Sifilide

print this page

Ai primi del Cinquecento dilaga in Europa la sifilide. "Se la lebbra dell'Alto Medioevo era la metafora e il paradigma dell'emarginazione sociale e della morte civile, se la peste del Basso Medioevo era la metafora e il paradigma della morte fisica e della paura di morire, la sifilide del Rinascimento era simbolo e modello della malattia peccaminosa e vergognosa", a trasmissione sessuale (Cosmacini p. 231).

 

Battesima la malattia Girolamo Fracastoro (1478-1553) nel Syphilis siue morbus gallicus del 1530, conservato dalla Biblioteca di Scienze del Farmaco dell'Università di Padova (copia digitale). Poeta oltre che medico, l'autore ne inventa un'origine mitologica, in cui la malattia è una punizione di Apollo contro la presunzione del pastore Syphilus. Fracastoro sposa la teoria, ora controversa, secondo cui la sifilide arriva in Europa dall'America appena "scoperta". La chiama anche mal francese, con riferimento alla trasmissione, dopo l'esordio spagnolo del 1493, dall'esercito spagnolo a quello francese nella contesa di Napoli. Fracastoro proponeva una prevenzione basata su uno stile di vita sano e accorto, e suggeriva come farmaci mercurio e guaiaco, pianta americana. Il medico veronese ipotizza agenti microscopici di contagio, seminaria, nel De contagione e contagionis morbis, conservato dalla Biblioteca di Scienze del Farmaco all'interno dell'edizione del 1555 dell'opera omnia (copia digitale).

Gabriele Falloppio (1523-1562) scrive sulla sifilide il De morbo gallico, pubblicato a Padova subito dopo la sua morte, di cui la Biblioteca di Scienze del Farmaco dell'Università di Padova conserva la ristampa del 1564 della prima edizione dell'anno precedente. Falloppio apre con un'osservazione moralistica: "Deus saepe morbis castigavit peccata nostra" (Dio spesso punisce con le malattie i nostri peccati) (c. 1r), ma passa subito alla disamina scientifica del morbo ormai universale, "invadentes nunc Italiam, nunc alias vel Europae, vel caeterarum mundi partium regiones" (c. 1r). Espone i diversi nomi della sifilide (mal francese per gli italiani, ma napoletano per gli spagnoli), distingue con precisione i sintomi (De signis) e la loro complessa sequenzialità (De numero symptomatum Gallicum sequentium atque de ordine), e analizza la difficoltosa storia eziologica della malattia (De causis). Sull'origine del morbo, Falloppio lancia una frecciata contro la diffusa credenza della sfortunata congiuntura astrale: "medicus... potest magis cantaros, et urinales contemplari quam caelum" (il medico può contemplare i vasi da notte e gli urinali anzichè il cielo) (c. 5r). La causa del morbo va cercata nel contagio sessuale "non aquam, non aerem, nec locum, sed actiones hominum" (c.7r e v). Per la cura, dopo l'invito a rafforzare il corpo e, quindi, le difese immunitarie, Falloppio propone i rimedi allora in uso, dai suffumigi di mercurio (hydrargyror) al decotto di guaiaco, o legno santo. Chiude l'opera il capitolo sulla prevenzione (De praeservatione), che suggerisce l'astinenza o l'uso di pofilattici (linteolum imbutum medicamento, panno di lino imbevuto di un farmaco, c. 52r), qui descritti per la prima volta a stampa.

L'opera di riferimento per la cura della sifilide era il Liber de morbo Gallico di Niccolò Massa (1489-1569), pubblicato a Venezia nel 1536, uno dei primi trattati organici sull'argomento che esamina sintomi e rimedi per il male (copia digitale). Rilegato con quest'opera, la  Biblioteca di Scienze del Farmaco dell'Università di Padova conserva il suo Liber de febre pestilentiali, ac de pestichiis, morbillis, variolis, & apostematibus pestilentialibus, pubblicato a Venezia nel 1540 (copia digitale). Nel 1535 Massa fu incaricato dalle autorità sanitarie della Serenissima di indagare sulla natura di un’epidemia diffusasi in città e nel libro spiega come distinguere i sintomi della peste, anche sulla base di quell'esperienza. Le sue capacità di diagnosi nelle due epidemie lo resero rinomato e ricercatissimo in tutta Europa, tanto da permettergli di costruirsi una fortuna.

La sifilide provocò 20 milioni di morti. Fu solo ai primi del Novecento che il laboratorio di Paul Ehrlich trovò un rimedio efficace alla sifilide nel Salvarsan, di cui si conserva nella Biblioteca di Scienze del Farmaco dell'Università di Padova una fialetta donata dallo stesso Ehrlich, ora esposta al Museo della Medicina MuSME di Padova. La scoperta della penicilina nel 1940 lo soppiantò, per l'efficacia e l'assenza degli effetti collaterali.