La grotta di Bocca Lorenza è uno dei siti che meglio testimoniano la millenaria presenza dell’uomo nell’Alto Vicentino. Situata sul versante sud del monte Summano, a 387 m s.l.m., la cavità si compone di un vestibolo e di una serie di sale poste a profondità crescente all’interno della roccia. Fu frequentata per un arco di tempo molto esteso e per scopi diversi a seconda delle epoche.
Da sempre nota agli abitanti della zona, il primo a riconoscerne l’interesse archeologico fu don Rizieri Zanocco, che nel 1908 vi raccolse alcuni reperti e subito coinvolse Guido Cibin nelle ricerche. Nel corso dell’anno i due riportarono alla luce numerosi frammenti di ceramica preistorica, selci lavorate e ossa di animali il cui interesse apparve immediatamente chiaro a Cibin e lo spinse a consultare Giuseppe Pellegrini, allora Soprintendente agli Scavi di Antichità del Veneto e ordinario della cattedra di Archeologia all’Università di Padova. Pellegrini, “sorpreso dalla bellezza e dalla singolarità di alcuni oggetti litici che il sig. Cibin […] esibiva”, si impegnò affinché fosse la stessa Sopraintendenza ai Musei e Scavi Archeologici del Veneto a portare avanti le indagini, sotto la direzione di Alfonso Alfonsi, soprastante del Museo di Este. Gli scavi, condotti nei primi mesi del 1909, si concentrarono in particolare nel vestibolo della grotta, dove vennero individuati - fra le altre evidenze - i resti di un probabile focolare, oltre ad abbondanti frammenti ceramici e litici, noduli di ocra rossa e gialla, un’ascia in rame, ossa di animali domestici e selvatici (anche lavorate) e alcuni resti umani parzialmente combusti. Dopo questa prima stagione, le ricerche ripresero negli anni ’30 e poi nel 1961, su iniziativa del Gruppo Grotte del C.A.I. di Schio; di nuovo vennero recuperati numerosi manufatti in terracotta, pietra, osso lavorato e metallo, tra cui due ulteriori asce in rame.
I dati di scavo e lo studio dei reperti hanno permesso agli studiosi di scandire con maggiore precisone le diverse fasi di frequentazione di Bocca Lorenza e di ipotizzare da chi e perché essa venne occupata. Larga parte dei manufatti è attribuibile alle fasi finali del Neolitico (4000/3800-3500/3300 a.C. ca.): in quest’epoca la grotta doveva essere utilizzata come ricovero temporaneo da gruppi di pastori. Con il passaggio all’età del Rame (3300-2300 a.C. ca.) la caverna divenne luogo di sepoltura, come testimoniano sia i resti umani rinvenuti sia alcuni oggetti di ornamento in osso probabilmente deposti come corredo per i defunti. Durante l’età del Bronzo (2300-900 a.C. ca.) essa tornò ad essere sfruttata per prevalenti scopi abitativi, di cui resta traccia nell’abbondante vasellame per uso domestico. Nel corso della seconda età del Ferro (V-II secolo a.C.) la frequentazione della fascia collinare in cui si trova Bocca Lorenza si intensificò notevolmente grazie al rinnovato interesse per le pratiche pastorali che qui potevano essere condotte. Secondo alcuni studiosi, le tracce di frequentazione risalenti a quest’epoca si legherebbero proprio alla ripresa di tali attività; secondo altri, invece, sarebbe più verosimile l’ipotesi di un utilizzo della grotta come luogo di culto, come suggerirebbe il ritrovamento di oggetti quali frammenti di vasi miniaturistici e di contenitori in ceramica grigia e manufatti in corno di cervo con iscrizioni pseudo-alfabetiche. Piuttosto scarse sono le testimonianze relative all’epoca romana e tardoantica, due fasi cui possono essere ricondotti solo pochi reperti, tra cui qualche frammento ceramico, una moneta di Giulio Vero Massimo datata tra il 235 e il 238 d.C., una macina e rari strumenti da toilette in osso; più abbondanti sono invece i manufatti databili all’epoca medievale, quando la grotta tornò ad essere utilizzata prevalentemente come riparo stagionale.
I reperti rinvenuti nel corso delle ricerche condotte a Bocca Lorenza sono in gran parte conservati presso il Museo Naturalistico e Archeologico di Vicenza e il Museo Archeologico dell’Alto Vicentino a Santorso. Quelli custoditi nella collezione Cibin sono attualmente poco più di 750. I manufatti sono attribuibili a diverse classi di materiale: prevalgono i frammenti ceramici e le selci, seguiti dagli oggetti in osso/corno e in metallo e da altre tipologie di resti, talvolta relativi anche a materiale meno appariscente e non lavorato, che Cibin ebbe comunque la cura di raccogliere (alcuni piccoli frammenti di ambra grezza, frustoli di carbone, ossa animali non lavorate e ossa umane). Nel loro insieme i reperti abbracciano le diverse fasi di frequentazione della grotta: i pezzi più antichi si datano infatti al Tardo Neolitico, mentre quelli più recenti risalgono al Basso Medioevo. Essi costituiscono una documentazione di grande utilità per la ricostruzione storica del sito archeologico.
L'importanza di Bocca Lorenza nel quadro della frequentazione del territorio altovicentino durante l'età antica ha fatto sì che i ritrovamenti avvenuti all'interno della grotta siano stati citati e analizzati in numerose pubblicazioni scientifiche, che si susseguirono già a partire dagli anni immediatamente successivi alle scoperte di don Zanocco e Cibin. Tra queste prime pubblicazioni si possono ricordare almeno:
L. Pigorini, Stazione primitiva nel comune di Santorso (Vicenza), in “Bullettino di Paletnologia Italiana”, anno XXXV, 1909, pp. 39-40.
G. Pellegrini, Stazione eneolitica della caverna Bocca Lorenza presso Sant’Orso (Vicenza), in “Bullettino di Paletnologia Italiana”, anno XXXVI, 1910, pp. 71-85.
U. Rellini, Stazione eneolitica della cav. Bocca Lorenza, presso Sant’Orso (Vicenza), in “Bullettino di Paletnologia Italiana”, anno LII, 1932, p. 108.
Vaso a quattro beccucci
Vaso a quattro beccucci con corpo troncoconico e orlo rientrante leggermente assottigliato, al di sotto del quale è impostata una piccola ansa ad anello con foro orizzontale. Sulla parte esterna dell’orlo è presente una decorazione con un motivo a spina di pesce inciso a crudo in modo piuttosto irregolare. Il contenitore è realizzato con un impasto di colore bruno-rossastro e presenta superfici lisciate, sulle quali affiorano pochi inclusi di grandi dimensioni e di colore scuro. Si conservano 2 frammenti combacianti, che nel complesso raggiungono un’altezza di 9 cm e una larghezza di 8,5 cm. Tuttavia già nei primi decenni del ‘900 venne eseguito un restauro, che portò alla ricostruzione integrale dell’oggetto: nell’edizione di Alessio De Bon, datata al 1938, l’esemplare appare già completamente ricostruito (fig. 109). Per caratteristiche morfologiche e decorative il contenitore si inserisce nel quadro della III fase della cultura dei Vasi a Bocca Quadrata e può essere datato all’ultimo quarto del IV millennio a.C.; trova confronto in altri contesti dell’area veneta, tra cui Rivoli Veronese e Castelnuovo di Teolo (Padova).
Olla con orlo estroflesso
Olla globosa con breve orlo leggermente estroflesso e margine arrotondato appena assottigliato. La spalla è decorata da incisioni eseguite che disegnano una serie di triangoli tratteggiati con vertice rivolto verso l’alto. L’impasto è semidepurato, di colore beige, con superfici esterne lisciate. Anche in questo caso si tratta di un contenitore interamente ricostruito agli inizi del secolo scorso; le dimensioni originali del frammento sono di 7,7 cm di altezza e 8 cm di larghezza, per un diametro ricostruibile di 25,4 cm. L’ambito cronologico e culturale di appartenenza è il medesimo del vaso precedente.
Olla con orlo estroflesso
Olla globosa con spalla accentuata e breve orlo estroflesso dal margine leggermente arrotondato. La spalla è decorata da due linee parallele con andamento a zig-zag, incise con tratti piuttosto irregolari. L’impasto è semidepurato, di colore variabile da beige-rossastro a grigio-bruno a seconda della porzione del contenitore considerata; le superfici esterne sono lisciate. Dell’esemplare originale si conservano due frammenti combacianti, alti nel complesso 11 cm e larghi 15 cm, con un diametro ricostruibile di 22 cm ca. all’imboccatura. In origine, tuttavia, dovevano esservi più pezzi attribuibili al contenitore: nell’immagine pubblicata da Giuseppe Pellegrini nel 1911 (fig. B) l’olla risulta infatti composta da 3 frammenti. Solo in seguito il recipiente venne sottoposto a restauro integrativo, forse insieme ai due vasi precedenti, di cui condivide anche l’attribuzione cronologico-culturale.
Scodellone con orlo rientrante
Scodellone con corpo globulare e orlo rientrante dal margine arrotondato e leggermente assottigliato; poco al di sotto dell’orlo, in corrispondenza del punto di massima espansione del contenitore, è impostata una piccola ansa ad anello con foro orizzontale. Alla stessa altezza è stata realizzata anche la decorazione, costituita da piccole impressioni circolari eseguite con uno strumento dalla punta arrotondata; i punti sono disposti su due file parallele con andamento approssimativamente orizzontale, piuttosto irregolare. Lo scodellone è realizzato con un impasto semidepurato di colore beige-arancione chiaro e presenta superfici esterne lisciate. Interamente ricostruito nella prima metà del ‘900, aveva un diametro all’imboccatura di 20 cm circa e al momento del recupero se ne conservavano solo due frammenti corrispondenti ad una ridotta porzione di circa 9 cm di altezza per 10 cm di larghezza. Si tratta ancora una volta di un contenitore riferibile all’ultimo quarto del IV millennio a.C., ossia alla III fase della cultura dei Vasi a Bocca Quadrata.
Industria litica
Oltre 260 reperti della collezione Cibin provenienti dal sito di Bocca Lorenza sono riferibili a manufatti ottenuti tramite scheggiatura di selci. Questi possono essere attribuiti a forme diverse: si distinguono (da sinistra a destra e dall’alto in basso) lame ritoccate o a dorso, ogive foliate, punte foliate o a dorso, grattatoi, raschiatoi foliati e bifacciali, troncature, becchi-punta e un tranciante campignano, quest’ultimo già pubblicato da Giuseppe Pellegrini nel 1911 (fig. A). Non è purtroppo possibile assegnare ciascun esemplare ad una funzione univoca, essendo le diverse forme utilizzabili per portare a termine attività differenti. Più precisa è invece l’attribuzione dei pezzi ad uno specifico ambito cronologico e culturale, che nel complesso appare comunque piuttosto ampio e rappresentativo di alcune delle principali fasi di frequentazione della grotta: la maggior parte degli utensili è riferibile all’ultimo quarto del IV millennio a.C. oppure alla prima metà/pieno III millennio a.C., mentre un singolo esemplare può essere fatto risalire all’antica/media età del Bronzo (metà XXI - seconda metà XIV secolo a.C.).
Manufatti in materia dura animale
Serie di manufatti in materia dura animale, ottenuti per intaglio e levigatura di frammenti di palco di cervo, di corno o di osso. Si distinguono in particolare una spatola in corno (in alto a sinistra) e diverse tipologie di punteruoli: due esemplari sono realizzati a partire da pugnali di palco di cervo e presentano sezione ovale e punta stondata (in basso a destra); gli altri, invece, sono per lo più ricavati da coste di animali di media taglia e presentano in alcuni casi una larga punta stondata dalla sezione appiattita (in alto a destra), in altri un’estremità più sottile e acuminata a sezione circolare o ovale (in basso a sinistra). Come per gli strumenti litici, non è sempre facile comprendere per che scopo fossero utilizzati tali strumenti; fra le ipotesi più plausibili vi è quella di un impiego come perforatori di materiali morbidi (per esempio pellame). L’orizzonte cronologico di riferimento è compreso tra la fine del IV e l’inizio del III millennio a.C.
Ornamenti in materia dura animale
Quattro oggetti di ornamento in materia dura animale, tutti dotati di un foro di sospensione circolare ad un’estremità. I pendagli sono ricavati rispettivamente da un incisivo di maiale, un dente di carnivoro, un dente atrofico di cervo e da una conchiglia del genere Pectunculus. La pratica di utilizzare denti di suidi e carnivori (cani, volpi e orsi in particolare) per la realizzazione di ornamenti è diffusa lungo un ampio arco cronologico ma sembra caratterizzare in modo particolare le fasi dell’età del Rame, epoca alla quale possono essere attribuiti anche gli esemplari di Bocca Lorenza. Particolarmente suggestiva è l’ipotesi di un’originaria deposizione accanto ai resti umani rinvenuti nella grotta, secondo una prassi che troverebbe confronto in numerosi ripari sepolcrali databili al III millennio a.C.
Anse di tazza
Frammenti di tazze emisferiche o carenate con anse a nastro verticali dotate di apofisi variamente conformate: si distinguono in particolare, da sinistra verso destra, un’apofisi cornuta ed una cilindro-retta. I contenitori sono sempre modellati a mano con impasti di colore bruno-nerastro e presentano superfici esterne e interne lisciate. Per forma e dimensioni e per la presenza delle anse le tazze vengono generalmente considerate dei vasi potori, destinati cioè al consumo di bevande. Gli esemplari da Bocca Lorenza possono essere attribuiti al XVI-XV secolo a.C. e testimoniano quindi la frequentazione della grotta nel corso dell’età del Bronzo medio.
Peducci di vaso tripode
Frammenti di vasi tripodi in ceramica d’impasto. Dei contenitori si conservano soltanto singoli peducci (in origine 3 per ogni individuo), tutti con corpo cilindrico a sezione circolare e base appiattita (talvolta appena ingrossata), innestati sulla parte inferiore delle pareti dei vasi con un andamento leggermente obliquo. Molti esemplari sono ornati da cordoni decorati ad impressioni o unghiate oppure da una serie di tacche orizzontali; talvolta le diverse tecniche possono essere combinate a creare schemi compositivi più complessi (3 cordoni convergenti con impressioni a unghiate oppure tacche orizzontali associate ad un cordone - anch’esso orizzontale - con impressioni tondeggianti). Sebbene alcuni esemplari siano stati rinvenuti anche all’interno di stipi votive, i vasi tripodi erano con ogni probabilità dei recipienti destinati ad essere utilizzati in ambito domestico, per la cottura dei cibi ma forse anche come “scaldini”; i peducci, sempre piuttosto robusti e ben sviluppati in altezza, dovevano avere proprio la funzione di distanziare il corpo dei contenitori dalle braci sottostanti. Si tratta di una forma che sembra essere caratteristica dei contesti altovicentini della tarda età del Ferro; gli esemplari da Bocca Lorenza, in particolare, si daterebbero fra la seconda metà del IV e la fine del I secolo a.C.
Bicchiere carenato con graffito
Frammento di bicchiere carenato in ceramica grigia. Si conserva solo parte del corpo troncoconico, separato dal fondo a calotta da una carena piuttosto marcata, leggermente espansa verso l’esterno. Nel suo punto di massima ampiezza il contenitore misurava 9,5 cm. Sulla porzione superiore delle pareti sono graffiti alcuni segni pseudo-alfabetici, purtroppo di difficile interpretazione. La presenza di indicazioni alfabetiche su contenitori in ceramica grigia, e su bicchieri carenati in particolare, trova riscontro in altri siti del Vicentino (Magrè, Malo, Montecchio Precalcino, Piovene, Rotzo, Trissino, la stessa Vicenza), alcuni dei quali rappresentati anche da materiali della collezione Cibin. Si tratta tuttavia di una classe ceramica originaria dei settori più meridionali della regione, la cui diffusione nelle prealpi vicentine si deve probabilmente all’influenza economica e culturale esercitata sull’area dal centro urbano di Padova. Il fenomeno interessa i secoli III-I a.C., epoca cui va ricondotto anche il frammento in esame.
Pentola in ceramica grezza
Frammento di pentola in ceramica comune grezza, con pareti dall’andamento verticale e breve orlo estroflesso dal profilo squadrato, con leggero incavo interno per il coperchio e margine esterno scanalato. Il diametro all’imboccatura era di 26 cm ca. Le superfici esterne delle pareti sono decorate da un’ampia fascia di linee orizzontali realizzate a pettine, delimitata nella parte superiore da un listello con decorazione a tacche e in quella inferiore da una banda leggermente rilevata ornata da un fascio di linee ondulate. Il contenitore, modellato al tornio, è realizzato con un impasto bruno-rossastro con superfici scure, all’interno del quale si distinguono abbondanti inclusi bianchi e grigi di granulometria media e fine. Può essere ascritto ad un orizzonte cronologico di XIV-XVII secolo d.C. e testimonia quindi una delle ultime fasi di frequentazione del sito di Bocca Lorenza.