L'Atrio

Atrio di Palazzo Cavalli

Nell’accedere a Palazzo Cavalli, oggi come in passato il visitatore stupisce di fronte all’esuberanza decorativa del “portego da basso”, che rispondeva perfettamente alle esigenze di rappresentanza della nobile famiglia durante i soggiorni padovani.

Su commissione di Giovanni Cavalli e del figlio Federico, novello sposo dell’aristocratica Elisabetta Duodo, il frescante padovano Michele Primon realizzò intorno agli anni Settanta del Seicento un sontuoso ciclo a fresco, profondamente debitore della tradizione umanistica e delle mode classicheggianti dell’epoca.

La decorazione pittorica si allinea al gusto barocco per la meraviglia, con una struttura stratificata su più registri che dà vita a sofisticati giochi illusionistici.

Atrio di Palazzo Cavalli

Sopra le porte, figure allegoriche femminili, intente a sorreggere cornici monocrome, si scambiano maliziosi sguardi, invitando lo spettatore a seguire un predeterminato percorso narrativo. La fascia intermedia presenta sontuose cornici dorate, intramezzate da finte lesene ioniche, che richiamano quelle realmente esistenti nel varco tra i due vani dell’atrio. Nella parte inferiore corre infine una finta balaustra, su cui posano ulteriori medaglioni.

Al loro interno si trovano raffigurate delle “imprese”, ossia degli emblemi accompagnati da un motto, che rappresentano simbolicamente un desiderio o una linea di condotta che si vuole, appunto, “intraprendere”. Le imprese furono particolarmente di moda nel Cinquecento manierista, quando impegnarono anche grandi letterati come Torquato Tasso e Paolo Giovio. La loro arte venne coltivata specialmente dai gesuiti con scopi didattici e persuasivi: tutte le imprese di Palazzo Cavalli sono raccolte nel volume enciclopedico dell’abate Giovanni Ferro e ad accomunarle sembra il proposito di dominio di quelle passioni, che avevano condotto a rovina il duca di Bracciano e la sua amata Vittoria Accoramboni, barbaramente uccisa in questo stesso palazzo meno di un secolo prima.

Atrio di Palazzo Cavalli

Esemplare in tal senso, sul tratto destro della parete ovest, l’impresa della salamandra, la cui presunta capacità di attraversare le fiamme illesa può essere interpretata come resistenza al fuoco d’amore: essa fu adottata quale simbolo personale anche dal duca di Gonzaga Federico II.

Sulla parete est del vestibolo notiamo invece l’impresa della falena, bruciata dal fuoco che l’ha ammaliata.

Un’ulteriore chiave interpretativa riconduce le imprese all’esaltazione della fede cristiana e invitano il credente a rivolgere solo a Dio il suo pensiero, come fa il girasole. Sempre sulla parete est del vestibolo, l’impresa dello struzzo che mastica un chiodo invita ad offrirsi interamente alla misericordia divina, capace di “digerire” ogni peccato.

Atrio di Palazzo Cavalli

Le ricche cornici dorate della fascia centrale presentano al loro interno episodi tratti dalle Metamorfosi di Ovidio, poema epico-mitologico del I secolo, che raccolse, rielaborandoli, più di 250 miti greci accomunati dal tema delle trasformazioni. Rimanendo sulla parete est del vestibolo, osserviamo gli amori di Giove per Europa e Leda, quando il dio si mutò in toro e poi in cigno. Segue la macabra fine di Atteone, trasformato in cervo da Diana per averla sorpresa al bagno.

Quindi ancora un amore divino, quello di Giove per la bella Io, la trasformazione della giovane ninfa in una vacca e il provvidenziale salvataggio da parte di Mercurio, che con l’inganno addormenta e uccide il suo guardiano, il temibile Argo dai cento occhi. Meno nota e poco frequente nei cicli ad affresco è la vicenda relativa alla nascita di Adone dall’albero, in cui è stata trasformata Mirra per la vergogna di aver giaciuto con il padre.

Sulla parete occidentale, la serie riprende con il celeberrimo amore di Apollo per Dafne, di cui riconosciamo nell’affresco anche il padre, il dio fiume Peneo, artefice della sua trasformazione in alloro. Quindi, l’episodio della metamorfosi in rane dei contadini della Licia, che hanno intorpidito le acque presso cui voleva ristorarsi Latona, madre di Apollo e Diana, nonché ennesima amante di Giove.

Atrio di Palazzo Cavalli

Dopo un’impresa di Ercole, raffigurato nell’atto di uccidere il centauro Nesso che tentò di rapirgli la sposa Deianira, sulla parete di accesso allo scalone si stagliano due episodi del libro più rari.

Sulla sinistra è raffigurata la metamorfosi di Atalanta e Ippomene, scandita in più momenti: in primo piano, la vittoriosa corsa del giovane sulla principessa guerriera grazie al sotterfugio suggeritogli da Venere di far cadere tre mele d’oro lungo il percorso; in lontananza, la tragica conclusione del racconto, con Ippomene che, istigato da Venere, giace con Atalanta presso il tempio di Cibele, la quale per vendetta trasforma entrambi in leoni, condannandoli a trainare in eterno il suo carro.

Ancor più terribile la vicenda narrata nell’affresco sulla destra, dove assistiamo all’inseguimento di un cinghiale da parte delle baccanti, espresso con un linguaggio quasi cinematografico: le baccanti hanno già mozzato una zampa all’animale, che stilla sangue, e presto lo uccideranno. La mattina seguente, quando la furia dionisiaca le avrà abbandonate, si renderanno però conto di non aver cacciato un animale: si trattava invece del principe Peneo e a sferrargli il colpo mortale è stata la sua stessa madre!

Questa geniale trovata non è merito di Michele Primon: risulta già impiegata nelle tavole illustrative, che accompagnavano le versioni in volgare delle Metamorfosi ovidiane, da cui il pittore trasse sicuramente ispirazione.

Atrio di Palazzo Cavalli

Risalendo la fascia superiore, vediamo campeggiare sopra l’arco di accesso allo scalone una testa di Diana, riconoscibile per la falce di luna sul capo.

Gli altri sovrapporta presentano invece delle scene di sacrificio con figure a monocromo, come ad esempio sulla parete opposta all’arco l’episodio di Marco Curzio, eroe romano, che si getta in una voragine per placare le anime infernali dei Mani.

Alcuni dei soggetti di questi ovali ritornano poi nella sala cosiddetta dei Telamoni, creando una continuità tra i due ambienti.