Alla nascita di Marino, nel 1500, la famiglia dei Cavalli risulta ormai compiutamente inserita nella struttura politica ed economica dello stato veneziano, pur continuando a far gravitare i suoi interessi fondiari in particolare nel veronese: come emerge dal testamento del padre di Marino, Sigismondo, datato 22 agosto 1504, i loro possedimenti agrari si estendono fra San Bonifacio, Soave e Villanova. Già dai primi del secolo i Cavalli vantano però interessi immobiliari anche nella stessa Venezia, a S. Vidal e a S. Marco.
Nel 1530 Marino ottiene il suo primo incarico pubblico di rilievo con la nomina a capitano di Brescia. Cinque anni dopo è inviato a Vicenza: nella città Berica egli si troverà a dirimere le contese tra i cattolici e gli spirituali riuniti intorno all’eremitano agostiniano Ambrogio Quistelli. Tra le fila dei riformati, figurano anche il capitano di ventura Camillo Orsini (la cui prima moglie sarà zia del duca di Bracciano Paolo Giordano Orsini) e il suo fedele servitore Oddo Quarto da Monopoli, figura che Cavalli incontrerà nuovamente a Padova alcuni anni dopo.
«Io credo che solo l'intender distinta e particolarmente con ogni dependenza le cose de' vicini faccia l'uomo nelle operazioni sue non solo savio ed avvertito, ma nel negoziare e preveder di lontano lo faccia essere come indovino», scrive nel 1543. Dalla corte di Ferdinando I, Marino trasmette a Venezia un informatissimo resoconto tecnico su specifici problemi giurisdizionali ed economici, strettamente funzionale alla politica dello Stato. Le sue Relationi cominciano allora a circolano nelle corti e nei salotti, stampate in centinaia di esemplari: tra i loro estimatori si annoverano anche Ludovico Dolce e Pietro Aretino.
Impostosi all’attenzione pubblica come vero esperto di politica internazionale a Venezia, il 4 marzo 1544 Marino è nominato ambasciatore alla corte, presso cui è possibile seguire i «maneggi… con tutti li potentati del mondo»: quella parigina di Francesco I. Nei suoi dispacci egli avanza una serie di proposte di riforma della politica repubblicana, parzialmente ispirate proprio al modello francese: dotarsi di una struttura più organica, basata sulla burocrazia; munirsi di una milizia di «sudditi proprii» e non già mercenaria; applicare il principio del cuius regio eius religio, scudo all’imperversare di emorragiche guerre civili.
La politica della «pace» mediterranea connota anche il suo mandato come bailo a Costantinopoli, dal 1559 al 1560. Marino promuove una reciproca conoscenza tra i due mondi, favorendo la presenza dei giovani nobili veneziani alla Porta e di medici e giuristi turchi all’Università di Padova. Stimola inoltre la circolazione di opere storiche sui sultani ottomani e la traduzione in turco di testi classici, tra cui un adattamento del De Senectute ciceroniano. Al suo ritorno in patria, in un’ottica di riappropriazione dei simboli regali dell’Impero bizantino, fa trasportare a Venezia le immagini incise in rame di Michele Paleologo, della moglie e del figlio Costantino.
Negli anni Sessanta Marino è impegnato in una serie di ambascerie presso le corti del nuovo re di Francia Carlo IX e del neo imperatore Massimiliano II, da papa Pio V allora salito al soglio pontificio e ancora in Turchia per incontrare il nuovo sultano Selim II, il debole e manovrabile erede di Solimano il Magnifico.
Risale quindi al 7 gennaio 1571 la nomina di Marino Cavalli a provveditore generale in Candia, oramai la più avanzata frontiera della Repubblica verso l’Impero Ottomano. Fu questa la sua ultima missione.