La fine dell’Ottocento aveva visto la grande celebrazione dell'ottavo centenario dell'Alma Mater bolognese. Di lì a un trentennio, nel nuovo secolo, sarebbe toccato a Padova festeggiare il settimo centenario della nascita del proprio Studio.
Il respiro internazionale che aveva caratterizzato la lunga vita dell’Ateneo sarebbe stato alla base delle solenni celebrazioni, miranti a valorizzare la propria storia e identità. L'Università si mosse per tempo: la prima riunione del Comitato per il Settimo Centenario si svolse il 2 dicembre 1913.
Purtroppo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale portò a un rallentamento dei preparativi. Nella geografia politica italiana, Padova era uno dei centri maggiori del nazionalismo e dell'irredentismo. Già durante l’inaugurazione dell’anno accademico 1902-1903 il rettore Raffaele Nasini aveva attribuito all’Ateneo di Padova il compito di difendere e diffondere la cultura italiana: esso era il «solo in mezzo alla vasta regione che fu l’ultima a unirsi alla patria italiana e confina con altri popoli che hanno sempre parlato e che vogliono sempre parlare italiano». E un decennio dopo, nella sua relazione inaugurale del 6 novembre 1911, il rettore Vittorio Rossi ribadiva che l'Università di Padova, «per la sua posizione geografica, è come la sentinella avanzata dell'alta cultura italiana verso il confine orientale».
Questo sentimento era largamente diffuso sia nel corpo docente, che diede il via a iniziative di carattere interventista e irredentista, sia fra gli studenti, che organizzarono il battaglione universitario. Quegli stessi studenti che, alcuni mesi prima, erano stati al centro della cronaca per le proteste violente seguite agli incidenti del 1° maggio 1914: una serie di tragiche repressioni ad opera degli austriaci per sedare gli scontri tra italiani e istriani a Trieste.
Questo fervente nazionalismo si manifestò in modo ancora più deciso nel febbraio del 1915, quando gli studenti si riunirono nel cortile del Bo chiedendo a gran voce, e non senza tumulti e scontri, l’entrata in guerra contro l’Austria. L’Università di Padova fu così in prima linea sia nella mobilitazione interventista sia, in seguito, sui campi di battaglia.
Le aule e i laboratori dell’Università si svuotarono; pochi furono gli studenti e i docenti che poterono continuare ancora nell’attività accademica e nella ricerca. Dopo la disfatta di Caporetto (24 ottobre 1917), la città accolse migliaia di soldati e di profughi. Padova, fondamentale nodo ferroviario e ospedaliero divenne la capitale al fronte: a Villa Giusti, verso Abano, fu installato il comando dell’esercito italiano, e vi fu firmato anche l’armistizio dell’11 novembre 1918.
Alla conclusione del conflitto la città, e anche la sua Università, erano allo stremo: il Settimo Centenario, che lentamente si avvicinava, si presentò come un’opportunità per mitigare il difficile clima post bellico, dove rimaneva comunque vivo il ricordo dei giovani studenti caduti, cui fu dedicato il portone dell’Università. I lavori iniziarono proprio nel 1922.
Negli anni del dopoguerra il Veneto vide la nascita di numerose attività, che diedero nuovo slancio all'economia. Ad esempio, la realizzazione di Porto Marghera segnò il passaggio a una nuova e più moderna concezione industriale. Una ventata di internazionalità giunse nel giugno del 1919 proprio a Padova, con la Fiera dei Campioni (successivamente Fiera Campionaria), la prima d’Italia. L'organizzazione dell'evento, che portò un notevole afflusso di visitatori, servì da modello anche per la celebrazione universitaria.
La città iniziò a cambiare volto: nel 1919 presero avvio i lavori di riammodernamento dell’apparato urbanistico e architettonico, fortemente voluti dall’amministrazione comunale. Lo scopo era quello di risanare e risistemare la zona del Ghetto e dell'area di S. Lucia: per poter procedere, fu prevista la realizzazione di un nuovo quartiere - noto come Città Giardino - che avrebbe dovuto accogliere gli abitanti delle zone interessate dalla ricostruzione, costretti a lasciare le proprie case. I primi progetti sono datati 1919, ma i lavori iniziarono sul finire del 1920, quando fu eletta la nuova giunta comunale conservatrice - con Giovanni Milani come sindaco - sostenuta anche da elementi del Fascio padovano.
Anche l’Università fu al centro di numerose novità. Luigi Lucatello, ex preside della Facoltà di Medicina, fu eletto rettore, ruolo che lo portò, ovviamente, a occuparsi dei preparativi per i festeggiamenti del Settimo Centenario. A tal fine chiamò a collaborare numerosi colleghi, fra i quali Antonio Favaro, Emanuele Soler e Lando Landucci, il neosenatore del Regno Nino Tamassia e l’orientalista Ambrogio Ballini, che rivestì il ruolo di segretario generale.
Il compito che li aspettava non fu facile, perché dovettero confrontarsi con gli strascichi della guerra, che avevano coinvolto anche l'ambito accademico, al cui interno si erano creati schieramenti ideologici e politici a seconda della nazionalità di appartenenza. Se i tedeschi fin dall'inizio delle ostilità, avevano affermato che la loro nazione era stata attaccata per puri motivi economici ed espansionistici, gli anglosassoni, supportati dai francesi, avevano risposto condannando l’imperialismo, il militarismo e l’aggressione nei confronti del Belgio perpetrata dalla Germania.
I contrasti continuarono anche dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, rischiando di compromettere la realizzazione del centenario dell’Università di Padova, come spiegato nel dettaglio alla voce "Le delegazioni".