La coroplastica

Tra i reperti della collezione Cibin troviamo nove frammenti di coroplastica (tecnica di lavorazione della terracotta per realizzare figure di varie dimensioni), inquadrabili tra la fine del VI e la fine del IV secolo a.C., raffiguranti teste e busti di soggetti maschili, efebi (adolescenti) e femminili, grazie ai quali si può seguire l’evoluzione stilistica tra l’età arcaica e quella classica.

Sebbene non si conosca il contesto di provenienza delle terrecotte, grazie al confronto con analoghi manufatti provenienti da Taranto e conservati in collezioni distribuite in tutta Italia, è possibile supporre che anche queste statuette derivino dall’ambito magnogreco, presumibilmente tarantino, e che originariamente fossero impiegate come offerte per scopi religiosi, sistemate nelle stipi votive (complesso di offerte o ex voto appartenenti ad un santuario) o interrate in favisse (fosse in cui le terrecotte, spezzate per evitarne il riutilizzo, venivano raccolte quando nel luogo originario della dedica non vi era più spazio per aggiungerne altre). La dedica di oggetti in terracotta di piccole dimensioni è un fenomeno comune a tutte le poleis (città) greche e magnogreche, e costituisce spesso l’unica testimonianza archeologica materiale della presenza sia di aree di culto prive di edifici monumentali, sia di quei processi rituali antichi che ancora oggi sono poco conosciuti.

Le argille che compongono le terrecotte della collezione Cibin hanno un corpo ceramico non sempre ben depurato e in qualche caso si conservano tracce di ingobbio (rivestimento a base argillosa che ricopre il corpo ceramico). Le tonalità di colore della superfice esterna variano dal beige al rossiccio-giallastro. I diversi modelli delle matrici, o stampi, utilizzati per la realizzazione della parte anteriore delle terrecotte, si rifanno a quelli della Magna Grecia. Il retro, invece, è lasciato aperto incavo o in alternativa piatto e chiuso con un foglio di argilla, mentre la parte inferiore, la più sporgente del corpo, funge da base.

Il soggetto più rilevante della collezione Cibin è quello del recumbente. Le sue origini risalgono al Vicino Oriente e la sua diffusione a Taranto è probabile sia avvenuta ad opera della città greca di Corinto, poco dopo la metà del VI secolo a.C., per poi continuare ad essere prodotto fino all’inizio dell’età ellenistica. Lo schema iconografico di base, declinato nel tempo in numerose varianti, è quello del banchettante maschile semisdraiato sulla kline (letto conviviale). Il soggetto è testimone (assieme ad altre manifestazioni come le ceramiche da banchetto) della cultura del simposio, ampiamente sviluppata dai gruppi aristocratici della polis. La figura del recumbente rappresenta un’antica convenzione per indicare lo status della figura maschile che godeva di pieni diritti, il polites (cittadino) e, al contempo, raffigura l’autore della dedica o colui che avrebbe dovuto beneficiare della protezione divina. I giovani e le donne, invece, partecipavano ai simposi solamente con ruoli secondari atti ad allietare i commensali. Al periodo arcaico appartengono i recumbenti con coppa sulla mano sinistra e disco ombelicato posto ad ornamento della corona (con cui i convitati si adornavano durante il banchetto), che si rifanno ai tipi più antichi prodotti a Taranto, su imitazione dei modelli ionici. Gli altri recumbenti, invece, risalgono all’età classica, quando si verifica l'introduzione di diverse novità iconografiche rispetto al periodo arcaico. Tra le variazioni che interessano queste coroplastiche troviamo l’arricchimento delle corone poste sul capo, talvolta adornate da palmette, e l’affiancamento di figure femminili sedute all’estremità della kline, introdotte verso la metà del V secolo a.C.

Un unico manufatto afferisce al tipo del cavaliere con testa pileata, uno dei soggetti più attestati dopo il recumbente assieme a quello del guerriero, che aveva lo scopo di esaltare le virtù e il coraggio dei buoni cittadini che prestavano servizio per la difesa della polis. 

Mentre la maggior parte delle figure che abbiamo visto appartengono a un repertorio di immagini molto ricorrenti e di facile lettura, più difficile è l’interpretazione delle ultime due terrecotte della collezione, a causa della cattiva conservazione e del rilievo scadente. Ambedue si caratterizzano per le dimensioni ridotte, il retro stondato, i lineamenti del volto tondeggianti, gli occhi infossati e le labbra socchiuse. Proprio queste caratteristiche, assieme alla particolare capigliatura ritoccata a stecca della penultima, fanno ipotizzare si tratti di coroplastiche di epoca tardo classica. Incerti restano invece i soggetti: più probabilmente femminili, ma non si esclude che possano rappresentare anche efebi.