Toni Bio, un ragazzo del '99

Toni Bio negli anni Settanta (fonte: Famiglia Visentin) Toni Bio negli anni Settanta (fonte: Famiglia Visentin)

Antonio Visentin nasce a Montagnana (nella bassa padovana) il 18 ottobre 1899, quando bio non indica ancora un alimento ottenuto con i metodi dell'agricoltura biologica ma un soprannome usato nel Montagnanese per distinguere uno degli innumerevoli rami della schiatta dei Visentin – cognome molto comune in tutto il Triveneto. La famiglia è modesta ma in casa non manca nulla: il padre Luigi Angelo è un uomo molto operoso (terra, bachi da seta, laboratorio di tomaie…) e nella cittadina ha fama di galantuomo.

Nel luglio del 1917, a tre anni dallo scoppio della Grande Guerra, Toni Bio viene precettato non ancora maggiorenne. È anche lui insomma un ragazzo del '99, espressione passata alla storia per indicare i coscritti negli elenchi di leva che avrebbero compiuto 18 anni nel Diciassette, e che potevano quindi essere spediti al fronte.

Non c'è molto tempo per istruire le giovani reclute, ma è necessario mantenere le posizioni ed evitare che gli austro-tedeschi dilaghino nella Pianura Veneta. Toni Bio finisce sul Monte Grappa, perno della difesa italiana assieme all'Altopiano di Asiago e (dopo la rotta di Caporetto) al fiume Piave. Non ha nessuna esperienza di armi e i comandi decidono di utilizzarlo per portare gli ordini da una postazione all'altra.

La situazione sulla linea del fronte è pesantissima: "…i nostri corpi, mal nutriti e mal coperti, già duramente provati in centinaia di chilometri di ritirata, formati talvolta di reclute avviate in fretta alla rinfusa, vegliavano all'aperto nelle freddissime notti d'attesa angosciosa, senza trincee e senza ricovero, sulle nude groppe, mitragliati dagli aeroplani e maciullati inesorabilmente dall'artiglieria nemica." (A. Michieli 1927, p. 339).

Il generale Giardino, comandante dell'Armata del Grappa e forse più abile come verseggiatore che come stratega, incita i soldati a resistere e a cantare la Canzone del Grappa:

Monte Grappa, tu sei la mia patria,

sei la stella che addita il cammino,

sei la gloria, il volere, il destino

che all'Italia ci fa ritornar.

E in un crescendo di esaltazione licenzia un enfatico ordine del giorno, che pure è figlio di quegli anni:

Soldati miei!

Alle balze del Col Moschin echeggiò sommessa la voce gemente dei fratelli schiavi. I fratelli in armi vi protesero intenti l'orecchio e l'anima e ne bevvero la parola e l'armonia come baci di un'amante incatenata. Così ecco a voi, soldati del Grappa, la canzone d'amore e di fede, che a Fonzaso, a Feltre, a Belluno sospira dolente tra le catene austriache. Ancora per poco, soldati del Grappa! Imparatela tutti. Sentite che ardenti lacrime vi sono dentro. Sospiratela piano anche voi, nelle veglie sul monte, come un giuramento d'armi (…).

Monte Grappa devastato dai bombardamenti (fonte: A. Michieli) Monte Grappa devastato dai bombardamenti

Nel frattempo, come ricorda il nipote Terenzio Visentin, i soldati continuamente esposti al fuoco nemico proveniente da Valdobbiadene e dalle Melette intonano sottovoce una loro personale versione della Canzone del Grappa:

Monte Grappa dove sei?

Traditore della vita mia,

ho lasciato la mamma mia

per venirti a conquistar.

Ho lasciato letto e amori

e i vent'anni non tornan più (...)

Toni Bio e gli altri ragazzi come lui hanno naturalmente paura di uscire dai pochi luoghi riparati e per dare loro coraggio gli ufficiali, prima di ogni azione, distribuiscono loro anisetta (un liquore aromatizzato all'anice) in grande quantità. In effetti la Grande Guerra rappresenta il primo evento della storia nel quale viene fatto un uso così massiccio di alcolici, soprattutto sotto forma di liquori e distillati. Non a caso quello dell'alcol è un tema ricorrente nei libri e nei diari sul primo conflitto mondiale - come nel classico Un anno sull'Altipiano di Emilio Lussu:

Emilio Lussu giovane soldato (fonte: Wikipedia) Emilio Lussu giovane soldato (fonte: Wikipedia)

"Abolisca l'artiglieria, d'ambo le parti, la guerra continua. Ma provi ad abolire il vino e i liquori. Provi un po'. Si provi (...) Nessuno di noi si muoverà più. L'anima del combattente di questa guerra è l'alcool. Il primo motore è l'alcool. Perciò i soldati, nella loro infinita sapienza, lo chiamano benzina". (Lussu, 2014)

A questo argomento Giuseppe Colrito ha di recente dedicato il saggio "Il tema dell'alcol in Un anno sull'altipiano di Emilio Lussu", nel quale individua ben 53 passaggi in cui si parla di alcol consumato dagli ufficiali o distribuito generosamente alle truppe: "Le pagine dell'edizione utilizzata sono 193, quindi l'alcol vi compare in un quarto dei casi: con molta probabilità si tratta del tema più frequente subito dopo quello della guerra..." Sempre secondo Colrito il consumo smodato di alcol finisce per diventare un'allegoria del conflitto, una sorta di chiave di lettura che mette in discussione il "concetto di coscienza nazionale italiana, che sarebbe nata nelle trincee, e definisce la Grande Guerra come una grande sbornia collettiva che sbocca nel fascismo." (Corlito, 2017)

Tornando a Toni Bio, racconta il nipote Terenzio che durante una di queste missioni Toni si imbatte in un gruppo di soldati austriaci denutriti e intenti a rovistare con le baionette i ricci della castagne, alla ricerca di cibo. Uno scambio di sguardi – l'uno a metà tra il brillo e il terrorizzato, gli altri stremati – e la cosa finisce lì. Toni Bio scappa e il gruppo di soldati torna a rovistare il sottobosco; episodio questo che ci parla anche di un esercito austriaco logorato dalla scarsità di viveri e da linee di rifornimento troppo lunghe.

Il 18 ottobre del 1917 un forte temporale si abbatte sul Grappa, allagando parte delle trincee. Toni Bio si mette ad armeggiare con la baionetta e recupera un po' di legname per costruire una sorta di palaffitta e rimanere così un po' all'asciutto. E' la data del suo compleanno - il primo passato in trincea - e più tardi racconterà al nipote Terenzio di aver pianto per tutta la notte su quella palaffitta, pensando alla madre Rosa e alla torta margherita che gli preparava ad ogni compleanno, quand'era a casa.

Sempre Terenzio racconta del Natale al fronte di Toni Bio. I soldati che portavano gli ordini da una postazione all'altra avevano sempre con sé una razione di scorta – nel caso rimanessero bloccati in mezzo al fuoco incrociato. La sera di Natale Toni Bio decide di festeggiare e si mangia anche la razione di scorta, abbondantemente innaffiata da anisetta, ma dopo Caporetto il rispetto della disciplina deve essere incondizionato. Appena scoperto, in un crescendo di paranoia viene legato a un palo, issato sopra la trincea e tenuto lì per un paio d'ore. Ma nessun austriaco prende la mira. L'uso di punire i soldati legandoli in luoghi esposti al tiro nemico non era affatto raro, ma si rivelava quasi sempre inefficace: "generalmente gli austriaci non colpivano i soldati disarmati e incatenati, sia per solidarietà sia perché graziarli significava dare un'immagine misericordiosa di sé e spingere altri italiani a consegnarsi" (Pietro Purich, 2018).

A primavera non riesce invece a evitare una granata: una scheggia lo colpisce a un orecchio e viene trovato svenuto. Lo portano all'ospedale militare di Bassano del Grappa, ma da quel lato non recupererà più l'udito. Nel frattempo i genitori Luigi e Rosa Artosin, informati del ferimento, attaccano il carretto alla cavalla e percorrono gli ottanta chilometri che li separano da Bassano, per portare al figlio del pane e un pollo.

Medaglia commemorativa della Grande Guerra (fonte: Wikipedia) Medaglia commemorativa della Grande Guerra (fonte: Wikipedia)

A novembre la guerra finisce e anche Toni Bio ritorna a casa, nella sua Montagnana. Con regio decreto del 29 luglio 1920 n. 1241, promulgato dal re Vittorio Emanuele III, gli viene assegnata la medaglia commemorativa per aver partecipato alle attività di guerra. Sul dritto l'effigie dello stesso re con l'elmo e la divisa, circondata dalla scritta Guerra per l'unità d'Italia 1915–1918. Sul verso una Vittoria alata viene portata sugli scudi dai soldati, con la scritta Coniata nel bronzo nemico – lo stesso decreto prevedeva infatti che fosse "fusa col bronzo delle artiglierie tolte al nemico".

 
Diploma rilasciato a Toni Bio (fonte: Famiglia Visentin) Diploma rilasciato a Toni Bio (fonte: Famiglia Visentin)

Oltre alla medaglia, con qualche anno di ritardo arriverà anche un diploma firmato dal Ministro della guerra (Pietro Gazzera nel suo caso), disegnato da Duilio Cambellotti con emblemi richiamanti il fascismo e riportante la dicitura Il soldato Visentin Antonio è autorizzato a fregiarsi della medaglia istituita a ricordo della guerra MCMXV-MCMXVIII.

Probabilmente Toni Bio si aspettava qualcosa di più di questa enfatica pacca sulla spalla: le condizioni economiche della famiglia sono molto peggiorate, mentre è cresciuta la consapevolezza dei suoi diritti di cittadino e di lavoratore. Anche per questo si avvicina al Partito Socialista e partecipa alle mobilitazioni operaie e contadine dell'immediato dopoguerra. Questa scelta trae ispirazione e si inserisce nel solco di una vera e propria "contromemoria socialista", che nel primo dopoguerra cerca di organizzare e di dare forma a un nuovo anelito antimilitarista, sostenuto anche da quei liberali che avevano appoggiato la politica neutralista di Giolitti.

Tessera del Partito Socialista di Toni Bio (fonte: Famiglia Visentin) Tessera del Partito Socialista di Toni Bio (fonte: Famiglia Visentin)

"L'Avanti! in particolare raccoglie, organizza e pubblica le lettere in cui i reduci raccontano le loro dolorose esperienze, le prepotenze subite, i massacri cui hanno assistito, gli innumerevoli episodi di violenza. Sulle pagine del quotidiano, giorno dopo giorno prende consistenza un racconto collettivo e drammatico, che però con l'avvento del fascismo sarà costretto a inabissarsi come un fiume carsico, per sopravvivere solo nell'ambito domestico o nelle piccole, chiuse comunità di resistenti. Riemergerà negli anni sessanta, come un corpus di canti e di testimonianze spesso antagonisti, quando anche una rinnovata ricerca storica, apertamente revisionista, cercherà di contrastare l'interpretazione patriottica della Grande Guerra, per denunciare che quel conflitto fu anche un tragico episodio di sopraffazione autoritaria e di coesione sociale forzata". (Quinto Antonelli 1918, pp. XII-XIII).

Con l'ascesa al potere del fascismo Toni Bio abbandona progressivamente l'impegno politico, vedendo sbarrato ogni spazio di manovra, e si dedica anima e corpo al lavoro e alla famiglia. Sposa Angelina, una ragazza abbandonata appena nata dalla madre per mancanza di mezzi e adottata da una famiglia della zona. Lavora sodo nella sua campagna andando spesso in giro con il fucile - la sciòpa - una sorta di stampella per esorcizzare lo spavento vissuto nelle trincee sul Grappa. Non avrà figli, ma si prenderà cura come un padre di alcuni figli del fratello Giuseppe (padre di Terenzio), un uomo un po' scapestrato e poco affidabile, talvolta interessato più all'opera lirica che a mettere insieme la cena per la numerosa famiglia che aveva messo al mondo.

Il fucile di Toni Bio (fonte: Famiglia Visentin) Il fucile di Toni Bio (fonte: Famiglia Visentin)

La tragedia della Seconda guerra mondiale assesta un altro duro colpo all'equilibrio faticosamente raggiunto da Toni Bio: bombardamenti aerei (la sua casa è vicina alla linea ferroviaria Padova - Mantova), requisizioni continue e la morte dei cugini prediletti: tre fratelli fucilati assieme dai tedeschi in Albania dopo l'otto settembre. Finita la guerra torna all'attivismo politico e si iscrive al rinato Partito Socialista, ma con un atteggiamento di disincanto che si farà via via sempre più forte.

Quando anche i nipoti cui aveva fatto da padre, ormai cresciuti, cominciano a prendere le loro strade - e la stessa moglie, come inselvatichita, comincia a passare più tempo nell'orto e nel pollaio che con lui - Toni Bio ritrova il conforto più o meno illusorio dell'anisetta trangugiata sulle cime del Grappa. E ancora negli anni Settanta in tanti lo ricordano a Montagnana, nel tragitto tra l'osteria e casa sua, col cappello schiacciato in testa, il bastone alzato in segno di minaccia verso le finestre e quel grido di battaglia che gli usciva ormai soffocato dalla gola: "Vilàni porchi".

 

 

 

 

 

Michele Visentin