Sculture e altorilievi

Nicolò Machiavelli (MCPd, inv. 77)Modesta dal Pozzo (MCPd, inv. 76) di Elisabetta Gastaldi (Musei Civici Eremitani)


I due ovali fanno parte dei settantasei medaglioni con le effigi di uomini e donne illustri passati al Comune dopo la soppressione del monastero avvenuta nel 1783. Essi appartenevano all'ampia raccolta dedicata a personaggi celebri costituita tra fine Seicento e primi decenni del Settecento dall'abate Ascanio Varese come una sorta di "personale museo di ritratti". I bassorilievi ritraggono uomini e donne vissuti in Europa tra il XII e il XVIII secolo, con una chiara predilezione per i personaggi vissuti tra Quattrocento e Cinquecento (periodo d'oro della cultura padovana) e divenuti famosi sia per le cariche rivestite sia per gli studi compiuti. La selezione dei personaggi doveva riflettere direttamente gli interessi e le aperture culturali del dotto abate. Oltre alle categorie "canoniche" quali uomini illustri nel campo delle lettere, della teologia, della giurisprudenza o medicina ecc., nella raccolta si incontrano anche presenze meno scontate tra cui donne, riformati, eretici, alchimisti e il tiranno Ezzelino III da Romano. Gran parte delle effigi si ispira a una ritrattistica di tipo numismatico, di cui Ascanio Varese fu appassionato studioso, mentre altre immagini paiono per lo più derivare da incisioni contenute in libri di ritratti. Tutti i medaglioni sono assegnati alla bottega di Giovanni Bonazza tranne sei riferiti allo stesso Giovanni, fra cui il Ritratto di Modesta dal Pozzo, caratterizzati da maggiore accuratezza nella resa tecnica e da una marcata qualità formale.     

Ezzelino III da ROmano (MCPd, inv. 86) Attila (MCPd, inv. 87)Rispetto alla serie dei medaglioni con le effigi di uomini e donne illustri, queste due immagini si distinguono, oltre che per l'eccezionale qualità e le maggiori dimensioni, soprattutto per il chiaro intento moralizzatore teso a sottolineare l'aspetto bestiale e demoniaco sia del barbaro sia del tiranno sconfitti dall'autorità della Chiesa.

Ciò risulta particolarmente evidente nella Testa di Ezzelino III da Romano – capo del partito ghibellino, signore di Padova dal 1237 e nel 1254 scomunicato da papa Alessandro IV – la quale presenta una deformazione fisionomica attuata a partire dai supposti tratti reali del personaggio, raffigurati nell'ovale della citata serie di medaglioni. Per entrambe le  raffigurazioni il riferimento iconografico è l'immagine di Ezzelino appartenente alla raccolta di ritratti di uomini famosi di Paolo Giovio (1483-1552) che a sua volta derivava, per indicazione dello stesso Giovio, da una pittura allora esistente nel palazzo pretorio di Padova.

Per l'immagine di Attila, secondo la leggenda fermato nel 452 da Papa Leone I, il prototipo va rintracciato nelle placchette, medaglie e cammei diffusi tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo e riproducenti il volto del re degli Unni di profilo con sembianze animalesche derivanti dalle antiche teste del dio Pan. La fonte iconografica potrebbe essere stata suggerita dallo stesso committente, l'abate Ascanio Varese, appassionato numismatico che, come risulta da un inventario settecentesco, possedeva anche una medaglia raffigurante Attila.

La soppressione prima e le vicissitudini storiche cui si è già accennato lasciarono pericolosamente esposte sculture, altorilievi e altari presenti nella chiesa di S. Giovanni: il medaglione col profilo bronzeo del Riccio che si trovava sul suo monumento funebre sulla facciata della chiesa, era scomparso prima del 1780 e non venne più ritrovato; già nella primavera del 1829 Pietro Estense Selvatico rendeva noto alla Commissione conservatrice dei pubblici monumenti, di ulteriori dispersioni di parti del monumento funebre dedicato al Riccio sulla facciata della Chiesa al punto che poi si procedette al trasferimento di ciò che ne restava all'interno (Archivio Sartori 1988, p.1546; Siracusano 2014, p.89).  Tra marzo e agosto del 1871 vennero trasferiti al chiostro del Noviziato nel complesso della Basilica di S. Antonio i quattro monumenti funebri rimasti nella Chiesa di S. Giovanni di Verdara e che rischiavano la distruzione: Andrea Riccio, Briosco, lastra ed epitaffio di Modesto Polenton; epigrafe del monumento a Ludovico Pasini; epigrafe della tomba di Lazzaro Bonamico; lastre terragne di Antonio Orsini e Morando da Trissino (Bertazzo-Molli 2009, p.351-2; Foladore 2009).

Il 24 febbraio 1868 scoppiò il caso Baricetta (RO): Domenico Marini, parroco della chiesa di S. Giuseppe -consacrata il 12 aprile successivo- risultò essersi appropriato col benestare dell'Intendenza di FInanza, di due altari e di parte dell'altar maggiore (tabernacolo) oltre ad altri arredi che non volle restituire, nonostante le proteste e le relazioni inviate alla Prefettura e a Roma dalla Commissione; come questi, altri due altari furono in seguito smantellati e portati nella parrocchiale dei SS.Andrea e Colomba a Villa Estense (PD) su interessamento del Dott. Federico Marolla e con Decreto della Prefettura del 14 giugno 1869 (ci vollero 41 viaggi dopo la demolizione e gli altari vennero rimontati nel settembre-ottobre 1870; oggi sono dedicati al Sacro Cuore di Gesù e a S. Giuseppe; Villa Estense 1939, p.31; Temporin 2012, pp. 22, 32-33).