Nei primi anni del ‘900 una serie di indagini archeologiche interessò il territorio di Piovene, concentrandosi in particolare sul colle di Castel Manduca, un modesto rilievo posto a ovest del paese e così chiamato proprio per la presenza di un castello bassomedievale. Le ricerche presero il via in seguito ai ritrovamenti fortuiti effettuati su alcuni terreni posti alle pendici dell’altura e proseguirono poi sulla sommità stessa, portando alla luce alcune evidenze di grande interesse per la ricostruzione della storia dell’Alto Vicentino.
Le prime evidenze emersero nel corso di alcuni lavori agricoli eseguiti nel febbraio 1909 nel c.d. “brolo degli Orsi” (noto anche come Orto Barbieri dal nome del suo proprietario). Gli interventi riportarono alla luce i resti di muretti a secco e abbondanti frammenti ceramici di epoca preromana; questi vennero notati da don Rizieri Zanocco, che ne denunciò la scoperta alla Soprintendenza dei Musei e Scavi del Veneto e ottenne l’autorizzazione a condurre di persona ulteriori ricerche, portate a termine sotto la supervisione di Alfonso Alfonsi e con il contributo di Guido Cibin e dell’onorevole Gaetano Rossi. Le indagini interessarono la stessa proprietà Barbieri ma anche il vicino fondo Borriero. Vennero aperte in totale 5 trincee, la prima delle quali restituì le evidenze maggiormente significative.
I livelli più superficiali intercettati dagli scavi restituirono materiali riferibili all’epoca romana e tardoantica; tra questi don Zanocco segnala alcune monete (una delle quali attribuita a Costantino) e un laterizio frammentato con bollo Q. Curi C. f. Al di sotto di tali livelli venne individuata una più complessa sequenza riferibile a fasi protostoriche. Vennero infatti portati alla luce i resti di un’abitazione di cui si conservavano le murature a secco, il pavimento in argilla battuta e un focolare delimitato da pietre, ancora parzialmente coperto da ceneri e carboni; l’edificio venne probabilmente distrutto da un’alluvione e sulle sue rovine sorse un secondo fabbricato, più piccolo e realizzato con una tecnica costruttiva analoga ma meno accurata. Entrambe le strutture si rifanno ai modelli delle case seminterrate particolarmente diffuse nei territori retici, in Lessinia e sulle alture dell’Alto Vicentino nel corso della seconda età del Ferro. L’area dei fondi Barbieri e Borriero era però abitata già da epoche precedenti: gli abbondanti frammenti ceramici e i più rari manufatti in bronzo rinvenuti nel corso degli scavi dimostrano infatti che il sito venne occupato anche fra la piena età del Bronzo e la prima età del Ferro.
Secondo don Zanocco alcuni dei materiali più antichi fra quelli recuperati non sarebbero stati in situ, ma si sarebbe trattato piuttosto di manufatti trasportati a valle da quote superiori in seguito ad alluvioni o al semplice dilavamento del terreno posto più a monte. Si decise quindi di proseguire le ricerche sulla parte più alta del colle di Castel Manduca, dove del resto erano già state individuate le tracce di una frequentazione protostorica.
Le nuove campagne di scavo vennero portate a termine tra il marzo e il maggio del 1913 e vennero dirette, oltre che da don Zanocco, dallo stesso Guido Cibin. I primi livelli ad essere intercettati furono quelli riferibili alla frequentazione medievale dell’altura: vennero individuati una struttura pentagonale difesa da un muro e un secondo ambiente con pavimento in battuto e focolare in mattoni. Una volta indagate tali evidenze, l’attenzione degli scavatori si concentrò sui resti dell’abitato protostorico presente sull’altura: si trattava di un insediamento costituito da una serie di capanne di cui restavano soltanto i piani dei focolari in argilla scottata, costruite al di sopra di una massicciata e protette da muri a secco che andavano a delimitare lo spazio alla sommità del colle. Immediatamente al di fuori delle mura venne inoltre scavato un grande cumulo di ceneri e carboni, al cui interno erano presenti numerosi frammenti ceramici, più rari oggetti in metallo, resti di pasto e frammenti di concotto derivati dalle operazioni di smantellamento e pulizia dei focolari domestici. I numerosi reperti rinvenuti in tutta l’area, tra i quali don Zanocco segnala oltre 230 strumenti in pietra e alcuni vasi miniaturistici, si datano a partire dall’età del Bronzo antico; la fioritura del sito sembra tuttavia collocarsi in una fase successiva, datata all’età del Bronzo medio e recente.
Come si è visto, Guido Cibin partecipò attivamente agli scavi di Piovene, arrivando anche a dirigere le ricerche sulla sommità del colle di Castel Manduca. Ciononostante, solo pochi reperti provenienti dal sito sono ad oggi conservati nella sua collezione: si tratta di alcuni frammenti di tazze con apofisi cornute o cilindro-rette e di due vasi miniaturistici (peraltro già segnalati da don Zanocco nella prima pubblicazione delle ricerche condotte, datata al 1914). I restanti manufatti, in totale circa 190, provengono invece dai fondi Barbieri e Borriero: si tratta di abbondanti frammenti di ceramica vascolare e non vascolare e di oggetti in metallo, che complessivamente offrono uno spaccato completo delle attività svolte nel sito e delle sue diverse fasi di frequentazione, dall’età del Bronzo fino all’epoca romana.
Gli interessanti ritrovamenti dell'Orto Barbieri e di Castel Manduca furono oggetto di pubblicazione già pochi anni dopo l'avvio delle ricerche e i reperti rinvenuti vennero più volte citati come confronto per altri ritrovamenti della zona e come importanti documenti per la ricostruzione del quadro storico dell'Alto Vicentino in epoca preromana. Tra i principali contributi della prima metà del secolo scorso possono essere ricordati:
A. Alfonsi, Piovene. Scoperta di una stazione preistorica, in "Notizie degli Scavi di Antichità", 1911, pp. 273-279.
R. Zanocco, Stazione preistorica di Castel Manduca nel comune di Piovene (Vicenza), in “Bullettino di Paletnologia Italiana”, anno XL, 1914, pp. 164-174.
G. Pellegrini, Magrè (Vicenza). Tracce di un abitato e di un santuario, corna di cervo iscritte ed altre reliquie di una stipe votiva preromana, scoperte sul colle del Castello, in “Notizie degli Scavi di Antichità”, 1918, p. 193.
A. De Bon, Romanità del territorio vicentino, Vicenza 1938, p. 57.
Vaso miniaturistico
Frammento di piccolo vaso miniaturistico proveniente dalla sommità del colle di Castel Manduca. L’esemplare è contraddistinto da un fondo piano piuttosto spesso, corpo globulare con pareti curve e orlo arrotondato, leggermente assottigliato e appena inclinato verso l’interno; in corrispondenza dell’orlo è impostata anche un’ansa a gomito. Il frammento venne pubblicato per la prima volta nel 1914 da don Zanocco (fig. 8), che nell’occasione propose un disegno ricostruttivo dell’esemplare ipotizzando la presenza di una seconda ansa opposta alla prima; la frattura del pezzo non permette tuttavia di stabilire se questa fosse effettivamente presente o meno. Va tuttavia rilevato che l’oggetto sembra rappresentare in scala molto ridotta le più grandi tazze monoansate: sembra quindi probabile che anche in origine l’elemento da presa fosse uno soltanto. Il vaso misura 3,1 cm di diametro all’imboccatura e 2,2 cm di altezza; è modellato a mano in modo piuttosto sommario con un impasto semidepurato di colore arancione, con focature brune. L’ambito cronologico di appartenenza è quello del Bronzo antico o medio (metà XXI - seconda metà XIV secolo a.C.).
Vaso miniaturistico
Vaso miniaturistico proveniente dall’insediamento alla sommità del colle di Castel Manduca, come il precedente già documentato da don Zanocco nell’edizione di scavo del 1914 (fig. 9). Si tratta di un piccolo contenitore con fondo piano e spesso, corpo troncoconico con pareti pressoché diritte e svasate verso l’alto e orlo arrotondato e leggermente assottigliato; in corrispondenza dell’orlo e poco al di sopra del fondo sono visibili le cicatrici di una piccola ansa a sezione circolare piuttosto irregolare. L’esemplare è modellato a mano con un impasto semidepurato di colore arancione; le superfici esterne, di colore tendente al bruno, sembrano essere state lisciate. Il vaso misura 3,1 cm di altezza e 4,1 cm di diametro all’imboccatura. Come l’esemplare precedente, si data all’età del Bronzo antico-medio (metà XXI - seconda metà XIV secolo a.C.).
Vaso miniaturistico
Piccolo contenitore con fondo piano piuttosto spesso, corpo troncoconico leggermente svasato verso l’alto e orlo arrotondato appena assottigliato, dal profilo irregolare; il frammento conserva i due attacchi di una piccola ansa a sezione squadrata, impostata immediatamente al di sotto dell’orlo e poco al di sopra del fondo. Il vaso è modellato a mano in modo piuttosto corsivo, con un impasto semidepurato di colore bruno-arancione; misura 4,7 cm di diametro all’orlo e 3,5 cm circa di altezza massima. È databile all’antica o media età del Bronzo (metà XXI - seconda metà XIV secolo a.C.): la cronologia piuttosto alta suggerisce che possa trattarsi di un frammento dilavato dalla sommità del colle, secondo quanto osservato da don Zanocco, o che vada riferito alle più antiche fasi di frequentazione dell’area dell'Orto Barbieri.
Vaso miniaturistico
Vaso miniaturistico con fondo piano, corpo troncoconico con pareti leggermente curve e orlo arrotondato e assottigliato in prossimità del quale è presente una piccola presa a linguetta disposta orizzontalmente. L’esemplare, lacunoso, misura circa 3,5 cm di altezza e altrettanti di diametro. È modellato a mano con un impasto di colore bruno-arancione piuttosto grossolano. L’orizzonte cronologico di pertinenza è lo stesso dell’esemplare precedente.
Tazze
Tra i reperti più abbondanti e meglio conservati provenienti dall’area dei fondi Barbieri e Borriero vi sono le tazze monoansate, vasi destinati prevalentemente al consumo di bevande o - più in generale - alla consumazione del cibo sulla tavola. Gli esemplari della collezione Cibin provenienti dai fondi Barbieri e Borriero sono piuttosto diversificati dal punto di vista morfologico, sia per quanto riguarda la forma del corpo (emisferico o carenato a seconda dei casi), sia nella resa degli orli; in quest’ultimo caso la soluzione più comune prevedeva la realizzazione di brevi orli arrotondati, eventualmente svasati o distinti dalle pareti da una breve gola. Le anse sono a nastro, sormontanti, impostate in alto in corrispondenza dell’orlo e in basso sulla carena o sul punto di massima espansione del corpo, prevalentemente con apofisi cornute dalle estremità appiattite o leggermente espanse; più di rado si registra anche la presenza di apofisi ad ascia. Qualche frammento conserva anche parte del fondo, che si presenta piano o leggermente concavo. Tutte le tazze sono modellate a mano con impasti semidepurati, che in cottura hanno assunto colorazione variabile dal bruno al rosato; le superfici sono lisciate. Si tratta di vasellame databile all'età del Bronzo medio (XV-XIV secolo a.C.).
Olla
Frammento di olla con corpo globulare e orlo inflesso, indistinto e arrotondato; sulla spalla, in corrispondenza del punto di massima espansione del corpo del contenitore, è impostata un’ansa ad orecchio con sezione ovale schiacciata. Il contenitore si conserva per un’altezza di 9,1 cm e doveva avere un’ampiezza all’imboccatura di circa 19 cm. È modellato a mano con un impasto semidepurato di colore arancione con nucleo grigio e presenta superfici lisciate. Non è possibile stabilire con certezza per quale scopo fosse utilizzato il contenitore: le olle sono infatti vasi multifunzionali, molto comuni nei contesti domestici, dove venivano utilizzate sia per la cottura che per lo stoccaggio delle derrate alimentari. L’esemplare da Piovene si data all'età del Bronzo recente, più in particolare alla prima metà del XIII secolo a.C.
Fusaiole
Tra gli indicatori di attività domestiche rinvenuti nel corso degli scavi del fondo Barbieri spiccano 17 fusaiole. Si tratta di piccoli oggetti funzionali alla produzione di filati, realizzati in terracotta modellata a mano e di forma piuttosto variabile: gli esemplari in esame sono prevalentemente biconici o sferoidali, ma si distinguono anche due pezzi di forma troncoconica e una fusaiola bitroncoconica. In genere presentano un’altezza di 2-2,5 cm ca e un diametro di 3-4 cm, con singoli esemplari che raggiungono anche i 5-6 cm. Al di là delle differenze nel profilo e nella taglia, tutte le fusaiole sono dotate di un foro pervio, nel quale veniva inserito un fuso in legno (più di rado anche in osso o metallo): la fusaiola bilanciava il fuso stesso e ne favoriva la rotazione, permettendo di torcere in maniera regolare la fibra grezza (in genere di lana o lino) e di ottenere un filo omogeneo, di spessore più o meno elevato anche a seconda delle dimensioni e del peso della fusaiola utilizzata. Gli esemplari della collezione Cibin si daterebbero all’età del Bronzo antico (metà XXI - metà XVII secolo a.C.).
Rocchetto
Si lega alle attività di lavorazione di tessuti anche un rocchetto, probabilmente utilizzato (analogamente agli esemplari moderni) per avvolgervi il filo. L’esemplare in esame ha un corpo cilindrico allungato con profilo concavo ed estremità espanse e appiattite, su una delle quali è incisa una svastica. Misura 5,8 cm di altezza e 4,1 cm di diametro massimo ed è modellato a mano con un impasto poco depurato di colore arancione-grigiastro. Dal punto di vista cronologico si data ad una fase successiva rispetto agli esemplari di fusaiola, essendo attribuibile all’età del Ferro (IX-II secolo a.C.).
Tazza con graffito
Frammento di tazza tipo Sanzeno 1 con orlo estroflesso dal margine indistinto e arrotondato e alto collo cilindrico con profilo leggermente concavo, ben distinto dalla spalla da una nervatura orizzontale. La spalla stessa si presenta ampia e arrotondata e la parte inferiore del corpo assume un profilo leggermente schiacciato. Il frammento è lacunoso (misura 5,4 x 7 cm), ma i confronti permettono di ricostruire la forma del fondo che doveva presentare una marcata concavità centrale. Il contenitore è modellato al tornio con un impasto di colore bruno-arancione, ricco di inclusi scuri a granulometria fine. Dopo la cottura venne incisa sulla spalla un’iscrizione sinistrorsa in alfabeto retico meridionale, lo stesso del gruppo di Magrè. Una prima riflessione in merito venne portata avanti da Giuseppe Pellegrini nel 1918, proprio nell’ambito dello studio sulle corna iscritte di Magrè. Nell’edizione dello scavo lo studioso pubblicò anche un’immagine della tazza in esame (all’epoca conservata nel Museo Civico di Schio) fornita “dalla cortesia del sig. Guido Cibin”: secondo il Pellegrini nella scritta doveva essere letta la parola “φeχe”, una voce nominale purtroppo non meglio interpretabile. Per quanto riguarda la cronologia dell’esemplare, tazze con morfologia analoga sono molto comuni proprio nel mondo retico e si datano fra il III e il I secolo a.C.
Tazza con graffito
Frammento di piccolo contenitore di forma chiusa con spalla ampia e leggermente carenata, sulla quale sono state tracciate dopo la cottura alcune iscrizioni pseudo-alfabetiche. Il vaso era realizzato al tornio con un impasto di colore rossiccio con abbondanti inclusi bianchi di piccole dimensioni e superfici lisciate di colore grigio. Sebbene molto lacunoso (si conserva una porzione di 3,9 x 6,3 cm circa), il pezzo può essere attribuito ad un contenitore analogo al precedente, dunque ad una tazza tipo Sanzeno 1, con orlo estroflesso e fondo ombelicato databile fra il III e il I secolo a.C.
Bicchiere carenato con graffito
Frammento di bicchiere in ceramica grigia con corpo troncoconico svasato verso l’alto nella parte superiore, carena espansa e fondo bombato. Il contenitore, realizzato al tornio con un impasto depurato di colore grigiastro, si conserva per un’altezza di poco meno di 7 cm e doveva avere un diametro di circa 8 cm in corrispondenza del punto di massima espansione del corpo. Sulle pareti esterne sono tracciati alcuni segni pseudo-alfabetici. Il frammento è analogo ad esemplari rinvenuti nei siti di Bocca Lorenza e Magrè e al pari di questi si data fra il III e il I secolo a.C.
Coppa con graffito
Frammento di coppa in ceramica grigia, con vasca emisferica, fondo umbonato e piede ad anello, che in origine doveva misurare circa 7 cm di diametro. Il vaso era modellato a mano con un impasto molto depurato di colore grigio; dopo la cottura sulla parte delle pareti più prossima al fondo venne incisa un’iscrizione pseudo-alfabetica. Come nel caso dei bicchieri carenati, si tratta di una forma originaria del comparto veneto euganeo, che tuttavia si diffuse ampiamente anche nel territorio dell’alto vicentino in un orizzonte cronologico di III-I secolo a.C.
Aes rude
AE; 26,54 g
L’aes rude, letteralmente “bronzo non lavorato”, costituisce una forma pre-monetaria tipica dell’area italica durante la piena età del Ferro. Come suggerisce il termine latino, si tratta di frammenti solo vagamente abbozzati, e di peso variabile, ricavati da verghe metalliche. In ambito veneto si diffuse attraverso l’Etruria settentrionale a partire dalla fine del VII secolo a.C., come indicato dai contesti funerari. Tali manufatti, infatti vennero spesso utilizzati con valenza simbolica, sia nelle sepolture, sia nei contesti votivi come ex voto.
Tegola bollata
Frammento di probabile tegola ad alette realizzata con un impasto depurato, poroso e polveroso, di colore rosato, conservato per una ridotta porzione di 10x13 cm ca.; lo spessore è di 2,5 cm. Il frammento presenta il bollo [---]RI·C·F in lettere capitali prive di cartiglio, alte 1,9 cm e impresse in maniera più marcata nella parte inferiore. Sebbene lacunoso, il bollo può essere sciolto e integrato in [Q(uinti) Cu]ri C(ai) f(ili), secondo un’interpretazione già avanzata da Alfonso Alfonsi nel 1911 al momento della prima edizione dello scavo. Quinto Curio fu un produttore di laterizi particolarmente attestati nel territorio di Vicenza: fra i numerosi esemplari rinvenuti, oltre a quello in oggetto, vale la pena ricordare almeno il grande frammento di tegola citato da Alessio De Bon come “dimostrazione eloquente della importanza e diffusione dei materiali laterizi” (De Bon 1938, p. 9 e fig. 20). L’attività dell’officina, i cui prodotti vennero esportati anche in territorio padovano, si colloca nella prima metà del I secolo d.C.