di Moreno Meneghetti
Vorrei iniziare questo ricordo del Prof. Pecile, un ricordo che riguarda un periodo di circa trenta anni a partire dalla fine degli anni settanta, con alcune delle parole che mi disse due o tre giorni prima di lasciarci.
Lo trovai a casa, a letto. Era certamente affaticato dalla malattia, ma il suo spirito era presente in modo straordinario. Non mi fece lunghi discorsi, ma proprio per questo disse delle cose che credo per lui fossero essenziali. Mi parlò del nostro operare nei laboratori, mi parlò della ricerca e ne volle mettere in evidenza l’aspetto che riteneva più importante: il suo valore come cultura. Mi suggerì che bisogna ricordare che abbiamo un privilegio che non a tutti è dato, quello di avere lo scopo e il tempo per fare della ricerca scientifica, e che questo privilegio deve essere usato per valorizzare quello che questa attività presuppone, la cultura, da intendere come avanzamento e custodia delle conoscenze accumulate in questa come in altre discipline.
Voi che l’avete conosciuto sapete quanto questo aspetto della nostra attività sia sempre rimasto un suo punto di riferimento e il suo impegno per le biblioteche, come questa, ora del Dipartimento di Scienze Chimiche, ne sono una testimonianza. E, come chi mi ha preceduto ha ricordato, ebbe a cuore non solo la biblioteca di questo Dipartimento, ma anche tutto il sistema bibliotecario di Ateneo avendo come riferimento le grandi biblioteche del sistema universitario anglosassone.
Altri luoghi che testimoniano questo suo modo di interpretare l’attività di ricerca, erano certamente il suo studio, che ancora oggi può essere visitato, ancora per poco tempo, con i libri che vi custodiva, e la sua casa.
I libri più antichi che aveva raccolto, alcuni anche del periodo rinascimentale, e che riguardano tematiche in particolar modo scientifiche, sono ora stati gentilmente donati dagli eredi al nostro Ateneo. Sono presenti e consultabili nella biblioteca di Storia della Scienza, sopra la sede ora della Scuola di Scienze, un tempo sede della Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali, che il Prof. Pecile stesso, come Preside della Facoltà di Scienze, aveva contribuito a ristrutturare e valorizzare.
E questo era un altro aspetto dell’attenzione che aveva per la cultura perché riteneva che vi dovessero essere i luoghi in cui l’incontro delle persone creano il presupposto per il confronto, che è fondamentale per l’avanzamento culturale.
La sua idea di avere anche un Faculty Club per far incontrare, anche in modo informale, i ricercatori, purtroppo non riuscì a realizzarsi
Tra i suoi libri antichi, hanno particolare rilievo quelli di Galileo di cui era cultore attento. Galileo è considerato il fondatore del metodo scientifico, e certamente ne è stato un importante promotore. E Galileo visse ‘ … li diciotto anni migliori di tutta la mia età … ‘ proprio a Padova.
Dell’attenzione che Cesare aveva per Galileo e il metodo scientifico ne sono testimonianza anche le Oselle natalizie, il dono che ogni anno il Rettore offre a tutti i docenti dell’Ateneo, e che Cesare curò assieme al Prof. Galiazzo, per molti anni. Ora le Grandi Oselle, l’originale elaborato da un artista sotto la guida di Pecile e di Galiazzo e che servivano a produrre le Oselle che poi riceviamo dal Rettore ogni Natale da molti anni, sono esposte da poco più di un mese, e lo saranno in modo permanente, nella sala della lettura al Bo’ a testimonianza dell’importanza che anche il Rettore attuale, come i precedenti, hanno dato a questa iniziativa culturale che ricorda i momenti più importanti della storia dell’Ateneo di Padova. E questo, in vista delle celebrazioni per gli 800 anni di attività dell’Ateneo, attività che saranno organizzate nei prossimi anni per il 2022.
Cesare aveva certamente dedicato la sua vita all’Università, cercando di infondere anche in chi gli era vicino la consapevolezza dell’importanza culturale della propria attività. E questo aveva certamente risvolti concreti nell’attività che per la Scienza ha particolare valore e cioè quella sperimentale, che, bisogna ricordare, a volte viene mitizzata, in particolare da chi non la vive, a volte viene trascurata, da chi non ne capisce veramente l’importanza per il metodo scientifico, a volte viene ‘usata’, da chi ne capisce la sua importanza, ma non ha la capacità e la voglia di dedicarvisi.
Ho conosciuto Cesare alla fine degli anni settanta, inizio anni ottanta, in un momento in cui stava per lasciare la vera attività sperimentale avendola trasferita ai suoi discepoli, ora professori ordinari di Chimica Fisica, i Prof. Bozio e Girlando, oltre che alla Prof. ssa Zanon, che era diventata da parecchi anni sua collaboratrice. Sono arrivato in un momento in cui potevo però sentire l’importanza di quello che aveva costruito, anche con le sue mani, nel senso letterale delle parole, nei laboratori in cui mi affacciavo come studente.
Nel mio studio ci sono ancora alcuni pezzi di strumenti che mi aveva chiesto di conservare e che lui stesso, personalmente, aveva usato in laboratorio.
L’incontro con quello che Cesare aveva costruito era mediato anche dalle attività del personale tecnico, in particolare la Signora Marzola e la Signora Zanetti, e dal Dott. Ricotta, che mostravano la sicurezza di un’attività cresciuta sul campo appunto sotto la guida del Prof. Pecile.
I miei incontri con il Prof. Pecile, che andarono sempre più infittendosi negli anni, erano dedicati in particolar modo alla sistematizzazione dei dati sperimentali e alla loro interpretazione. I dati riguardavano in particolar modo i sistemi organici conduttori e superconduttori il cui comportamento non era ben chiaro come dovesse essere interpretato, mostrando molte transizioni di fase che aprivano degli scenari esotici anche per chi, come la comunità dei fisici della materia condensata, non aveva dimestichezza con il mondo, più consono ai chimici, delle molecole. L’ambito di ricerca era perciò a cavallo tra discipline ed era perciò stimolante proprio perché offriva aspetti non esplorati ed innovativi.
D’altronde proprio questo tipo di ricerche portò qualche anno fa, nel 2000, ad un Premio Nobel per la Chimica in cui due chimici (Alan MacDiarmid e Hideki Shirakawa, un neozelandese e un giapponese che si incontrarono alla University of Pennsylvania) furono premiati assieme ad un fisico (Alan Heeger).
Gli incontri nel suo studio, erano sempre comunque dedicati, oltre che all’interpretazione dei dati sperimentali, alla loro modellizzazione e alla decisione sui nuovi esperimenti da fare, ai commenti sui libri che in quel periodo stava leggendo. A volte testi storici sull’Università di Padova e sulla Repubblica di Venezia, a volte testi di filosofia o di storia della Scienza, altre volte biografie di scienziati. Le biografie erano una cosa a cui poneva particolare attenzione, perché riteneva che dietro i risultati, che poi vengono pubblicati nelle riviste scientifiche, ci sia una sociologia della scienza che in qualche modo può determinare quegli stessi risultati. L’attività scientifica è un’attività a cui sembrano a volte contribuire anche aspetti non scientifici o meglio aspetti che non hanno origine da affermazioni verificabili sperimentalmente.
Una cosa che poi, mi ricordo, metteva in rilievo, era l’importanza della strumentazione. Aveva vissuto nei laboratori il periodo del dopo guerra e alcuni strumenti, qualcuno si trova ancora in qualche magazzino, purtroppo impolverato, arrivarono anche con il piano Marshall. Le misure, ricordava, si fanno con gli strumenti. D’altronde Galileo considerò gli strumenti la parte fondante del metodo scientifico (di questo se ne trova testimonianza anche nelle Oselle che Pecile e Galiazzo dedicarono a Galileo). Tra questi il più famoso, ma non unico, fu il cannocchiale, che egli perfezionò per fare osservazioni astronomiche. Osservazioni che poi intelligentemente interpretò. E il suo cannocchiale lo costruì assieme a dei bravi artigiani la cui attività non può non essere considerata parte del metodo scientifico.
Le testimonianze in questo senso non finiscono mai. Si può per esempio ricordare, dato il luogo in cui ci troviamo, l’importanza che per la Chimica ebbe la bilancia (in particolar modo da Antoine-Laurent de Lavoisier in poi), e ancor oggi la bilancia, o meglio, gli spettrometri di massa, hanno un ruolo essenziale e quotidiano nell’attività dei chimici.
La Chimica è una scienza molto giovane, se confrontata per esempio con la Fisica, anche se si interessa delle trasformazioni molecolari, che sempre sono state essenziali per la vita dell’uomo, anzi sono la vita dell’uomo.
Ma la Chimica è così giovane che molte cose e attività si chiamano ‘chimiche’ perché non si sa definirle con più precisione, o meglio ancora, non è entrata nel sentire dei non esperti quella cultura che consente di parlare di molti fenomeni in modo meno generico.
Parlando di esperimenti, il problema che si pone è se siano le teorie, i modelli, a guidare gli esperimenti oppure il contrario. Si può dire che gli uni stimolano gli altri. E solo integrandoli in modo sinergico la Scienza riesce a fare quei progressi che poi diventano scoperte. E, da non trascurare, solo chi ha potuto seguire la catena con cui le conoscenze arrivano al quotidiano, sa anche apprezzare la capacità di trasformare una scoperta, una conoscenza, in qualcosa di usufruibile.
A volte sembra però che, oggigiorno, i modelli interpretativi aumentino di numero, mentre gli esperimenti possono diventare un ‘contorno’ trascurato . Chi dice di più il vero? I modelli o i dati sperimentali? In effetti certe situazioni potrebbero in qualche caso essere interpretate come pre-galileiane in cui prevalgono le discussioni, mentre gli esperimenti non vengono sufficientemente considerati.
Galileo scriveva una frase che si trova riportata anche nell’atrio del Dipartimento di Fisica e Astronomia:
‘Io stimo più il trovar un vero benché di cosa leggiera che il disputar lungamente delle massime questioni senza conseguir verità nissuna.’
L’esperienza con Il Prof. Pecile ha certamente avuto un profondo significato per me e credo non solo per me.
Ricordare le sue ultime parole sarà certamente una guida per il futuro.
(18 settembre 2013)