Breve storia degli erbari figurati
print this pagePremessa
Per il periodo che va dall'antichità classica alla fine del Rinascimento i testi illustrati di botanica rientrano nella categoria degli "erbari", mentre per il periodo successivo è più corretto parlare di "flore", "florilegia" e testi scientifici di botanica.
L'erbario può essere definito come "un libro, in uso dall'Antichità classica fino agli ultimi decenni del sec. 15°, che raccoglie descrizioni delle piante e delle loro virtù farmacologiche, spesso accompagnate dai nomi con cui ciascuna essenza vegetale era conosciuta nelle varie lingue e da notizie sul loro habitat [...] il testo fu ben presto integrato anche con le raffigurazioni [...e] soprattutto a partire dal sec. 11° alle immagini delle piante vennero spesso associate anche figure umane, con la finalità di esplicitarne più chiaramente le virtù officinali o per esemplificare particolari metodi di raccolta" (da Enciclopedia dell'arte medievale Treccani).
Con flora si intende tecnicamente il complesso di piante e specie vegetali che vivono in una determinata area geografica, ma il termine si estende anche a comprendere i testi, spesso illustrati, che descrivono tali piante.
I testi scientifici di botanica, invece, studiano le piante appunto dal punto di vista scientifico, analizzandone caratteristiche distintive, parti componenti, habitat, vita, evoluzione, difformità e somiglianze reciproche...
Il termine florilegio, infine, se pur poco usato con questo significato nella lingua italiana, indica una raccolta di immagini di piante e fiori, un'opera dedicata alle piante più dal punto di vista estetico che pratico.
È comunque difficile, soprattutto per i periodi più antichi, delineare un netto confine tra erbari, flore e florilegi.
Il mondo greco e romano
Il primo erbario illustrato di cui si ha notizia è quello di Crateua, medico di Mitridate IV Eupatore re del Ponto (120-63 a.C.). L’opera originale è andata perduta ma le immagini delle piante provenivano sicuramente da osservazioni dal vivo, dal momento che mancavano opere precedenti a cui ispirarsi.
Il più famoso testo di botanica medica è quello di Dioscoride, medico ai tempi dell’imperatore Claudio (10 a.C. – 54 d.C.), che comprendeva più di 500 piante probabilmente prive di immagini, che furono però aggiunte nelle copie successive. Non possediamo l’esemplare originale; il più antico esemplare illustrato è un codice conservato a Vienna e realizzato nel 512 d.C. in area costantinopolitana, noto come Codex Aniciae Julianae. Della stessa epoca è un codice pergamenaceo conservato a Napoli
Le immagini di questo codice, interamente dipinte, sono fondamentalmente realistiche ma con elementi più stilizzati che hanno fatto ipotizzare agli studiosi che non si tratti di raffigurazioni derivanti dall’osservazione dal vero delle piante, ma di copie prese guardando un modello più antico, ancor più realistico e ricco di particolari o, in alternativa di immagini create dal miniatore basandosi sulla descrizione testuale, come farebbero supporre alcune raffigurazioni decisamente meno aderenti alla realtà.
Video realizzato da Aboca Museum sul Dioscoride Napoletano
In epoca latina dovevano con ogni probabilità circolare erbari illustrati che comprendevano immagini derivanti da copie di modelli precedenti, sempre meno realistiche e particolareggiate, al punto da far sostenere a Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia che spesso da tali immagini non era in alcun modo possibile riconoscere le piante, arrivando quasi a sostenere l'inutilità della rappresentazione botanica (Nat. Hist., XXV, 4-8).
Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, edizione di Melchiorre Sessa e Pietro Ravani, Venezia 1525 (Biblioteca Malatestiana - MIBAC).
Il medioevo
Nel corso del Medioevo, le illustrazioni botaniche continuarono a derivare dai modelli antichi attraverso copie e copie di copie via via sempre meno aderenti al vero anche a causa di una nuova mentalità che poneva attenzione più all’ideale che al reale: anche le piante vengono in qualche modo idealizzate, schematizzate, ridotte all’essenza o arricchite di particolari fantasiosi o legati alle (vere o presunte) proprietà terapeutiche delle piante anzichè al loro reale aspetto.
Lo studio della botanica è sostanzialmente studio degli autori classici, di ciò che è stato detto da Dioscoride, Plinio, Teofrasto… le cui conoscenze e credenze non vengono messe in discussione, ma continuano ad essere tramandate in un misto di scienza e magia, in cui il potere della voce dei “grandi” del passato è più forte della capacità critica e di osservazione dal vero.
Ne è un esempio la raffigurazione della mandragora, pianta tossica della famiglia delle Solanacee realmente esistente, alla quale venivano attribuite virtù magiche. La forma particolare della radice, vagamente somigliante ad un essere umano, aveva alimentato numerose leggende legate a questa pianta, in particolare il suo potere di uccidere con un urlo straziante chiunque osasse coglierla. Per poter raccogliere la pianta, si consigliava quindi di legarne la base al guinzaglio di un cane che poi, lasciato libero, avrebbe corso strappando la pianta e morendo per le sue grida, lasciando però la possibilità al suo padrone di coglierla. Nonostante bastasse osservare la pianta per capire che si trattava di una leggenda, la forza suggestiva della credenza popolare e dei testi del passato era tale che in moltissimi testi medievali la mandragora viene raffigurata con sembianze antropomorfe e legata al guinzaglio di un cane.
Immagine tratta da Tacuinum sanitatis in medicina, Codex Vindobonensis Series nova 2644 - Österreichischen Nationalbibliothek fol 40 recto (da Wikimedia).
Nel corso di questo periodo si diffonde in particolar modo l’opera di un autore di IV secolo d.C. noto come Pseudo Apuleio (per distinguerlo dal più noto Apuleio di Madaura); gli esemplari più antichi sono andati perduti, ma il loro aspetto era probabilmente molto simile a quello di due esemplari duecenteschi “di lusso”, conservati l’uno a Vienna (Österreichischen Nationalbibliothek, cod. Vind. 93) l’altro a Firenze (Biblioteca Laurenziana, mc. Plut. 73.16).
Rappresentazione della dracontea, dallo Pseudo Apuleio di Vienna (da Wikimedia).
Rappresentazione dell'erba viperina dallo Pseudo Apuleio conservato presso la Bibliotheek der Rijksuniversiteit di Leida (Voss. Lat. Q.9), uno dei più antichi esemplari rinvenuti, databile al VI-VII secolo d.C.
Il Trecento
Nel corso del Trecento si assiste a grandi cambiamenti nelle rappresentazioni presenti negli erbari che, influenzati anche dalla cultura e dalla medicina araba arrivate in Italia in particolare attraverso la scuola di medicina salernitana, cominciano a staccarsi un po’ dalla tradizione classica.
Anche le immagini botaniche si differenziano da quelle dei testi precedenti e per la prima volta emerge l’esigenza di un maggior naturalismo, che porta ad illustrazioni prodotte attraverso l’osservazione dal vivo delle piante e non più attraverso la copia di immagini precedenti o basate sulla sola descrizione testuale.
L’esempio più significativo a questo proposito è il cosiddetto “Erbario Carrarese” o “Liber agregà”, oggi a Londra (British Library, Eg. 2020) ma realizzato a Padova e databile tra il 1390 e il 1404. Si tratta di un riassunto in volgare padovano di un trattato medico arabo, in cui il testo è accompagnato da raffigurazioni di piante estremamente dettagliate e realistiche, ritenute le prime di questo periodo dipinte osservando il vero. L’attenzione al realismo è tale che le piante sono rappresentate nei loro diversi momenti di sviluppo e in tutte le loro parti (fiori, frutti, radici, retro delle foglie…).
Due immagini dell'Erbario Carrarese (dalla British Library)
Nello stesso periodo si diffondono, al contrario, anche i cosiddetti “erbari alchemici”, legati appunto a pratiche di alchimia e magia, in cui le piante vengono raffigurate in modo tutt’altro che realistico, con immagini schematiche e spesso contraddistinte da un’innaturale simmetria.
il Rinascimento
Nel corso del Rinascimento si assiste ad una splendida fioritura dell’immagine botanica, che trova le sua radici nella tradizione trecentesca e conosce un particolare sviluppo in area veneta, in particolare a Padova grazie alla presenza dell’Università.
Lo studio delle piante è ancora ripresa del testo antico, come dimostra la produzione manoscritta e a stampa di volumi che riportano nuovamente il testo del cosiddetto Pseudo Apuleio.
In quest’epoca, come si vede proprio da un mirabile esemplare di Pseudo Apuleio conservato alla Biblioteca dell’Orto Botanico, comincia ad affermarsi l’esigenza di immagini più realistiche e riconoscibili: accanto a immagini fortemente stilizzate compaiono rappresentazioni molto più vicine alla realtà e il desiderio di realismo arriva ad investire la mandragora, raffigurata con sembianze antropomorfe, ma con un forte realismo.
Confronto tra genziana e camomilla, dallo Pseudo Apuleio conservato in biblioteca: è evidente la forte schematicità della prima immagine rispetto al realismo della seconda
Nel 1455 l'invenzione della stampa porta grandi novità anche nel mondo dell'illustrazione botanica, perché quasi subito fanno la loro comparsa incunaboli nei quali il testo è accompagnato da immagini.
Dopo i primi esemplari di incunaboli illustrati, con immagini stilizzate e poco riconoscibili (ne è un esempio un incunabolo romano conservato presso la Biblioteca dell'Orto Botanico), compaiono ben presto volumi corredati da immagini realistiche e fedeli, come quelle di Brunfels e Fuchs. È infatti nel corso del Cinquecento che l'importanza dell'illustrazione nei testi scientifici (botanici, ma non solo) si afferma senza riserve: "le Opere mie, che si hanno a stampare con le figure, perchè senza figure è una vanità" (Ulisse Aldovrandi - naturalista, botanico ed entomologo, in una lettera del 1577).
Raffigurazione del gladiolo nell'incunabolo romano (1481) e nel volume di Fuchs (1549): è evidente il diverso grado di realismo delle due immagini
Dal Seicento all'Ottocento
Nel corso del Seicento la botanica inizia ad affermarsi come scienza autonoma e non più come semplice ausilio alla scienza medica: le piante sono quindi studiate in tutti i loro aspetti e ne vengono indagate le caratteristiche distintive, anche indipendenti dalle proprietà farmacologiche.
Nei volumi di questo periodo, quindi, cominciano sempre di più ad apparire immagini tese ad illustrate l’anatomia delle piante, con particolari di fiori, semi e frutti e rappresentazioni del retro di foglie e fiori. La grande attenzione al particolare è aiutata dall’uso sempre più massivo della tecnica calcografica (incisione delle immagini su lastre di metallo), che sostituisce la xilografia (incisione su lastre di legno) e che permette un grado di dettaglio ancora maggiore.
Questa tendenza è evidente, ad esempio, nell'opera del medico e botanico francese Paul Reneaulme, Specimen Historiae Plantarum del 1611(scheda catalografica): le immagini assumono una sempre maggiore valenza scientifica e dimostrano un'elevata attenzione all'anatomia della pianta raffigurata e i testi che seguono le figure comprendono, oltre a notazioni sui diversi nomi della pianta, informazioni dettagliate sul suo aspetto, ma anche su luogo e stagione di fioritura, e, solo alla fine, osservazioni su proprietà e usi medicinali.
Rappresentazione del girasole nel volume di Reneaulme, in cui si intuisce questa nuova tendenza: lo stelo è rappresentato in due parti distinte, per evidenziarne l'altezza e di foglie e fiore sono raffigurati anche i retri (full text su Internet Archive).
Nonostante questa tendenza verso una botanica "autonoma e scientifica", che porterà da un lato alla produzione dei primi testi scientifici veri e propri dedicati alle piante e dall'altro alla creazione di volumi in cui l'attenzione alle piante (ormai non più necessariamente legata ad aspetti medico-farmaceutici) assume un privilegiato gusto estetico, ancora fino alla fine del Settecento continuano ad essere prodotti erbari su imitazione di quelli antichi.