La teriaca

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"La teriaca è forse il medicamento più celebre della storia del farmaco e ha dominato la scena medico-farmaceutica per più di un millennio; era ritenuta una panacea, un rimedio infallibile... la regina degli antidoti" (Cappelletti p. 15). La sua origine è leggendaria ed è fatta risalire a Crateva, medico di Mitridate VI re del Ponto (ca. 132- 63 a.C.), che usava assumere veleni a dosi sufficienti a garantirsi l'immunità da eventuali attentati nemici. Quando le sue sorti si rovesciarono, l'immunità acquisita gli impedì il sucidio col veleno che aveva somministrato anche alle figlie e fu costretto a trafiggersi con la spada dopo aver assistito alla loro morte. La storia contribuì alla fama del mitridato, come si chiamava l'antidoto che da lui prese il nome. Lo modificò Andromaco, medico di Nerone (54-68 d.C.), e lo chiamò teriaca, dal greco thḗroin, bestia selvatica, in quanto antidoto contro le morsicature velenose. L'ingrediente fondamentale era la carne di vipera, nella convinzione che l'animale conservasse anche l'antidoto oltre al veleno. La teriaca fu trasmessa in tutti i ricettari fino all'Ottocento.

 

Il Grabadin, ricettario arabo del XII secolo, citando Avicenna, descrive la Theriaca Andromachi come se fosse un essere vivente, con cinque età, infanzia, pubertà, adolescenza, "senectutem et decrepitam" (c. 102r), legate all'evoluzione degli effetti con il passare del tempo dopo la sua preparazione. Si trova la teriaca anche nell'Antidotarium Nicolai, farmacopea della scuola salernitana contemporanea al Grabadin. Oltre alla proprietà di antiveleno, se ne ricordano molte altre, che sembrano l'elenco universale delle patologie: "contra gravissimas passiones totius humani corporis, epilepticis, catalepticis, apopleticis, cephalagicis, stomachicis, hemicranicis prodest; ad raucedinem vocis, et constrictionem pectoris optima est, arteriacis, asthmaticis, haemoproicis, icterics, hydropicis, peripneumonicis, iliosis, et vulnera in intestinis habentibus, nephriticis, calculosis, cholericis subvenit, menstrua educit, et foetum mortuum expellit, lepras, et variolas, et frigus periodicum" (c. 185v). L'autore consiglia di testare il preparato su un gallo, ponendo del veleno su in'incisione sotto l'ala sinistra vicino alla coscia e mettendo poi la teriaca: "si animal vixerit, erit theriaca bona et bonae aetatis; si moritur, sit prava" (c. 186v). Per la conservazione, sono sconsigliati i contenitori di piombo "quia plumbum attrahit ad se venenositatem", o di ferro, che possono arrugginire, ma vanno usati contenitori d'oro o d'argento o di vetro. La durata massima in buone condizioni di conservazione è di 40 anni, ricordando il variare delle età citato nel Grabadin. Non va somministrata prima di sei mesi dalla preparazione, che va fatta nelle stagioni temperate per favorire la miscela del miele, usato per impastare gli altri ingredienti polverizzati, ed escludere che geli. La preparazione è complessa. Il primo giorno si tritano al mortaio alcuni ingredienti e li si aggrega con poco miele despumato. Si lascia riposare tre giorni. Si pestano gli altri ingredienti, aspersi con vino, e si aggregano ai precedenti con miele, gomma, terebintina (resina del larice), balsamo e galbanum (resina di ferula gommosa) ben mescolati tra loro. Si sigilla. Il primo mese si agita con forza due volte al giorno per almeno mezz'ora, il secondo ogni quattro giorni, il terzo ogni sette, il quarto ogni dieci, il quinto ogni quindici e una volta il sesto. Ora la teriaca è pronta, con l'accortezza di conservarla sigillata e mescolare quando opportuno.

Le ricette della teriaca presentano varianti, ma prevalgono sempre le piante non spontanee in Italia. "Per l'approvigionamento dei vegetali esotici, Venezia si trovava in posizione privilegiata" (Cappelletti p. 21). Di qui la fama della teriaca veneziana. Non solo: "è opinione universale di Huomini intendenti ed esperti, che non si trovi la megliore di quella, che si fà in Venetia, poiche quì più agevolmente, che in qualunque altro luoco del Mondo, si possano havere le Vipere a tempi dovuti raccolte, ne Monti Euganei, gli Trochisci delle quali constituiscono uno de gli più principali Ingredienti della Medesima" (p. 432). Chi scrive è un orgoglioso testimone della fama della teriaca veneziana: Antonio De Sgobbis. Nel suo Vniuersale theatro farmaceutico lo Speziale allo Struzzo esibisce i riconoscimenti per la preparazione della teriaca rivolti alla sua farmacia dal Senato della Serenissima, con tanto di targa elogiativa con leone di San Marco posta "nel mezo del Ponte verso l'Officina" (c. 432). Sarà forse un non tanto celato desiderio di autopromozione a far arrivare a quasi due pagine la già lunga lista dei benefici della teriaca. Rispetto alla versione dell'Antidotarium Nicolai, la preparazione si complica: aumentano il numero degli ingredienti e le fasi in cui vengono uniti in composto. De Sgobbis raccomanda di verificare sempre con un crivello o setaccio, "cribbio" o "tamiso", che la polvere degli ingredienti pestati al mortaio sia fine e omogenea e che miele, vino, balsami e succhi usati per amalgamare diano un Elettuario "perfettamente misto, squisitamente uniforme, senza minima apparenza d'alcuni grumi, et ottimamente incorporato al possibile, in Forma totalmente eccellente; l'Antidoto cosi fabricato, come Thesoro stimatissimo..." (p. 428). Data la fama della teriaca veneziana, "L'AUGUSTUSSIMO DOMINIO VENETO, sempre ha avuto una vigilanza inimitabile, acciò non siano in modo imaginabile commesse alcune frodi, ò mancamenti... L'ECCELSO CONSEGLIO ne hà dato la sopraintendenza [per le "Fabriche de' Medicamenti"] all'ILLUSTRISSIMO MAGISTRATO DELLA GIUSTITIA VECCHIA" (p. 431). La produzione della teriaca era concessa su licenza a farmacie autorizzate, una quarantina a Venezia (Cappelletti p. 31), che depositavano la ricetta e dovevano prepararla pubblicamente. Nell'antidotario bolognese del 1751 la teriaca è il primo dei medicamenti galenici esposti, con il divieto di fabbricazione in privato e l'obbligo di prepararla pubblicamente sotto il controllo del Collegio dei Farmacisti "Conficiatur solemni ritu in Archigymnasio a Societate Pharmacopoeorum, coram universo nostro Collegio legitime convocato: privatim Theriacam componere nemini jus esto" (p. 3). Preparazione "solemni ritu", perchè l'aspetto pubblico, unito alla complessità della ricetta, trasformavano l'evento in una sorta di spettacolo. De Sgobbis racconta della preparazione pubblica della teriaca nell'anno 1662 (pp. 431-432). Espone per tre giorni "su'l Ponte di Barettari avanti la Nostra Officina intieramente adornato con pompe convenienti" gli ingredienti, le "Materie Medicinali", selezionate con la diligenza e il decoro "dell'Arte Farmaceutica", "raccolte, ragunate, scelte, squisitamente disposte, & apparecchiate... sopra gran Bacili d'argento". In questo modo, gli ingredienti sono esposti alla valutazione "non solamente degli Periti, alle censure de gli Quali liberamente soggiacevano, ma ancora de Tutti gli altri Esteri, e Nationali, che passassero per la Marceria, strada frequentata più d'ogni altra" (ancor oggi). In assenza di osservazioni, si passa all'esame di una commissione, composta dai Provveditori del Magistrato della Giustizia Vecchia, il Priore del Tribunale, tre Consiglieri del Collegio dei Medici (l'associazione di categoria), tre membri esperti del Collegio dei Farmacisti. In particolare, si controllano i sigilli dei contenitori dei trocisci di vipera, che dovevano avere "un certificato di autenticità ("fedi") rilasciato da medici padovani a ciò autorizzati" (Cappelletti p. 21). Si pesano gli ingredienti e si ripongono in casse separate, ratificate con il sigillo del Magistrato e del Collegio. Si passa alla preparazione, che dura più giorni ed è seguita sempre dai pubblici ufficiali, e che comprende la Triturazione "fatta da vintiquattro Huomini ben gagliardi in altrotanti Mortaij grandi di Bronzo" e la "perfetta Dissolutione [per] le Materie condensate". Ogni giorno, all'ora di pranzo e alla sera, si appongono i sigilli. Fase finale è la "Incorporatione delle Spetie, e Polveri, e delle Dissolutioni con il Miele, e perfetta Mistione de gli Antidoti e loro ripositione", con ultima apposizione dei sigilli ai vasi per conservare la teriaca fino alla sua maturazione e alla liberatoria per la vendita. Il Magistrato porta con sè un campione, da conservare nell'"Armario" dell'istituzione.