«Relazione istorica intorno alla chiesa e monastero di S. Caterina
La fondazione del monastero di S. Caterina sotto il titolo di Illuminate si riporta all'anno 1528, le quali abitavano in privata abitazione sul borgo di S. Croce.
Essendo poi le monache cresciute di numero, furono nel 1538 trasferite nella contrada di Borgo Zucco verso S. Sofia, e si chiamavano col titolo di monache e monastero di S. Maria Maddalena delle Illuminate di Santa Sofia, per distinguerle da quelle di S. Maria Mater Domini che erano esse pure convertite: ma essendo stato quel locale preso dentro il recinto del monastero di S. Sofia furono le monache sopraddette nell'anno 1627 trasferite nel così detto monastero di S. Caterina, avendo ottenuto dal parroco di quella chiesa la sua casa per rinchiudere dentro il loro recinto, al quale corrispondevano un annuo quantitativo per conto affitto.
Il monastero soggiacque alla general soppressione avvenuta in forza dell'imperiale decreto 25 aprile 1810 e la chiesa divenne succursale della matrice di S. Sofia».
Catastico delle scritture contenute nell'Archivio della Corona in Padova... Compilato da Antonio Marchettani segretario dell'agenzia anno MDCCCXII corretto ed ampliato dallo stesso nella qualità di archivista generale dell'I.R. Direzione del Demanio di Padova, anno MDCCCXXII. Tomo III.
(ASPd, Catastico Corona, Marchettani, b. 8, cc. 457v-458r)
Come racconta questa breve relazione ottocentesca conservata nell'Archivio di Stato di Padova, la storia delle monache "Illuminate" ha inizio un secolo prima della costruzione del complesso di Santa Caterina e in un'altra parte di Padova: era il 1528 e la congregazione aveva sede in un'abitazione a Santa Croce, nella zona meridionale della città. Probabilmente doveva trattarsi di una comunità non ancora strutturata, che però ben presto crebbe di numero: le monache si trasferirono allora nei pressi della chiesa di Santa Sofia, «super angulo burgi Zucchi» (Baggio 1999, p. 55), all'angolo con l'attuale via A. Gabelli. Qui, con il nome di Santa Maria Maddalena delle Illuminate e sotto la regola di sant'Agostino, esse accolsero «molte femine dal demonio ingannate dopo havere persa la verginità, overo dopo essere state meretrici, [che] pentitesi delli commessi peccati desideravano far penitenza» (Portenari 1623, p. 479) e vi rimasero almeno fino al secolo successivo, quando l'ampliamento del monastero di Santa Sofia, allora abitato da benedettine, costrinse le monache a un nuovo spostamento.
Fu così che nel 1627, il 13 agosto, con autorizzazione ducale da parte del doge Giovanni Cornaro, esse giunsero nella sede che le avrebbe ospitate per due secoli, costruita a ridosso della chiesa di Santa Caterina: da quel momento l'edificio religioso sarebbe servito tanto per le madri Illuminate quanto per i fedeli del borgo, generando non pochi problemi di convivenza tra le monache e i parroci impegnati nell'amministrazione dei Sacramenti.
Nonostante ciò, la famiglia religiosa insediatasi in Santa Caterina incontrò fin da subito il favore della popolazione: la costruzione del loro monastero venne finanziata con il concorso delle elemosine di nobili famiglie padovane quali gli Zabarella, gli Orologio, gli Speroni, i Camposampiero, i Frigimelica e i Mazzoleni, in particolare per il tramite delle tre sorelle Margherita, Elisabetta e suor Caterina (Baggio 1999, p. 56). Successivamente, in più di un'occasione alle monache furono destinati beni immobili provenienti da testamenti, donazioni, legati o altro, cosicché ben presto il loro patrimonio fondiario si arricchì di possedimenti non solo a Padova ma anche nella campagna circostante: ad esempio, il 22 agosto 1569 Andrea Guidoni lasciò «per ragion di legato» al monastero delle Illuminate una terra arativa piantata di viti ed alberi, posta in villa delle Granze di Pernumia nella contrà di S. Pietro Viminario, mentre con il suo testamento del 9 maggio 1591 Caterina Marchesina donò alla comunità un terreno con casa di paglia, situato in Villa di San Fidenzio di Polverara. Tra le località del contado nelle quali le monache di Santa Caterina possedevano beni immobili, i documenti d'archivio ricordano Abano, Brentelle, Campagnola, Creola, S. Fidenzio di Polverara, Pianiga e S. Pietro Viminario, che rendevano loro la somma annua di 30.616 lire venete (ASPd, Catastico Corona, Marchettani, b. 8, cc. 452v, 457r, 458r).
Eppure questa generale situazione di prosperità economica fu destinata a non durare. All'alba della soppressione napoleonica, nel 1804, la rendita di Santa Caterina risultava tra le più basse fra i monasteri padovani: solo 6 lire venete e 106 soldi all'anno per il mantenimento di 23 monache (Gloria 1862, p. 267).