La scala nobile rappresenta uno degli ambienti più suggestivi di Palazzo Cavalli. Il superbo apparato decorativo, con le sue sfuggenti finte architetture e il cangiante cromatismo, venne realizzato dopo la morte di Giovanni Cavalli, risalente al luglio 1682, per volontà del primogenito Federico e di sua moglie Elisabetta Duodo.
I nuovi proprietari commissionarono gli affreschi a due artisti emiliani à la page, già impegnati in altre imprese in ambito veneto: Giacomo Parolini e l’allora quotatissimo quadraturista Antonio Felice Ferrari.
Contemporanea è anche la realizzazione della balaustra con colonnine tornite e putti, di cui gli affreschi offrono una perfetta corrispondenza: si osservi la specularità tra le colonne dipinte e quelle scolpite, montate su splendide basi antiche.
La ricchissima quadratura pittorica, tipica del gusto barocco, accompagna il visitatore in un percorso ascensionale.
Entro finti clipei dallo sfondo in velluto verde sono raffigurati i busti dei Cesari, con corazza e corona d’alloro in testa: il soggetto, diffuso in palazzi e collezioni principesche già dagli inizi del Quattrocento come exepla virtutum delle glorie e della fama dei sovrani dell’Antichità che i nuovi nobili proiettavano su di sé, subisce qui alcune significative varianti, tese a rimarcare il prestigio della casata.
Partendo dal pian terreno, il terzo Cesare mostra infatti fisionomie assimilabili a quelle di Marino Cavalli nel telero dedicatogli da Domenico Campagnola nel 1562.
Il settimo e ultimo busto rimanda invece all’iconografia di Giovanni Cavalli nel dipinto di Francesco Maffei per la Rotonda di Rovigo, datato 1646.
La corrispondenza tra due Cesari e le fisionomie note di esponenti della famiglia induce a ritenere che nei busti siano celebrati gli avi del nuovo proprietario Federico Cavalli. Il sesto ritratto, con collare nobiliare, potrebbe rappresentare Marino il Giovane, secondo proprietario del palazzo, che nel 1603 venne nominato cavaliere dal re di Francia Enrico IV.
Se pur apparentemente assimilabile alla serie, il quarto busto è in realtà un falso novecentesco: fu realizzato per equilibrare la composizione quando venne ricavata la porta d’accesso al Museo di Geologia.
Oltre che fisica, la salita al piano nobile assume anche il valore di ascesa spirituale, sotto la protezione delle Muse, che campeggiano al centro delle pareti entro ricche cornici dorate. Nei piani inferiori si incontrano Calliope, la Poesia Epica, e Melpomene, che con la mano destra leva in alto un pugnale, mentre nella sinistra stringe una maschera da tragedia.
Segue Urania, musa dell’Astronomia, facilmente identificabile dal compasso e dalla sfera armillare. Al piano superiore è raffigurata Clio, musa della Storia, che siede su una gradinata poggiando il braccio destro sopra un volume in cuoio, mentre tende una corona d’alloro verso Apollo. Il dio, con la faretra e la lira, volge il bellissimo volto verso l’alto, come ad accogliere la luce che piove dal cielo: il soffitto originale era infatti costituito da un lucernario ottogonale, che “irradiva” il visitatore mano a mano saliva ai piani nobili. L’effetto luministico d’insieme doveva risultare davvero spettacolare.
Dal pianerottolo del primo piano, l’accesso al salone da ricevimenti avviene attraverso un elegante portale ligneo di fattura tardo-ottocentesca, che andò a sostituire le originali porte dipinte, cedute ai Musei Civici, riprendendone in parte i motivi decorativi a intreccio. Ai lati del portone, due gigantesche scene a fresco sembrano rivolgere a quanti si accingono a varcare la soglia un ultimo monito dal sapore quasi dantesco.
Proprio al Sommo Poeta si ispirò Giacomo Parolini per la realizzazione dell’episodio di destra, dove si può osservare la scena di Ercole che abbatte la clava su Gerione. Se nella tradizione letteraria Ercole uccide il mostro divoratore di uomini con le frecce, la sostituzione con la clava può derivare da una crasi con un successivo momento della vicenda relativo allo scontro con un altro mostro, Caco. Rispetto alle più consuete iconografie di Gerione tricefalo, la condensazione delle sue differenti nature in una sola è palesemente debitrice della Commedia: Dante colloca Gerione a guardia delle Malebolge e lo descrive con un volto umano dall’apparenza benevola, zampe artigliate e pelose, il busto di serpente (rimando diretto a Satana), che termina con un pungiglione avvelenato simile a quello dello scorpione. La frode, pericolosa perché infida, ambigua, ingannatrice, può essere però sottomessa dall’uomo giusto.
Sull’altra parete, Atena Pallade in armi sottomette il Tempo, vecchio calvo e barbuto con una fiaccola spenta sotto il braccio sinistro. Rispetto alla più ricorrente iconografia della Fama che incatena il Tempo, rara risulta la variante con Pallade, intesa a esaltare l’industriosità della famiglia, che rende immortale il proprio nome grazie all’impegno e ai sacrifici dei suoi componenti. Un precedente rispetto a questo soggetto è stato individuato in un prezioso orologio notturno, in legno ebanizzato con quadrante in rame dipinto, realizzato nel 1660 dall’astronomo e meccanico Giuseppe Campani per papa Alessandro VII Chigi.