Tra i materiali della collezione Cibin sono presenti alcuni reperti ceramici di cui non è noto il contesto di provenienza e per i quali le indicazioni pervenute riportano soltanto generiche diciture che rimandano al territorio altovicentino. Si tratta di poco meno di venti oggetti databili per lo più all’età romana imperiale e attribuibili a varie classi di materiale utilizzate per portare avanti diverse attività in ambito domestico.
Alcuni pezzi sono riferibili a contenitori da mensa, ossia a vasi destinati a presentare il cibo sulla tavola oppure a servire e consumare bevande; sono poi presenti alcuni balsamari (piccole ampolle utilizzate per conservare oli, profumi o sostanze pregiate per uso cosmetico o medicinale) e lucerne, funzionali ad illuminare gli ambienti.
Tali manufatti potevano essere impiegati anche in ambito funerario per la celebrazione di banchetti funebri e la presentazione di offerte, oppure come corredo per i defunti. Visto l’ottimo stato di conservazione di molti degli esemplari della collezione Cibin, non è escluso che alcuni di essi provenissero in origine proprio da contesti di necropoli. Del resto era impiegato per la realizzazione di una tomba a cassetta anche un bell'esemplare di tegola bollata presente nella collezione, rinvenuto nell'area di Santorso.
Resta invece più incerta la provenienza di un interessante peso da telaio in terracotta, recante l'impressione di una gemma con la raffigurazione di una tessitrice, a quanto pare ritrovato anch'esso a Santorso.
Di provenienza altovicentina, infine, è pure una macina a sella in trachite euganea, confrontabile con esemplari provenienti da Santorso, Caltrano e altri siti del territorio.
Alcuni di questi manufatti sono sinteticamente presentati in: A. De Bon, Romanità del territorio vicentino, Vicenza 1938.
Macina in trachite
Levigatoio di macina a sella in trachite: si tratta della base sulla quale veniva steso il materiale da triturare, probabilmente cereali. Questi erano ridotti in farina grazie al ripetuto sfregamento di una seconda pietra, più piccola e in genere di forma arrotondata, detta macinello. L’esemplare, di provenienza locale, misura 45 cm di lunghezza e 24 di larghezza, è dotato di due prese cilindriche laterali e ha forma ellittica, con faccia superiore piana e parte inferiore convessa; quest’ultima è decorata da una serie di incisioni pseudo-alfabetiche tracciate sia sul corpo dell’oggetto sia in corrispondenza delle prese. Graffiti analoghi sono segnalati anche su una macina rinvenuta da Paolo Orsi a Caltrano, ma manufatti simili non decorati sono comuni in tutto il territorio altovicentino a partire dal VI-V secolo a.C. fino alle soglie dell’età romana. La loro presenza è indicativa dell’esistenza di fiorenti rapporti commerciali tra questo settore dell’area prealpina e il comparto euganeo, dove le macine in trachite erano prodotte.
Coppa in ceramica a vernice nera
Coppa in ceramica a vernice nera con orlo indistinto e arrotondato, pareti svasate con lieve carenatura all’altezza della spalla e curvatura più marcata nella parte inferiore; il fondo è ispessito nella parte centrale e dotato di un piede ad anello a sezione quadrangolare. L’altezza è di 5,2 cm, il diametro all’orlo di 14,5 cm, quello al fondo di 6,4 cm. La coppa è modellata al tornio con un impasto rosato, depurato, tenero e polveroso. La vernice, stesa in maniera disomogenea e con evidenti colature in prossimità del fondo è opaca, poco coprente, parzialmente scrostata, di colore nero/bruno ma con focature rosse particolarmente evidenti in corrispondenza del piede, probabilmente dovute all’effetto dell’impilaggio dei contenitori all’interno della fornace. Si tratta con ogni probabilità di un contenitore di manifattura locale o - più genericamente - nord-italica, la cui datazione può essere circoscritta tra la fine del II e la fine del I secolo a.C.
Olpe in ceramica comune verniciata
Olpe in ceramica comune con orlo estroflesso dotato di versatoio, stretto collo cilindrico leggermente svasato nella parte inferiore, corpo ovoide con spalla accentuata e rialzata e fondo piano con basso piede a disco ben distinto dalle pareti e due scanalature concentriche nella parte inferiore. Il contenitore è dotato di un’ansa a bastoncello a sezione circolare impostata in alto subito al di sotto dell’orlo e in basso in corrispondenza della spalla. È modellato al tornio con un’argilla depurata, polverosa, di colore arancione, sulla quale venne steso un ingobbio rosso, opaco, ormai in gran parte abraso; si tratta probabilmente di un esemplare di origine locale o regionale. Misura 15 cm di altezza; il diametro dell’orlo si attesta sui 2,6 cm, quello del fondo attorno ai 4 cm. L’assenza di confronti puntuali e la genericità della forma rendono difficile un preciso inquadramento cronologico del contenitore, che sembrerebbe comunque ascrivibile alla prima età imperiale.
Boccale in ceramica a pareti sottili
Boccale in ceramica a pareti sottili con orlo a fascia leggermente estroflesso con estremità assottigliata e appena appuntita, collo segnato da una nervatura orizzontale (da cui la comune denominazione di “boccale a collarino”), corpo ovoide con profilo leggermente schiacciato e carena accentuata in corrispondenza del punto di massima ampiezza e piccolo piede a disco ben distinto dalle pareti. Il contenitore è dotato di un’ansa a bastoncello a sezione circolare impostata in alto in corrispondenza del collo e in basso sulla carena. Se ne conservano 9 frammenti parzialmente ricomposti, che nel complesso misurano 8 cm di altezza e 7 cm di diametro all’orlo. È realizzato al tornio con un impasto fine di colore arancione, ruvido e leggermente micaceo; le superfici esterne sono lisciate. I boccali a collarino rappresentano una delle forme più tarde delle produzioni di ceramica a pareti sottili e possono essere datati tra l’età flavia e l’inizio del III secolo d.C.
Balsamario fusiforme in ceramica comune
Balsamario in ceramica comune depurata con piccolo orlo a fascia ben distinto nella parte esterna, lungo collo cilindrico, corpo fusiforme e alto piede leggermente strombato nella parte inferiore, desinente in un fondo piano. L’esemplare raggiunge i 15,6 cm di altezza e presenta un diametro massimo di 4,7 cm. È modellato al tornio con un impasto depurato di colore rosato; le superfici sono accuratamente lisciate (un tratto caratteristico del tipo) e presentano un colore più scuro in corrispondenza del collo e dell’orlo del contenitore. I balsamari fusiformi, utilizzati sia in contesti domestici che in ambito funerario come contenitori di unguenti, profumi o medicamenti, derivano da prototipi comuni in ambito ellenico già nel IV secolo a.C.; sono attestati in area italica e in particolare in Etruria a partire dal III secolo a.C., per poi diffondersi nei contesti nord-italici fra il II secolo a.C. e la prima metà del I secolo d.C. L’esemplare della collezione Cibin va probabilmente ascritto proprio alle ultime fasi della produzione del tipo (I secolo a.C. - prima metà del I secolo d.C.).
Balsamario piriforme in ceramica comune
Balsamario fittile con orlo estroflesso, ingrossato e arrotondato, alto collo cilindrico leggermente svasato verso l’alto, corpo piriforme e piccolo fondo piano. Secondo alcuni autori la conformazione dell’orlo sarebbe stata funzionale ad applicare per sfregamento i profumi o i medicinali contenuti nell’ampolla. L’esemplare è realizzato al tornio con un impasto depurato di colore rosato, rivestito da un ingobbio rosso-brunastro mal conservato, steso anche sulle superfici interne al fine di impermeabilizzarle. Misura 10 cm di altezza e 2,5 cm di diametro all’orlo. I balsamari piriformi vennero utilizzati prevalentemente nel periodo compreso tra la metà del I secolo a.C. e la metà del successivo, quando l’affermarsi di contenitori di forma analoga realizzati in vetro portò all’interruzione della produzione.
Vasetti piriformi in ceramica comune
Piccoli vasi in ceramica comune con orlo fortemente estroflesso dal margine ripiegato verso l’alto in modo tale da creare un incavo interno, in uno degli esemplari ulteriormente rimarcato da una costolatura in corrispondenza dell’attacco al collo del recipiente. Il collo è cilindrico, stretto, caratterizzato da una strozzatura al di sotto dell’orlo, tipica degli oggetti in esame. Il corpo è piriforme, solcato da marcate costolature nella parte esterna e desinente in un piccolo puntale cilindrico con base piana, in uno dei due esemplari visibilmente deformato. In entrambi i casi sono presenti delle sbavature d’argilla in corrispondenza del punto di massima espansione del corpo: si tratta ancora una volta di una caratteristica già riscontrata su vasi analoghi e ricondotta alla pratica di porre ad essiccare i contenitori ancora umidi uno accanto all’altro, a contatto tra loro. Le dimensioni dei due oggetti sono contenute: misurano infatti - rispettivamente - 9,5 e 11,2 cm di altezza, per circa 5 cm di diametro all’orlo. Sono modellati con un’argilla dura, depurata, di colore rosato con superfici giallastre. La funzione dei vasetti piriformi resta ad oggi discussa e autori diversi hanno proposto in merito letture differenti, per nessuna delle quali è giunta finora conferma dai dati archeologici o da altre categorie di fonti. Secondo le ipotesi più comuni i contenitori sarebbero stati utilizzati come bossoli per il gioco dei dadi (fritilli), elementi posti a chiusura delle anfore, unguentari o lampade. L’arco cronologico di riferimento va dalla seconda metà del I al II secolo d.C., con possibili attardamenti fino alla metà del III secolo.
Lucerna in terracotta
Lucerna con corpo biconico maggiormente sviluppato nella parte superiore, fondo leggermente concavo, disco ribassato delimitato da un alto bordo e foro per l’alimentazione piuttosto ampio. È inoltre presente un’ampia ansa a nastro con costolatura mediana. L’esemplare è lacunoso e non è dunque possibile ricostruire la sua parte anteriore e la conformazione del becco; la parte conservata misura 7,2 cm di lunghezza e 4,9 cm di altezza. La lucerna venne realizzata al tornio con un impasto depurato, duro, di color nocciola, con frattura netta; le superfici sono rivestite da una vernice brunastra. Tali caratteristiche tecniche sembrerebbero suggerire per l’esemplare un’origine nord-italica, ma i prototipi di riferimento per la forma derivano probabilmente dall’area greca o magno-greca. Si data tra la seconda metà del II secolo a.C. e la metà del secolo successivo.
Lucerna in terracotta
Lucerna a disco fratturata in due parti ma completamente ricostruibile. Presenta un corto becco di forma arrotondata, delimitato lateralmente da due tratti curvilinei tangenti il disco. Il serbatoio è troncoconico, con fondo piano delimitato da una solcatura e decorato da 5 occhi di dado disposti a croce. La spalla ha un andamento leggermente spiovente, è decorata da una serie di ovoli con incisione mediana ed è separata con una modanatura dal disco, a sua volta ornato da una breve fascia di tratti disposti a raggiera. Il foro centrale per la ricarica del combustibile risulta leggermente disassato rispetto all’asse dell’oggetto. La lucerna, priva di ansa, ha un diametro di 8 cm, una lunghezza massima di 9,2 cm e un’altezza di 2,7 cm. Venne prodotta a matrice con un’argilla fine e compatta, di colore beige, sulla quale venne steso un rivestimento denso e piuttosto coprente di colore arancione; tali caratteristiche tecniche suggeriscono per il pezzo un’origine locale o - più in generale - nord-italica. L’arco cronologico di riferimento si colloca tra la prima metà del I e il II secolo d.C.
Lucerna in terracotta
Lucerna a disco con corto becco arrotondato, separato dalla spalla da una linea dritta ai cui lati sono impressi due occhi di dado. Il serbatoio è troncoconico e appiattito, con spalla poco sviluppata e spiovente all’esterno. Il disco è ribassato, delimitato da una profonda solcatura e decorato da una corolla a 12 petali. Sul fondo piano, delimitato - come il disco - da una scanalatura, sono impressi due occhi di dado. La lucerna, priva di ansa, ha un diametro di 7,7 cm, una lunghezza massima di 9 cm e un’altezza di 3 cm. È realizzata a matrice con un’argilla rosata rivestita da una vernice rossa stesa in modo irregolare e parzialmente abrasa. Si data tra la metà del I e la metà del II secolo d.C.
Lucerna in terracotta
Lucerna a disco con corto becco arrotondato, separato dalla spalla da una linea leggermente curva. Il serbatoio, privo di ansa, ha profilo troncoconico e appiattito e fondo piano delimitato da una scanalatura. La spalla è breve, spiovente verso l’esterno e separata da una marcata solcatura dal disco, che si presenta ribassato e decorato da una corolla a 19 petali. L’esemplare ha un diametro di 7,4 cm, una lunghezza massima di 8,8 cm e un’altezza di 2,7 cm. È fabbricato a matrice con un’argilla rosata, tenera e polverosa, rivestita da una vernice di colore rosso scuro tendente al bruno, opaca e in parte abrasa. L’ambito cronologico di riferimento è lo stesso della precedente.
Lucerna in terracotta
Lucerna con serbatoio ovoidale carenato e leggermente fessurato in corrispondenza dell’attacco tra le due valve. Il becco è indistinto dal corpo, ha forma leggermente allungata ed è configurato a canale aperto. Il disco è ribassato, dotato di un unico foro centrale per l’illuminazione, decorato da un motivo floreale ormai poco leggibile. La spalla è convessa e ornata da due rami di palma stilizzati che seguono il profilo del disco. Il fondo è leggermente concavo, contornato da una nervatura collegata all’ansa nella parte posteriore dell’oggetto. L’ansa stessa, di piccole dimensioni, è piena, di forma triangolare irregolare, solcata da una scanalatura mediana. L’esemplare, unico fra le lucerne della collezione Cibin, presenta in corrispondenza del foro dello stoppino chiare tracce di bruciatura, segno che l’oggetto venne effettivamente utilizzato in antico. La lucerna misura 11,7 cm di lunghezza per 5,3 cm di altezza. Venne realizzata a matrice con un impasto depurato di colore arancione, rivestito da una vernice pure di colore arancione, in gran parte scrostata. Si tratta di un oggetto prodotto in area adriatica su imitazione di lucerne di origine nord-africana largamente diffuse tra la seconda metà/fine del IV e il V secolo d.C.
Peso da telaio in terracotta
Peso da telaio in terracotta a forma troncopiramidale irregolare, con foro passante circolare nella porzione superiore. Su una delle facce è presente l’impronta di una gemma raffigurante una tessitrice intenta a lavorare su un telaio verticale, impressa capovolta. L’oggetto è realizzato a stampo con un impasto duro, depurato, di colore beige e con superfici lisciate; misura 9,2 cm di altezza per 6,1 cm di larghezza massima. Si ritiene che i pesi conformati come quello in esame fossero funzionali a tendere i fili dell’ordito nel corso della lavorazione di tessuti sul telaio verticale. Più complessa è la definizione cronologica dell’esemplare, che va comunque ascritto all’epoca romana. Si tratta probabilmente dello stesso pezzo per il quale è stata proposta una provenienza dall'area del Castello a Santorso (M. Gamba, Il monte Summano. Un santuario sulle vie della transumanza, in La lana nella Cisalpina romana. Economia e società, Padova 2012, p. 89); ciò assume particolare rilevanza alla luce dell'intensa attività tessile documentata nell'abitato sin dall'età preromana e della presenza di un importante santuario posto alla sommità del monte Summano, un luogo di culto strettamente legato alla pastorizia, all’allevamento e alle attività correlate.
Frammento di tegola bollata
Frammento di tegola contraddistinto dal marchio di fabbrica T·FREM·CA[…], con lettere capitali impresse senza cartiglio. Il nome del produttore, forse T(itus) Frem(ius) Ca(ndidus), è noto nel territorio vicentino grazie a una serie di ritrovamenti da Vicenza, Marano e Santorso. Proprio da quest'ultimo centro proviene anche l’esemplare della collezione Cibin: secondo quanto riportato da alcune brevi annotazioni conservate assieme al pezzo, esso fu rinvenuto nell’autunno del 1929. La tegola era stata utilizzata assieme ad altre simili per realizzare una tomba a cassetta. Si data verosimilmente al I secolo d.C.