Tra il 1934 e il 1936, Man Ray (Filadelfia, 1890 – Parigi, 1976), fotografo e artista, si reca all'Institut Poincaré di Parigi in compagnia di Max Ernst (1891–1976), pittore e scultore. All'Institut sono conservati una serie di modelli matematici, che il fotografo surrealista immortala in una trentina di scatti, poiché questi oggetti presentavano secondo lui un "aspect également troublant pour le profane".
Nella sua autobiografia, Man Ray racconta così l'esperienza:
"Tra le fotografie portate dalla Francia ce n'era una serie che avevo fatto negli anni Trenta come base per alcuni dipinti mai realizzati. Rappresentavano oggetti in legno, metallo, gesso e fil di ferro costruiti per illustrare delle equazioni algebriche, che giacevano in vecchie casse polverose all'Istituto Poincaré. Le formule che li accompagnavano non mi dicevano nulla, ma le forme di questi oggetti erano in sé varie e autentiche quanto quelle di qualsiasi oggetto naturale. Ai miei occhi la loro importanza era accresciuta dal fatto che erano costruiti dall'uomo, né potevano considerarsi astratti, come Breton aveva temuto, la prima volta che glieli mostrai. Tutta l'arte astratta mi sembrava una serie di frammenti, ingrandimenti di particolari della natura o dell'arte, mentre questi oggetti erano completi microcosmi. Dipingendoli non li copiavo esattamente, ma componevo ogni volta un quadro, modificandone le proporzioni, aggiungendo il colore, ignorandone l'intento matematico e introducendo talvolta una forma estranea, come una farfalla o la gamba di un tavolo. Ne preparai una quindicina e intitolai la serie Shakespearean Equations, a ogni singolo dipinto diedi poi il titolo di una commedia di Shakespeare, il primo che mi passava per la mente. L'ultimo della serie, per esempio, si chiamava Tutto è bene ciò che finisce bene, e qualcuno volle vedere una relazione simbolica tra il soggetto e il titolo. Questi quadri vennero esposti in una mia personale alla Galleria Copley. Il titolo dell'elaborato catalogo, anagrammato, To Be Continued Unnoticed, fu profetico: nessun critico parlò della mia mostra, che passò inosservata anche agli occhi dei collezionisti, esclusi quei pochi che mi conoscevano di persona. Al Lewin acquistò La bisbetica domata, e i Wescher un altro quadro che avevo dipinto espressamente per loro, quasi un ripensamento, senza titolo shakespeariano".
(Man Ray, Autoritratto, Milano 1998, pp. 299-300)
L'esperienza di Man Ray con i modelli matematici non si ferma dunque alle fotografie, visto che dal 1948 al 1954 dipinse una serie di quadri, raggruppati sotto il titolo di Equazioni Shakespeariane. Aspirando a un migliore riconoscimento del suo talento pittorico, che avrebbe ottenuto effettivamente grazie a questa serie, l'artista ha poi cercato di minimizzare il ruolo dei loro antecedenti fotografici.