I reperti di Caltrano

L’importanza archeologica del sito di Caltrano è nota già dalla prima metà dell’Ottocento. Le scoperte più importanti avvennero tuttavia sul finire del secolo: si data al 1884 lo scavo di una serie di abitazioni seminterrate con muretti a secco e pavimenti in battuto risalenti alla seconda età del Ferro, analoghe a quelle che anni dopo sarebbero state indagate a Piovene; accanto ai resti degli edifici si rinvennero anche numerosi reperti ceramici, monete e una macina in trachite.

Fu tuttavia nell’estate del 1893 che avvenne la scoperta più importante tra quelle effettuate nel paese: nel corso di uno sterro realizzato per la costruzione del nuovo campanile gli operai rinvennero un vaso in rame contenente un tesoretto di vittoriati databili tra il 180 e il 150 a.C. Secondo Paolo Orsi, che per primo si occupò dello studio delle monete, il ripostiglio sarebbe stato nascosto per timore di un’offensiva da parte dell’esercito romano, all’epoca impegnato nell’area; i proprietari non sarebbero poi stati in grado di recuperarlo a causa delle tragiche conseguenze del presunto attacco. Di nuovo a detta di Orsi, il deposito doveva essere composto in origine da oltre un migliaio di pezzi, moltissimi dei quali andarono dispersi subito dopo il ritrovamento. Il parroco di Caltrano, don Giovanni Battista Stievano, riuscì comunque a recuperare 365 esemplari; la maggior parte di questi (344 monete) è custodita ad Este, presso il Museo Nazionale Atestino.

Poco distante dal luogo dell’eccezionale ritrovamento emerse anche la sepoltura di un inumato, a sua volta accompagnata da un corredo di 12 imitazioni di dracme massaliote. Nel complesso, dunque, considerando anche le monete rinvenute all’interno delle abitazioni seminterrate, il sito di Caltrano ha restituito una quantità particolarmente rilevante di evidenze numismatiche. La loro abbondanza va probabilmente ricondotta al ruolo strategico svolto dal centro per il controllo dei traffici lungo il corso dell’Astico e alla conseguente possibilità di arricchirsi attraverso l’imposizione di dazi.

Per quanto riguarda i reperti conservati nella collezione Cibin, si tratta di poco più di un centinaio di manufatti in ceramica e in metallo (bronzo e ferro), databili complessivamente fra l’età del Bronzo medio o recente e l’epoca medievale. Di particolare rilievo risultano 5 frammenti ceramici riferibili nel loro insieme al periodo compreso tra il XVI e il XII secolo a.C. circa, raffigurati in una fotografia d’epoca e forse già noti ad Alfonso Alfonsi. Nella pubblicazione del 1911 sugli scavi della collina di Castel Manduca, infatti, l’archeologo cita come confronto per i materiali di Piovene alcuni reperti rinvenuti da don Zanocco nel corso di lavori agricoli portati avanti proprio a Caltrano in località Castellare: tra questi anche una serie di “ceramiche antiche, anse lunate, anse ad aletta e un frammento di ansa a fettuccia ornato del meandro graffito” che potrebbe essere identificato con l’esemplare della raccolta.

Nella seguente fotografia accanto a tali reperti ceramici compare anche una cuspide di lancia in bronzo. Assieme ad una statuetta di guerriero, pure in bronzo, essa rappresenta uno dei reperti più notevoli della collezione provenienti da Caltrano.

Nella didascalia sul retro della fotografia: "Ceramica e lancia dell'età del Bronzo, provenienti da scavi eseguiti a Caltrano (Collezione Guido Cibin)"Alcune note sulle prime ricerche condotte sul sito e su alcuni dei reperti qui rinvenuti si trovano in:

P. Orsi, Caltrano Vicentino. Ripostiglio di vittoriati, in “Notizie degli Scavi di Antichità”, 1894, pp. 259-269.

A. Alfonsi, Piovene. Scoperta di una stazione preistorica, in “Notizie degli Scavi di Antichità€”, 1911, p. 279. 

A. De Bon, Romanità del territorio vicentino, Vicenza 1938, p. 59.