di Marzia Breda (Museo di Zoologia, Università di Padova)
Secondo i suggerimenti dati dal bibliotecario Morelli ai Riformatori allo Studio nel 1784, le "Cose di Storia Naturale" del monastero di Verdara e cioè
minerali, Fossili e Crostacei; Coralli, Coralloidi e Frutti marini; Gioje del secondo ordine e marmi in serie distinti; Legni quasi d'ogni genere, in piccioli pezzi, ed in tavolette in buon ordine disposte (Rossetti 1780, pp.186-187)
dovevano essere inviati "al Museo di Storia Naturale di Padova", proprio quello costruito sulla donazione fatta nel 1733 da Antonio Vallisneri allo Studio patavino, delle collezioni paterne nelle quali erano confluiti anche i naturalia e i reperti archeologici della collezione Mantova Benavides (Canadelli 2016); il "Gabinetto" -così era chiamato allora- aveva trovato sede al Bò fra il 1735-36 e fu successivamente suddiviso tra vari musei e collezioni dell'Ateneo patavino, ma i reperti dell'antico nucleo sopravvivono principalmente, all'attuale Museo di Zoologia dell'Università di Padova cui le immagini qui proposte si riferiscono.
La conferma dell' arrivo delle collezioni di Verdara però, si può leggere nel registro conservato presso la Biblioteca Vallisneri, iniziato intorno al 1842 dal prof. Tommaso Antonio Catullo e intitolato Cenni storici risguardanti il Gabinetto di Storia Naturale dell'Imp. Regia Università di Padova dove -ormai molto tempo dopo gli eventi- si ricorda che
il Senato Veneto incaricò il Dott.re Bartolammeo Fabris a trascegliere dal Museo di quella canonica tutte le cose attinenti allo studio della natura per aggiungerle a quelle del Gabinetto di cui era custode
Dopo la morte di Vallisneri jr. nel 1777 infatti, il museo attraversò una fase di chiusura e abbandono, connessa anche agli eventi storici che videro la caduta della Repubblica Veneta e l'arrivo dei francesi; le sale e i reperti -le collezioni scientifiche erano ancora unite a quelle archeologiche- restarono affidati a Giovanni prima e Bartolomeo Fabris poi (i due erano probabilmente parenti): sarà proprio quest'ultimo a redigere un primo elenco nel 1797 su comando del Comitato di Pubblica Istruzione in cui menziona sommariamente i reperti, ma senza indicarne le provenienze. Solo nel 1806, quando verrà ripristinata la cattedra di Storia Naturale rimasta vacante fino ad allora, il prof. Stefano Andrea Renier provvide alla sistemazione delle raccolte separando la parte naturalistica da quelle archeologica, fisica ed anatomica, che furono riassegnate rispettivamente alla Biblioteca e ai "Gabinetti" delle relative discipline.
Catullo ricorda -suo malgrado- che nonostante il grande impegno profuso, il Prof. Renier omise di dare ai reperti una conveniente distribuzione, "di applicare alle specie le rispettive loro denominazioni, ...di cambiare i nomi di quelle che prima esistevano e che pur abbisognavano di essere raddrizzati" e inoltre che molti oggetti conservati in armadi collocati al di sotto di finestre "malconce" si danneggiarono irreparabilmente, secondo una relazione dello stesso Fabris, inviata alla Direzione Generale della Pubblica Istruzione il 27 maggio 1806.
Sicuramente Catullo aveva accesso a documenti che per motivi diversi potrebbero non essere giunti fino a noi, e non c'è motivo di ritenere falsa la notizia riportata sul registro: comunque resta difficile riconoscere gli oggetti anche se in un catalogo del prof. Giandomenico Nardo (1828) compare la dicitura "Vecchia collezione" accanto ad alcuni di essi; solo forse indagini future e il ritrovamento di nuove testimonianze, potranno aiutare a fare luce su questa pagina perduta della storia di Verdara.