Presso l’abitato di Magrè si trova un’altura di circa 50 m, sfruttata nello scorso secolo come cava per la produzione di calce e contraddistinta dalla presenza della chiesa di San Rocco e di una torre medievale, da cui il nome di “colle del Castello”. Qui, fra le pietre smottate della cava, il 10 novembre 1912 il falegname Giovanni Piccoli (Magrè 1869 - Schio 1955) rinvenne diversi reperti - tra cui alcune corna di cervo con iscrizioni alfabetiche - che vennero subito consegnati all'allora Regio Ispettore Onorario dei Monumenti e degli Scavi Tomaso Pasquotti, il quale a sua volta provvide ad avvisare prontamente la Soprintendenza. Visto l’interesse del ritrovamento, il Soprintendente Giuseppe Pellegrini affidò ad Alfonso Alfonsi l'esecuzione di regolari sondaggi di scavo sulla sommità dell’altura, ai piedi della torre.
I primi livelli ad essere individuati furono quelli relativi alla frequentazione medievale dell’area, che restituirono in particolare oggetti metallici quali chiodi, punte di freccia, elementi di serrature e di bardature di cavalli. Al di sotto di tali strati ne emersero altri di età romana, datati approssimativamente fra l’età augustea e il III secolo d.C., all’interno dei quali era presente solo poco materiale frammentario. Le evidenze più interessanti, tuttavia, risultarono essere quelle relative alle fasi preromane, epoca nel corso della quale il colle del Castello dovette ospitare un importante luogo di culto: ad est della torre, in un’area appositamente spianata, vennero infatti individuate ancora in situ due lastre di calcare di litologia differente rispetto a quella del sostrato roccioso locale, interpretate dal Pellegrini come la porzione superstite di una più ampia costruzione a cassone utilizzata per la deposizione di offerte votive. Nel terreno che riempiva la struttura vennero infatti rinvenuti frammenti di ossa animali in parte combuste (probabilmente resti dei sacrifici compiuti durante le cerimonie), un’ascia in pietra verde levigata e diversi oggetti in bronzo, tra cui spiccavano il manico di un simpulum (mestolo), un anello interpretato come maniglia di un cofanetto e alcuni esemplari di aes rude (pezzi di bronzo non lavorati con valore pre-monetario). Vennero inoltre recuperati abbondanti reperti ceramici, in particolare bicchieri in ceramica grigia e vasellame che imitava le produzioni etrusco-padane e romane di ceramica a vernice nera. I ritrovamenti più significativi furono tuttavia altri frammenti di corna di cervo iscritte, per un totale complessivo di 21 esemplari.
I manufatti vennero prodotti segando pugnali di palco di cervo in senso longitudinale e privandoli della punta; tutti hanno superfici lisciate e presentano sull’estremità più sottile un foro di sospensione (cui forse era fissato un anello o era inserito un legaccio) funzionale a raccogliere insieme gli oggetti o ad appenderli ai rami degli alberi o ad appositi supporti. La parte posteriore delle corna reca una serie di incisioni non alfabetiche di dubbia interpretazione, mentre le iscrizioni vere e proprie venivano sempre realizzate nella parte non segata utilizzando una lama in metallo; le differenze nella resa generale e dei singoli caratteri hanno permesso di stabilire che a scrivere furono persone diverse. L’alfabeto utilizzato è quello retico meridionale, noto anche come “alfabeto di Magrè” proprio per l’abbondanza di attestazioni provenienti dal sito; lo stesso alfabeto venne utilizzato per realizzare i graffiti ancora ben visibili su alcuni esemplari di ceramica di tipo Fritzens-Sanzeno provenienti da Castel Manduca, anch’essi conservati nella collezione Cibin.
Non è ancora chiaro a che tipo di culto fossero collegati gli ex voto. Secondo il Pellegrini la scelta di utilizzare come supporto il palco di cervo e il fatto che il santuario fosse localizzato in un’area boschiva suggerirebbero un legame con divinità connesse alla sfera della natura e della caccia, assimilabili ad Artemide/Diana. Le iscrizioni dedicatorie non permettono purtroppo di confermare l’ipotesi: il formulario riporta in genere il nome dell’offerente e un verbo che indica proprio l’azione dell’offrire/dedicare, mentre il destinatario resta sottointeso. Alcuni autori hanno letto in alcune parole le sillabe “rei-” e “rit-” e le hanno ipoteticamente ricondotte al teonimo della dea veneta Reitia; di nuovo, tuttavia, si tratta di una suggestione che resta priva di conferma a causa dell’ambiguità e delle difficoltà di interpretazione di alcuni dei segni specifici dell’alfabeto di Magrè.
Come si è visto, la frequentazione del colle del Castello si sviluppa lungo un arco cronologico particolarmente esteso (nel complesso, dalla media età del Bronzo all’epoca medievale). La fioritura del santuario si colloca tuttavia nella seconda età del Ferro, con abbondante materiale (tra cui anche le corna iscritte) databile tra il IV e il III-II secolo a.C. Si tratta di una fase di generale ripopolamento della pedemontana vicentina, durante la quale il luogo di culto ebbe probabilmente un ruolo importante anche nell’ambito dei rapporti fra Veneti e Reti: il sito di Magrè si trova infatti in una zona di confine tra le sfere di influenza delle due culture e in una posizione strategica per la gestione delle vie di accesso alle regioni alpine e alle risorse minerarie che qui si trovavano.
Diversi manufatti rinvenuti negli scavi del 1912 vennero portati a Schio e custoditi grazie alle “cure diligenti del ns. Guido Cibin” (Pellegrini 1918, p. 175, nota 1). Le corna di cervo iscritte furono invece trasferite ad Este, presso il Museo Nazionale Atestino, dove tuttora si conservano; una "paletta rituale" in bronzo, che il Piccoli aveva recuperato già nell'aprile dello stesso 1912, fu invece consegnata al Museo Civico di Vicenza in tempi più recenti. Attualmente si contano nella collezione Cibin poco più di 200 reperti, che comprendono alcuni frammenti di metallo, industria litica e ossa e, soprattutto, abbondanti recipienti in ceramica attribuibili sia alle fasi di frequentazione dell’età del Bronzo medio e recente, sia alla tarda età del Ferro. Tra questi, spiccano in particolare due esemplari di vaso miniaturistico e diversi bicchieri in ceramica grigia con iscrizioni pseudo-alfabetiche. Essi provengono con ogni probabilità dal colle del Castello, per quanto - a rigore - non si possa escludere che almeno alcuni siano pertinenti al sito del Castellon, come indicato da un cartellino d’epoca purtroppo decontestualizzato.
La fondamentale importanza dei ritrovamenti di Magrè fu subito chiara agli studiosi dell'epoca, che ne fecero oggetto di diverse pubblicazioni, in larga parte dedicate allo studio delle corna iscritte. Si vedano a tal proposito:
G. Pellegrini, Magrè (Vicenza). Tracce di un abitato e di un santuario, corna di cervo iscritte ed altre reliquie di una stipe votiva preromana, scoperte sul colle del Castello, in “Notizie degli Scavi di Antichità”, 1918, pp. 169-207.
P. Grison, Studio interpretativo ed etimologico sopra le iscrizioni di Magrè e d'altri luoghi del Veneto (Piovene, Colli Berici, Padova, Feltre) e sopra un'altra strana iscrizione di Montecchia di Crosara, Schio 1928.
A. De Bon, Romanità del territorio vicentino, Vicenza 1938, p. 56.
Olla
Frammento di olla ovoide con orlo leggermente svasato, con margine superiore appiattito e decorato con impressioni oblique. Il collo è breve, nettamente separato dalla spalla, che si presenta arrotondata. Il pezzo si conserva per 7,2 cm di altezza e 8,4 cm di larghezza. Il diametro non è ricostruibile ma appare comunque di grandi dimensioni, cosa che potrebbe suggerire un utilizzo del contenitore per la conservazione di derrate alimentari piuttosto che per la loro cottura. È modellato a mano con un impasto mediamente depurato, di colore bruno, con superfici interne ed esterne lisciate. Si data all’età del Bronzo finale (metà XII - X secolo a.C.).
Dolio cordonato
Due frammenti combacianti di dolio con orlo svasato dal margine leggermente assottigliato e decorato da impressioni oblique; in corrispondenza del collo è applicato un cordone plastico con andamento approssimativamente orizzontale, a sua volta ornato da tacche oblique. Il vaso era modellato a mano con un impasto grossolano di colore bruno, con superfici interne ed esterne lisciate. Complessivamente, se ne conserva una porzione di 9,8 x 4,5 cm, mentre non è ricostruibile il diametro, con ogni probabilità di grandi dimensioni. Si tratta anche in questo caso di un contenitore adibito allo stoccaggio di derrate, riferibile come il precedente alle fasi di frequentazione del sito nel corso del Bronzo finale (metà XII - X secolo a.C.).
Tazza miniaturistica
Frammento di tazza miniaturistica in ceramica d’impasto con breve orlo svasato e arrotondato, demarcato nella parte esterna da una gola breve ma ben definita; il corpo è lenticolare, con una spalla arrotondata piuttosto accentuata. Il contenitore, lacunoso nella parte relativa al fondo, si conserva per un’altezza di 4 cm e doveva avere un diametro di circa 6,5 cm; è realizzato a mano con un impasto semidepurato di colore grigio/bruno con microscopici inclusi bianchi. La piccola tazza rimanda alla cultura veneta antica e può essere datata al V-III secolo a.C. Come tutti i vasi miniaturistici, ripropone in versione ridotta una forma comunemente utilizzata in ambito domestico; piccoli contenitori di questo genere sono frequentemente attestati in contesti votivi, sia pubblici (com’era il santuario di Magrè) sia privati.
Coppa miniaturistica
Frammento di coppa miniaturistica in ceramica grigia con orlo leggermente rientrante ingrossato nella parte interna, con margine superiore inclinato e piccolo labbro svasato e assottigliato nella parte esterna. Il corpo ha un profilo basso e schiacciato, con carena arrotondata nella parte mediana; il fondo è dotato di un piccolo piede ad anello. Alcuni confronti suggeriscono che il piccolo vaso potesse essere dotato anche di un’ansa a nastro sormontante. L’esemplare è alto 2,5 cm e presenta un diametro all’orlo di 5,9 cm; è realizzato al tornio con un impasto grigio chiaro, depurato, con superfici leggermente micacee. Si tratta anche in questo caso di un oggetto che rimanda ad un ambito culturale veneto e che trova confronti a Padova e nel suo territorio. La datazione è leggermente più recente rispetto al pezzo precedente (III-I secolo a.C.).
Bicchieri carenati
Dal sito di Magrè provengono anche alcuni frammenti di bicchiere in ceramica grigia, spesso contraddistinti dalla presenza di iscrizioni pseudo-alfabetiche graffite sulle pareti o all’interno del piede, sulla parte inferiore esterna del fondo. Dal punto di vista morfologico si tratta di contenitori caratterizzati da un orlo indistinto e arrotondato e da un corpo cilindrico o troncoconico svasato verso l’alto, desinente in un fondo bombato con piccolo piede ad anello; tipica della forma è la presenza di una carena sul profilo esterno, più o meno accentuata a seconda dei casi. Si tratta di manufatti databili al III-I secolo a.C., che rimandano ad un ambito culturale tipicamente veneto e più in particolare patavino, sebbene siano piuttosto numerosi anche in contesti di area vicentina, tra cui Bocca Lorenza e Piovene.