Già nei primi decenni del Novecento, il numero crescente di iscritti alla Scuola degli Ingegneri e l’avvento di nuove discipline, come l’Elettrotecnica e l’Idraulica, rendono insufficiente la sistemazione alle Porte Contarine: nel 1929 la facoltà è trasferita nel moderno stabile progettato da Daniele Donghi su via Loredan.
In base a un accordo antecedente il conflitto mondiale, le strutture gravitanti intorno a Palazzo Cavalli sono allora destinate a ospitare l’Istituto e il Museo Geologico, stipato al Bo negli angusti spazi già in passato occupati dal Museo Vallisneriano. Negli edifici sgombrati dagli ingegneri i lavori hanno inizio nel 1930 e si protraggono per un paio d’anni, sotto la supervisione dell’ingegner Antonio Tevarotto del Consorzio Edilizio Universitario.
Nei bracci ottocenteschi trovano sistemazione la parte didattica e il museo, mentre nell’antica dimora dei Cavalli le sale al pianterreno sono tappezzate e destinate a laboratori per le preparazioni geologiche, nel piano superiore si insedia la Biblioteca, affiancata dalla Direzione. Gli interventi di ripristino e adattamento prevedono anzitutto l’abbattimento dei tramezzi, che erano stati innalzati anche nell’atrio per ricavare i gabinetti: con le pareti, cadono i controsoffitti e tornano in luce le vecchie travi dipinte, in uno stato di conservazione, che è giudicato “pressoché perfetto”.
Viene ripristinata l’originaria conformazione a T del salone nobiliare. La sostituzione dell’architrave divisorio tra il vestibolo e la sala maggiore fa rovinare la decorazione in stucco, che viene rifatta in stile.
Più interessanti gli interventi che coinvolgono gli affreschi, il cui restauro è affidato all’abilissimo maestro trevigiano Mario Botter, sotto la sapiente direzione di Giuseppe Fiocco, da circa un triennio titolare della prima cattedra di Storia dell’Arte dell’Università di Padova. Durante i lavori di pulitura, Botter nota la presenza di tracce di pittura al di sotto delle cornici del soffitto. Effettua quindi degli assaggi, rimuovendo parte delle tinte e del bianco di calce, e scopre “racchiusi da eleganti incorniciature a volute su fondo verde terra […] putti evidentemente di mano del Dorigny”. Il restauratore propone un loro recupero, ché “assai ne avvantagg[erebbe] il complesso decorativo del salone”.
Consultatosi con il professor Fiocco, il rettore Carlo Anti autorizza la pulitura dei monocromi e la realizzazione di una nuova cornice a mensole al di sopra degli stessi, che funga da raccordo con il soffitto ottocentesco. I monocromi, che decorano lo zoccolo, non ricevono purtroppo la stessa attenzione: sacrificati alle esigenze dell’Istituto, sono nascosti dalle pesanti librerie lignee tuttora in loco.
Un altro momento d’eccezione è relativo agli interventi nello scalone. Le precarie condizioni della struttura, già rattoppata dagli ingegneri, ne impongono il completo rifacimento. Si procede allora con la rimozione della balaustra barocca e dei puttini in pietra, meticolosamente numerati per essere poi riposizionati nella sede originaria.
La demolizione delle rampe solleva il problema dei controsoffitti affrescati e il Rettore interroga la Soprintendenza all’Arte Medievale e Moderna di Venezia sulla necessità di preservarli. Risponde Gino Fogolari: “Possono essere abbattuti senza rimpianto e, rimessa in essere la nuova scala, si potranno ripetere ad affresco le sole riquadrature ben mosse e macchiate a finti marmi, ma senza figure”.
I tempi si dilatano e solo dopo due anni, nel luglio 1935, gli operai cominciano a smantellare. Salvo che il soprintendente Fogolari si reca in sopralluogo a Palazzo Cavalli e, rivedendo la sua posizione, chiede che si conservino i riquadri con putti “danzanti”. Troppo tardi: buona parte degli affreschi è già stata distrutta. Si procede quindi allo stacco dei due ancora superstiti nelle rampe inferiori, che nel febbraio del 1936 sono quindi ricollocati nel soffitto della nuova scala.
Viene poi coinvolto Mario Botter per il rifacimento degli affreschi perduti. Sebbene egli dichiari di realizzarli “conformi agli originali”, il confronto con le fotografie dei riquadri seicenteschi testimonia come in tutti i gruppi siano stati omessi dei particolari: compassi, squadre, stadere, bilance a due bracci con martelli incrociati non trovano più posto nella nuova decorazione.