Col decreto del 3 settembre 1772, il Senato Veneto nel contesto della politica di soppressione delle manomorte ecclesiastiche, stabilì le modalità per la graduale chiusura di Agostiniani, Gerolimini, Minimi e Serviti, così pochi anni dopo, nel 1780, arrivarono a Verdara diversi codici provenienti dal convento di S. Bartolomeo di Vicenza; mancava ormai veramente poco al "naufragio", parola in cui l'Abate Giuseppe Gennari sintetizza la frammentazione che subì il patrimonio artistico e culturale conservatosi integro fino a quel momento ma anche l'effetto che se ne determinò nell'opinione pubblica cittadina (Alcune memorie sopra varie chiese di Padova, Ms.679, cc.10-13).
Il 31 luglio 1783 infatti il Senato decretò la chiusura dei Conventi dei Canonici Lateranensi di Bergamo, Verona e Padova: mentre le strutture della Chiesa e il monastero furono destinati ad ospitare gli Esposti ed i canonici rimasti vennero trasferiti al convento fratello di S. Maria della Carità a Venezia (complesso oggi inglobato nelle Gallerie dell'Accademia; Archivio Sartori 1988, p.1546), Alvise Tiepolo l'Aggiunto sopra Monasteri fece sigillare Museo e Biblioteca, requisendo tutti gli inventari che riuscì a trovare nella Canonica per consegnarli ai Riformatori allo Studio di Padova, affdando a don Francesco Ponti come economo provvisionale la supervisione a tutte le operazioni di dismissione dell' "azienda del Monastero"; i Riformatori a loro volta incaricarono Paolo Roculini, l'allora direttore della Publica Libraria -cioè della Biblioteca Universitaria- e l'abate visitatore Luigi Grompo -fino all'11 dicembre 1783-, di effettuare i necessari riscontri e ad essi il Tiepolo affiancò in un secondo momento anche l'Abate Jacopo Morelli, bibliotecario della Marciana (ASVe, Aggiunto sopra Monasteri, b.115, reg.13, 17 e 18 dicembre 1783; sul personaggio: Morelli 2014).
Si deve proprio a quest'ultimo, trasferitosi a Padova già il 19 dicembre 1783, il parere definitivo sulla destinazione che avrebbero dovuto avere i reperti del Museo e la Biblioteca. Mentre gli arredi della Chiesa (pale, altari, tabernacoli, monumenti funebri etc.) restarono al loro posto almeno fino al 1866, la pinacoteca -dopo alcuni passaggi- venne spostata nel Palazzo del Podestà per ornare le diverse sale e uffici come anche descrive Giannantonio Moschini nella sua "Guida per la città di Padova" del 1819 (p.214). Molto tempo dopo, quando ormai il Veneto era ormai stabilmente sotto la dominazione austriaca, il rinnovato interesse dell'amministrazione municipale nei confronti della raccolta fece si che Andrea Gloria, "cancellista" dell'Archivio venisse incaricato di redigere nel 1847 un primo elenco di tutti gli oggetti nella prospettiva di realizzare un Museo Civico: la «Descrizione dei quadri dipinti, delle medaglie in marmo, dei piatti e pezzi di maiolica ecc. conservati nel palazzo municipale di Padova compilata d’ordine del signor podestà nob. Achille de Zigno da Andrea Gloria cancellista per l’Archivio antico l’anno 1847» (BCPd, BP 1016/VI.2).
Nel 1866 sarà il Regno d'Italia a decretare la seconda e definitiva soppressione subita dal complesso con le cosìddette "leggi eversive dell'asse ecclesiastico": trasferitisi a Bressanone anche gli ultimi proprietari, i Gesuiti del Collegio Fagnani, la chiesa -dopo un breve periodo in cui venne adibita a magazzino delle farine per le regie truppe (Archivio Sartori 1988, p.1547, n.19)- fu destinata a diventare Ospedale Militare con la collaborazione per l'assistenza ai degenti delle Sorelle della Misericordia (dal 26 giugno 1867 fino al 30 settembre 2005); dovendosi suddividere il grande spazio disponibile in piani da destinare alle corsie e ai reparti, si procedette per prima cosa allo spostamento delle grandi pale, dei quadri e delle sculture che adornavano le cappelle verso la Pinacoteca comunale. Invano la Commissione per i pubblici monumenti di Padova con la Giunta Municipale tentarono con tutti i mezzi di salvaguardare l'integrità del complesso, facendosi interpreti anche del "sentimento generale dei cittadini": "Possibile che in tutta la città non si potesse trovar locale egualmente idoneo e senza nessuna importanza artistica!!" scrissero "con amarissimo sentimento" Pietro Selvatico, Augusto Caratti ed Eugenio Maestri nel loro rapporto del 25 gennaio 1869 vedendo "una chiesa di sì elegante architettura, con parecchie opere monumentali che la faceano degna di qualsiasi metropoli, convertita in un magazzino militare e quindi spogliata de' migliori suoi ornamenti e tolta per sempre alla vista del publico" (Archivio Sartori 1988, p.1547, n.22).