La collezione Mazzon comprende una dozzina di produzioni vascolari di imitazione greca e magnogreca: un aryballos (unguentario ad uso maschile), due lekythoi (contenitori di olii e unguenti profumati), un’anfora, un cratere a calice (vaso adoperato per mischiare l’acqua e il vino), un’oinochoe (brocca per servire il vino), una kylix (coppa per bere il vino), nonché due o tre trozzelle (vasi a destinazione funeraria tipici della civiltà messapica, nell'attuale Salento), un’hydria (brocca per l’acqua) e un rhyton (particolare tipo di coppa), questi ultimi nello stile della ceramica di Gnathia (pure nell'attuale Puglia). A prima vista questi vasi potrebbero essere accostati, erroneamente, alle note produzioni greche - corinzie e attiche - a figure nere oppure, in alcuni casi, alle già citate ceramiche messapiche e di Gnathia. In realtà essi rappresentano dei falsi, come confermato da una perizia effettuata dalla Soprintendenza per i Beni archeologici del Veneto nel 2007.
Ma come si giustifica una tale affermazione? Quali sono gli aspetti che possono aiutare a riconoscere se un vaso è autentico o meno?
Il falsario è, a suo modo, un artista e come tutti gli artisti tende a lasciare traccia di sé nelle produzioni attraverso una firma. Una firma che, in certe produzioni vascolari, può concretizzarsi nell'aggiunta di una decorazione accessoria o di un dettaglio ricorrente, senza alcun confronto con i manufatti autentici. In questo modo il falsario si assicura di far circolare la sua merce con un marchio distintivo, di cui solamente lui è a conoscenza e che può facilmente riconoscere se il pezzo è esposto al pubblico.
Talora il falsario è meno accorto o meno abile e realizza delle produzioni con forme, tipologie o dimensioni anomale rispetto a quelle del repertorio vascolare antico, creando quindi manufatti privi di confronto con gli originali greci e magnogreci. In altri casi inserisce scene figurate incoerenti rispetto al mito o alla produzione ceramica oggetto di imitazione.
Un altro particolare che bisogna osservare con accuratezza è la decorazione accessoria, ovvero tutte quelle piccole decorazioni geometriche o floreali di contorno alla scena principale: esse corrispondono a precisi schemi e sono canoniche in base alla cronologia o anche alla specifica forma vascolare, mentre i falsari tendono a trascurare questi aspetti, inserendo delle decorazioni accessorie non attestate, non pertinenti alla cronologia a cui si dovrebbe ispirare il vaso che realizzano. Talora il falsario può anche adoperare una decorazione di sua invenzione che, in quel caso, diventa una sorta di firma.
A volte la realizzazione è poco attenta anche nell’impiego della tecnica adottata. Ad esempio, la tecnica a figure nere prevedeva che il ceramografo realizzasse le scene figurate direttamente sul vaso, mentre nelle due lekythoi della collezione Mazzon le figure nere non sono dipinte sul corpo ceramico, bensì su una stesura di vernice brunastra: questa appare diffusamente scrostata, lasciando intravedere, al di sotto, il reale colore del corpo ceramico e permettendo quindi di comprendere - già da questa prima analisi - che non si tratta di una produzione autentica.
Molti vasi realizzati dai falsari si caratterizzano poi per la presenza di incrostazioni artificiali aggiunte alla produzione vascolare con l’ausilio di colle. Queste incrostazioni vengono solitamente stese sul corpo ceramico mediante l’ausilio di un pennello, il quale può lasciare evidenti tracce date dalle setole; laddove sia stata applicata una quantità eccessiva di incrostazione, il falsario adopera uno strumento abrasivo, lasciando però dei segni riconducibili a questa azione. È inoltre possibile riconoscere la natura artificiosa di queste incrostazioni, dato che spesso esse si concentrano solamente in punti privi di decorazioni, lasciando le scene figurate o i dettagli di maggior pregio liberi da ogni concrezione.
L’autenticazione dei reperti dunque non può che essere definita mediante un approfondito studio di confronto con altre opere di cui è stata già determinata l’autenticità e, più in generale, con reperti provenienti da scavi archeologici. Lo studio delle dimensioni, delle forme e dello stile, nonché di tutte le decorazioni accessorie e delle eventuali scene figurate può già determinare la natura dell’oggetto, onde evitare costose analisi di laboratorio, le quali comunque possono rivelarsi molto utili nel caso in cui sussistano dubbi che non possano essere sciolti solamente attraverso un confronto.
Si tenga presente che l’autenticazione non è rilevante soltanto per affermare se un vaso sia autentico o meno, ma anche per conoscere e contrastare un fenomeno illegale in preoccupante crescita.
Aryballos
Il vaso (alt. 10,4 cm) presenta dimensioni compatibili con quelle di alcune produzioni corinzie di VII-VI secolo a.C.; tuttavia certe particolarità morfologiche non sembrano trovare un confronto specifico con le produzioni originali antiche. La scena figurata occupa quasi l’intera superficie: essa rappresenta due cigni, che si fronteggiano ai lati dell’ansa, e due pantere alate, tra loro speculari, con un’unica testa vista frontalmente. Nelle raffigurazioni originali però le pantere alate sono contraddistinte da zampe di volatile e non di felino, come invece avviene in questo caso. Nel complesso, gli aspetti relativi alla morfologia vascolare e alcuni particolari della decorazione figurata, assieme alla presenza di incrostazioni artificiali applicate per invecchiare il pezzo, inducono a ritenere che l’aryballos non sia originale.
Lekythos a figure nere
Il vaso (alt. 20,4 cm) si contraddistingue per un orlo molto svasato e un corpo dal profilo sinuoso che si restringe nella parte mediana per poi riallargarsi: tali aspetti non sono compatibili con la forma canonica delle lekythoi cilindriche. Altre incongruenze, di carattere iconografico, riguardano la scena figurata, che ritrae una donna e due satiri intenti a danzare. Inoltre si può osservare che la vernice nera, con le seguenti sovradipinture bianche e brunastre, risulta stesa su uno strato di vernice brunastra: tale processo appare totalmente anomalo rispetto al consueto modus operandi del ceramografo antico che, per realizzare la tecnica a figure nere, stendeva la vernice nera direttamente sul corpo ceramico. Nel loro insieme queste constatazioni inducono a ritenere che la lekythos non sia originale.
Lekythos a figure nere
La forma globulare e altre caratteristiche del vaso (alt. 22,5 cm) sembrano ispirarsi alla tipologia delle squat lekythoi, attestata a partire dalla seconda metà del V secolo a.C. nell’ambito delle più recenti produzioni attiche a figure rosse. Nel riquadro figurato è riprodotta una scena dionisiaca, non priva di incongruenze sotto il profilo iconografico. In alcuni punti si scorge la presenza di uno strato preparatorio di vernice brunastra, incompatibile sotto il profilo tecnico con il metodo di lavoro del ceramografo antico. Tale particolare induce ad ipotizzare che il vaso sia stato realizzato dallo stesso falsario dell’altra lekythos presente nella collezione. Indizi evidenti ai fini dell’autenticazione sono anche le incrostazioni artificiali concentrate in corrispondenza del collo, dell’ansa e del piede.
Anfora a figure nere
La forma del vaso (alt. 44 cm) richiama quella delle anfore attiche definite “nicosteniche”, prodotte nella seconda metà del VI secolo a.C. Nonostante le dimensioni siano simili a quelle degli esemplari originali, le proporzioni delle parti che compongono il vaso appaiono piuttosto approssimative; in particolare il piede risulta troppo alto e tozzo, con un diametro maggiore rispetto al normale. Oltre agli aspetti morfologici, destano sospetti le decorazioni, come il fregio raffigurante i fiori di loto sul collo, che solitamente risulta collocato sulla pancia, oppure il motivo a onde, tipico delle produzioni apule o campane a figure rosse. La scena figurata sulla spalla e sulla porzione superiore del corpo rappresenta lo scontro fra un oplita e una leonessa alla presenza di altri personaggi. Dal punto di vista iconografico tale scena si ispira ad alcuni esemplari noti, ma con diverse incongruenze. Tutte queste considerazioni, assieme alla presenza di incrostazioni artificiali, inducono a ritenere che l’anfora non sia originale.
Cratere a calice a figure nere
Il vaso (alt. 34,6 cm) appare più slanciato rispetto alle analoghe produzioni attiche a figure nere, trovando confronti più puntuali in alcuni crateri a calice a figure rosse. L’orlo è decorato da un fregio a meandro complesso confrontabile con una variante riscontrabile in alcune produzioni del periodo apulo antico (430-370 a.C.); questa decorazione non risulta pertanto compatibile con la più antica tecnica a figure nere alla quale si ispira il cratere. Al di sotto dell’orlo si concentrano due scene figurate: su un lato si distingue una scena di partenza di un cavaliere appiedato, sull’altro un combattimento fra due opliti e un centauro. Chiudono inferiormente queste scene due fregi: uno ad ovoli, che riprende le decorazioni tipiche del periodo apulo medio (370-340 a.C.), e uno decorato a palmette, di ispirazione attica seppur con alcune variazioni. Priva di riscontri puntuali è anche la decorazione sul piede. Nel loro complesso, le considerazioni relative alla morfologia vascolare e diversi particolari anomali relativi alla decorazione figurata, assieme alla presenza di incrostazioni artificiali, inducono a ritenere che il cratere non sia originale.
Oinochoe a figure nere
La brocca (alt. 14 cm) si caratterizza per l’orlo provvisto di un unico lobo in posizione frontale; ben più frequentemente è attestata invece la soluzione con orlo trilobato. La morfologia vascolare può essere confrontata con alcune produzioni greche di Issa del III secolo a.C., incompatibili però dal punto di vista cronologico con la tecnica a figure nere alla quale si rifà l’oinochoe. Anomalo è anche lo sviluppo dell’ansa a partire dal collo, anziché dall’orlo. La scena figurata ritrae due personaggi, uno vestito e uno nudo, intenti a correre. In corrispondenza delle due figure ritratte nella scena e della porzione inferiore del vaso, è possibile riconoscere evidenti segni lasciati dal pennello adoperato presumibilmente per la stesura di una colla, in modo tale da simulare un’incrostazione. Nel loro insieme queste constatazioni inducono a ritenere che l’oinochoe non sia originale.
Kylix a figure nere
La coppa, di grandi dimensioni (alt. 18 cm), presenta una profonda vasca carenata, due anse a bastoncello e un alto piede a tromba. Dal punto di vista morfologico, il manufatto sembra ispirarsi a due diverse tipologie di kylikes, le Siana cups e le lip cups, delle quali sono ripresi i tratti distintivi non senza evidenti incoerenze formali e dimensionali. Sulle pareti esterne sono presenti due scene figurate: su un lato una scena di combattimento secondo uno schema ripetuto che vede protagonisti un oplita e un cavaliere, sull’altro una processione di personaggi che convergono verso una figura seduta recante una saetta in mano, probabilmente identificabile con Zeus. Come documentato per le Siana cups double decker, la decorazione esterna della vasca appare bipartita in due registri, anche se in questo caso le scene figurate sono poste nel registro superiore anziché in quello inferiore. Nella superficie interna della vasca è dipinto un Genio alato, riprodotto secondo lo schema della corsa inginocchiata, che presenta particolari (come il vistoso copricapo a fiore di loto) incompatibili con le tipologie ceramiche di riferimento. Nel loro complesso, le incongruenze morfologiche e decorative evidenziate inducono a ritenere che la kylix non sia originale.
Trozzella
Il vaso (alt. 29 cm) si ispira alla forma delle trozzelle di produzione messapica (VI-III secolo a.C.), caratterizzate dalle peculiari anse verticali ornate da coppie di rotelle; tuttavia, nello specifico, il manufatto non sembra riprodurre alcuna tipologia nota. Il collo è decorato con un fregio a onde, mentre sulla spalla è presente un fregio con motivi a Z. Al di sotto delle anse si sviluppa una teoria di cervi pascenti, peraltro non coerente con il repertorio figurativo tipico delle trozzelle. La decorazione si caratterizza per l’uso della vernice nera su un lato e della vernice nera con sovradipinture brune sull’altro. Questo aspetto è evidente anche nella decorazione delle anse, dipinte per metà con vernice nera e per l’altra con vernice bruna. Nel loro complesso, le incongruenze morfologiche e decorative evidenziate inducono a ritenere che la trozzella non sia originale.
Trozzella
Un altro vaso della collezione Mazzon (alt. 16,9 cm) riprende la forma della trozzella di produzione messapica, anche se non sembra riprodurre alcuna tipologia nota. Nello spazio compreso tra le anse è raffigurata una teoria di volatili. La superficie risulta dipinta con una stesura sottile, facile a sfaldarsi e abrasa in gran parte del corpo ceramico. Anche in questo caso la decorazione si caratterizza per l’uso della vernice nera su un lato e della vernice nera con sovradipinture brune sull’altro. Tale particolare induce ad ipotizzare che la trozzella sia stata realizzata dallo stesso falsario dell’altro esemplare presente nella collezione.
Pseudo-trozzella
Il vaso (alt. 15,7 cm) presenta una forma anomala rispetto all’intero repertorio ceramico greco e magnogreco. La superficie appare caratterizzata da una fitta e complessa decorazione geometrica. L’orlo presenta una decorazione a triangoli campiti, seguita sul collo da un fregio a piccoli cerchi, mentre la spalla si caratterizza per un fregio di triangoli neri. Al di sotto si sviluppa una teoria di cervi pascenti, resa in vernice nera con sovradipinture brune. Pur in assenza delle caratteristiche anse allungate (qui sostituite da due anse a maniglia) e nonostante evidenti approssimazioni e incongruenze, il profilo del vaso e le decorazioni geometriche sembrano ispirarsi alla tradizione delle trozzelle di produzione messapica. Anche in questo caso è possibile che il manufatto sia opera dello stesso falsario dei due esemplari precedenti. Non si esclude che la pseudo-trozzella sia stata realizzata con questa forma atipica per ottenere un pezzo unico, particolarmente ambito sul mercato.
Hydria
Il vaso (alt. 18,6 cm) si ispira alle produzioni in ceramica di Gnathia (IV-III secolo a.C.), caratterizzata da un rivestimento in vernice nera lucente, a imitazione del metallo, con decorazioni policrome sovradipinte. Sulla spalla è ritratta una testa femminile vista di profilo, con il capo coperto da una sorta di cuffia, incorniciata ed enfatizzata da motivi vegetali. Il corpo del vaso presenta superiormente una fascia decorata da baccellature verticali rese a rilievo, mentre nella porzione inferiore si sviluppa un tralcio di vite dipinto. Nel loro insieme le caratteristiche morfologiche e decorative del manufatto sembrano rifarsi a modelli di riferimento diversi, documentati per via archeologica ma qui associati in modo incoerente. Tale constatazione, assieme alla presenza di incrostazioni artificiali, induce a ritenere che l’hydria non sia originale.
Rhyton
Anche questo particolare tipo di coppa (alt. 24,3 cm), caratterizzato da una terminazione plastica raffigurante una protome bovina, sembra ispirarsi alle produzioni in ceramica di Gnathia. L’orlo e la porzione iniziale del collo sono decorati con un fregio ad ovoli e uno a meandro, mentre sulla superficie del collo si sviluppa una scena figurata. Questa rappresenta un giovane nudo, stante, con una corona vegetale nella destra e un mantello nella sinistra, ai lati del quale pendono rami di edera e drappi sospesi sopra motivi vegetali. Alcune particolarità morfologiche, i dettagli anatomici della testa di bovino e l’ambiguità dei riferimenti iconografici, talvolta pertinenti al repertorio della ceramica di Gnathia, altre volte a quello della ceramica apula a figure rosse e, persino, a quello delle produzioni attiche a figure rosse, associato all’uso della sola vernice gialla e alla presenza di incrostazioni artificiali, inducono a ritenere che il rhyton non sia originale.