla sono presenti due volute, raccordate tramite una nervatura che corre lungo la parte inferiore del canale e decorate sulla parte superiore da un’impressione di forma circolare con margini dentellati. Il disco occupa tutta la porzione superiore dell’oggetto, è delimitato da un bordo pronunciato e presenta un ampio foro di alimentazione centrale. Il fondo è piano, dotato di un piede ad anello al cui interno sono presenti due ulteriori anelli concentrici. In prossimità del foro per lo stoppino si conserva una piccola piastrina forata, funzionale all’inserimento di ganci o catenelle per la sospensione della lucerna; nella parte posteriore del serbatoio è invece visibile una lacuna quadrangolare con una tacca nella parte superiore, in cui doveva essere inserita l’ansa o un altro elemento da presa o di sospensione. L’esemplare misura 8,4 cm di lunghezza e 3,1 cm di altezza. Si data tra la fine del I secolo a.C. e la metà del I secolo d.C., sebbene lucerne simili siano documentate anche in qualche contesto di II secolo d.C.
Statuetta di Vittoria
Piccola statua in bronzo di Vittoria alata con ramo di palma nella mano sinistra e corona nella mano destra, tesa in avanti. La dea porta i capelli raccolti e annodati sulla sommità del capo e indossa un chitone stretto in vita da una cintura, con un panneggio che accentua il movimento della figura. La gamba destra è leggermente avanzata rispetto alla sinistra e poggia su un globo a sua volta posto su di un disco. La presenza di un appiccagnolo nella parte inferiore del disco e di un anello in quella posteriore della figura permettono di ipotizzare che non si trattasse di una statuetta votiva a sé stante ma piuttosto di un’applique, probabilmente innestata su un mobile o su qualche altro complemento d’arredo. Il bronzetto, alto 8 cm, venne realizzato per fusione; la resa dei dettagli appare più curata nella parte anteriore dell’oggetto, mentre in quella posteriore il disegno del panneggio risulta semplificato e le ali sono prive dei tratti indicativi delle penne. È stata inoltre sottolineata da diversi autori la presenza di due puntelli a sostegno delle braccia (uno dei quali conformato a serpente), indicativi di un’esecuzione più incerta rispetto alla media. La prima edizione dell’oggetto risale al 1917 e si deve a Giuseppe Pellegrini, il quale sottolinea che - grazie alla condivisione di informazioni da parte del “solerte Ispettore dei Monumenti e Scavi pel mandamento di Schio signor Guido Cibin” - fu possibile ricostruire le circostanze del ritrovamento: la statuetta venne rinvenuta nel 1915 a Santorso, in località Prà Laghetto, nell’ambito di una serie di interventi che interessarono l’acquedotto locale. L’assenza di ulteriori dati sul contesto archeologico di provenienza non permette una definizione approfondita della cronologia del pezzo, che andrà quindi genericamente ascritto all’età romana. Già nel breve articolo del Pellegrini, tuttavia, si sottolineava un aspetto poi ripreso anche da studi più recenti, ossia il fatto che il modello della Vittoria alata con ramo di palma e corona si diffuse in modo particolare nel corso dell’età augustea, epoca in cui la sua frequente riproduzione può essere letta anche come un segno di piena adesione all’ideologia imperiale.
Piccola testa di Mercurio
Piccolo frammento di statuetta bronzea in cui è riconoscibile una testa di Mercurio con pètaso, il copricapo che rappresenta uno degli attributi distintivi della divinità. Il pezzo misura poco meno di 2 cm di altezza e altrettanti di larghezza. Fra i bronzetti rinvenuti in Italia settentrionale quelli raffiguranti Mercurio sono tra i più diffusi; il dio, protettore dei commercianti e dei viaggiatori, sembra peraltro risultare particolarmente caro anche a popolazioni di origine celtica. Il pezzo della collezione Cibin va probabilmente ascritto ai primi due secoli dell’età romana imperiale.
Applique
Applique a forma di testa femminile con diadema a forma di palmetta e lunghi capelli che ricadono sulle spalle, con scriminatura centrale. La parte posteriore dell’oggetto è leggermente concava e conserva parte di un appiccagnolo. L’oggetto, realizzato in bronzo, misura 4,3 cm di larghezza per 2,7 cm di larghezza e presenta un piccolo foro subito a lato del volto della donna (un difetto di fabbrica o un danno subìto in seguito dall’oggetto). Si data probabilmente all’età romana imperiale.
Armille
Bracciali in bronzo (armille) con verga nastriforme a sezione rettangolare e capi aperti, più o meno ravvicinati tra loro a seconda dell’esemplare; le due estremità sono appiattite, di forma rettangolare, leggermente più alte rispetto alla verga, in un caso con bordi interni arrotondati, distinte dal corpo del bracciale da una o più incisioni verticali. Entrambi i gioielli sono decorati: nel primo sia la verga che le due estremità sono ornate da un motivo a doppia S, riquadrato sui capi da una serie di incisioni che delineano un rettangolo. Il secondo esemplare presenta invece 2 solcature orizzontali sulla verga e una doppia fila di tacche inserite in un rettangolo sui capi. Il diametro è, rispettivamente, di 6,7 e 6,3 cm. Si tratta di manufatti databili all’epoca tardoantica.
Armilla
Armilla con verga a sezione circolare, con un capo ripiegato e ingrossato all’estremità a formare il gancio di chiusura e, sul capo opposto, l’anello in cui esso andava inserito, di forma circolare con sezione appiattita e margine esterno dentellato. La verga è decorata da una serie di tratti obliqui, disposti a distanza regolare per tutto il suo sviluppo, che imitano l’effetto di un filo ritorto. Il diametro è di 6,4 cm. Come per gli esemplari precedenti, anche per quello in esame è ipotizzabile un’attribuzione al periodo tardoantico. Nessuna informazione ci è pervenuta circa il suo contesto di rinvenimento, fatta eccezione per le brevi note riportate da Alessio De Bon che indicano una generica provenienza da contesti funerari.