«Voglio che l’ mio corpo sia sepolto nella chiesa di San Zuanepolo nella nostra capella de San Michiel, nel casson de pietra viva che ho ordinato io che si facia, ove niun altro doppo me sia sepolto, per non agionger una ad un’altra putredine».
Marino Cavalli redige il suo testamento il 15 febbraio 1570, quando, ormai giunto all'età di settant'anni, «non posso de raggion troppo più tempo continuar el governo di casa mia, e delli miei averi». Per il previdente diplomatico si tratta di uno strumento ordinativo, che garantisce il proseguimento della famiglia quale struttura fondante dello Stato.
«Con questo mio testamento, scritto de mia mano, lassi il modo et la regola alli miei posteri di governarla, la quale essi da se osservariano havendo prudente et savio judicio, se mo anche fusse altramente (che Dio non voglia) serà gran utile suo che da me che sono padre la ge sia comandata. Adunque li prego et exorto che prima voglino considerare et tener a memoria sempre di esser nasciuti Gentil’homeni di Venetia, et non Signori né Duchi, et per conseguente han da tener quelli modi et costumi che tengono quelli che son laudati et approbati dalli boni et prudenti della sua patria, governando ben il suo, astenendosi dall’altrui, et non siano sbaragliosi, ma sicuri et saldi, come a quelli che sono in bon stato si conviene».
Marino invita quindi i figli ad avere grande cura della casa e ad educare i propri discendenti, perché anch’essi continuino ad accrescere la proprietà e la fama della famiglia: «Il che essequiran benissimo se li faran esser litteratissimi, over ben riuscir nella militia da mar (over nelle cose di Chiesia, come più inclinati saran da natura ad una over ad altra profession, a tute le qual però la molta cognitione delle lettere è ornatissimo et sicurissimo fondamento)».
Marino dà ordine che si provveda al sostentamento dei suoi braccianti, al vitalizio della moglie, «Madonna Giustiniana mia carissima consorte», alle doti della figlia e delle nipoti.
«Lascio la mia casa da stantio in San Vidal a Sigismondo, mio figliol primogenito, e dopo di lui vada a Marin mio nepote, primogenito di Zuanne mio figliol, et così di primo in primogenito in infinito maschi».Le restanti, considerevoli proprietà vengono spartite tra i tre figli, con l’obbligo che anch’esse siano vincolate alla discendenza maschile, «et morendo alcun de loro descendenti senza maschi, vadi nelli più propinqui miei heredi».
«In fine non mi resta altro che dirle, se non con estrema tenerezza darli la mia benedittion, la qual saria pocca cosa quando Dio nostro Signore non le concedesse anche la sua, si come devotissimamente lo suplico […] che le concedi et doni il suo santo spirito et illumini le lor mente si che faccino sempre cosa degna de honorati gentihlhomini, et son sicurissimo che crederan che pochi padri han tanto veramente amati sui figlioli et la posterità sua come ho fatto io, che mai non fo fatto altro in LXX anni della vita mia che insegnar, ammonir, instruir essi miei figlioli, acrescendoli sempre la facultà et illustrezza della casa et delle condition loro».
Marino Cavalli, erede del famoso condottiero che capitanò l’esercito veneziano nella Guerra di Chioggia e, quasi due secoli dopo, a sua volta protagonista indiscusso della politica lagunare, cessa di vivere il 13 febbario 1573.