Orfano del padre quando ancora era bambino e circondato da una numerosa famiglia composta da un altro infante, Giacomo, e ben sei sorelle, Giovanni Cavalli (7 settembre 1613 - 25 luglio 1682) seguì fin da giovanissimo le orme degli avi, impegnandosi in una proficua carriera politica, favorita anche dall’appoggio del suocero Carlo Contarini: Giovanni ne sposò la figlia Lucrezia il 31 gennaio 1631, acquisendo la cospicua dote di 40.000 ducati, che la devota moglie, oramai in procinto di morte, decise di lasciare al marito e ad eventuali figli avuti da un secondo matrimonio.
Pur non dedicandosi alla diplomazia, come il bisavolo Marino o il prozio che ne ereditò il nome, Giovanni ripone pari fiducia nella giustizia del sistema amministrativo della Serenissima e, specialmente durante il mandato a podestà e capitano di Rovigo (novembre 1645-maggio 1647), risulta sensibile all’importanza delle “vittuarie” per sanare una situazione di carestia cronica e quotidiana.
Se durante il mandato vicentino, nei primi anni Quaranta, dà prova di una ferrea razionalità opponendosi alle pretese dell’inquisitore di condannare per eresia una donna, a suo avviso semplicemente implicata d’“herbarie”, tra il gennaio 1665 e il novembre 1666, come podestà di Padova, città da lui stesso definita “dovitiosa di popolo [ma] mediocre di ricchezze e di traffici", indaga con particolare attenzione sui maneggi del Monte di Pietà, sforzandosi sempre di salvaguardare gli interessi della Repubblica e, contestualmente, di proteggere i sudditi più deboli. Alla sua partenza da Padova viene salutato da un panegirico di Andrea Cervato e da una esaltazione del professore d’anatomia Giacomo Pighi redatta a nome degli artisti dello Studio.
Accanto a quella politica, Giovanni Cavalli portò avanti un'intensa attività imprenditoriale. Il 21 marzo 1664 acquistò tra l'altro dai "presidenti sopra l'esation del dinaro pubblico" una "carica di mesurado da biave e di metter fuori banchetti et aprir boteghe sopra la piaza di Camisan per ducati 110 in giorno di mercato". Dieci anni dopo, il 12 marzo 1675, venne nominato dal musicista Francesco Cavalli erede di due importanti "possessioni" dal valore complessivo di 5.500 ducati e una rendita annua di 130.
Risale quindi al 1677 il suo testamento, nel quale Giovanni disponeva la propria sepoltura nella cappella famigliare presso la Basilica dei Santi Giovanni e Paolo in Venezia. Cominciando forse a cogliere i primi segnali di erosione della linea genealogica, specificava meglio i vincoli ereditari a seconda delle diverse casistiche, che si sarebbero potute presentare in avvenire. La prima menzione era per il “dilettissimo mio figliol Federico”, cui vincolava le proprietà tramite un “perpetuo fidecomisso di promogenitura”. “Mancando il primogenito, e sua descendenza maschina”, Giovanni prevedeva che il “Decoro della Casa Nostra” fosse conservato dal secondo o dal terzo nato, ovvero ancora “passar debba nella descendenza feminina d’esso federico mio figliolo” e di poi ancora di primogenito in primogenito. Estinta completamente la discendenza di Federico, era fatta erede “la mia diletta figliola Lugrezia”, sempre per vincolo di primogenitura maschile. E ancora altre casistiche in caso di estinzione anche di questa linea famigliare.
Al vincolo della primogenitura era sottoposta anche “la mia Casa essistente in Padova in contrà di San Tomio”, con l'obbligo per “essi tutti Primogeniti a’ conservarla senza alcuna benché minima diminuzione, non una; ma potendosi ancor d’augmentarla”.
“Amalato da febre et affanno…giorni tre”, Giovanni Cavalli spirò il 25 luglio 1683 nel suo palazzo di S. Vidal. Per "esser fuori suo figlio" Federico, venne sepolto dalla sorella Marina, sposa di Francesco Vendramin.