Un tempo tinello di Casa Cavalli, Sala della Caccia deve il suo nome alle scene venatorie, che la decorano completamente, invitando il visitatore ad un’emozionante esperienza immersiva. L’illusione pittorica di Michele Primon, databile intorno al 1672, sfonda le pareti e ricrea davanti ai nostri occhi un ambiente boschivo abitato da animali selvatici e uccelli esotici. Da lontano sembra giungere il richiamo di un corno, lo scalpitare dei cavalli, le grida dei giovani cacciatori, i cui volti ritraggono con probabilità i rampolli della famiglia.
Il valore di status symbol legato alla rappresentazione dell’arte venatoria, un’attività ricreativa appannaggio esclusivo dei nobili, viene ulteriormente esaltato dalla presenza dell’aristocratica falconeria, dipinta sulla parete ovest. A ricordare che tale tipologia di caccia era praticabile anche dalle donne incontriamo qui l’unico ritratto femminile della sala ancora visibile, forse riferibile a Elisabetta Duodo da poco congiuntasi in matrimonio con l’erede designato Federico Cavalli.
La parete contigua risulta completamente abrasa. Tenendo in considerazione le stampe a soggetto venatorio di Antonio Tempesta, che Primon tenne a modello per la realizzazione del ciclo, possiamo ipotizzare trovasse qui posto una scena di caccia al leone.
Nella parete nord la caccia al toro, similare a quella proposta dallo stesso Primon in Villa Contarini a Piazzola sul Brenta, è sormontata da un curioso episodio ispirato alle favole di Esopo: vediamo infatti compiersi l’imbroglio della volpe ai danni del corvo, che stringe ancora nel becco il pezzo di formaggio bramato dall’astuto canide.
Segue sulla parete est un’esotica caccia allo struzzo, animale che non doveva esser particolarmente famigliare al pittore, come dimostrato i tanti errori nella morfologia e nelle proporzioni. A campeggiare sopra la porta d’accesso è invece un’altra bestia molto particolare, metà scimmia metà leone, con il volto antropomorfo che punta lo sguardo verso lo spettatore quasi in atteggiamento di sfida.
Sulla parete sud, la scena di caccia al cinghiale presenta un’evidente caduta d’intonaco, che ha messo in luce la quadrettatura sottostante, impiegata dal pittore per riportare sulla parete il disegno del cartone preparatorio. Più oltre la perdita dell’affresco è dovuta ad un intervento strutturale di fine Ottocento, quando su questa parete venne aperta una porta di comunicazione con i bagni.
Con probabilità l’intento fu quello di evitare il passaggio attraverso la porticina d’angolo, che nel palazzo nobiliare collegava il tinello agli ambienti a meridione, allora destinati a cucina. Dalla stessa porta si accedeva infatti anche ad una ripida scala interna, di raccordo tra i vari piani dell’edificio: si tratta della splendida scala a bovolo, con parapetto in ferro battuto e raffinate pareti in marmorino, oggi finalmente restituita all’ammirazione di tutti.