La professione del farmacista

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Nel Compendium aromatariorum di Saladino d'Ascoli, di metà del Trecento, si danno indicazioni etiche sulla condotta del farmacista. Deve essere istruito, per interpretare bene le ricette e la scientia medicinae. Non deve essere troppo giovane, arrogante o vanitoso, nè donnaiolo, "mulieribus deditus" (si consiglia, invece, una moglie). Deve astenersi dal gioco, dal vino, dalle feste, ed essere piuttosto "studiosus, solicitus, placabilis, & honestus, timens Deum, et conscientiam suam. Sit rectus, iustus, pius, et maxime ad pauperos... quia habet tractare de vita hominum" cioè la cosa più importante al mondo (c. 252r). Non deve speculare sul prezzo, non somministrare, nè per amore, nè per timore, nè per denaro, medicine abortive o velenose, non fare sofisticazioni, ad esempio usando il miele al posto dello zucchero. L'importanza dell'etica professionale percorre tutta la storia della farmacia, se a metà Settecento Donzelli sembra riprendere le parole di Saladino: "La Farmacia ricerca esser officiata da un Uomo sedulo, sobrio, puntuale, letterato, ed odioso dell'immondezze, ne' medicamenti, ne' vasi, e in tutta l'officina, a cui assistono queste trè principali, ed essenziali condizioni, posse, velle, & scire", potere, volere e sapere (p. 17).
Fondante e di lunga durata la distinzione tra medico e farmacista, sottolineata già da Saladino: quest'ultimo non può sostituirsi al primo nel consigliare rimedi o sostituire i farmaci prescritti.

L'affermazione del ruolo del farmacista viene esposta in un opuscolo del 1786, Alcune idee sopra la riforma della farmacia, di Salvator Mandruzzato (1758-1837), medico termalista padovano, poi docente di chimica farmaceutica. L'autore porta l'esempio della storia di Venezia. La Serenissima Repubblica riconosce l'importanza dell'arte "onde assai per tempo s'incominciò a volere che chi intendeva professare la Farmacìa, dovesse assoggettarsi ad un esame [1480, data in nota], a visitare le Spezierie [1437] per l'esame dei medicamenti, ad accordare agli Speziali d'esser separati dall'altre arti di Droghieri, Confettureri ecc. [1365] e di poter associarsi coll'erezione d'un Collegio, decorandoli di più privilegj" (p. 28). A Venezia il Collegio degli Speziali viene istituito nel 1565, mentre l'organo ufficiale di controllo dal 1258 sono i Magistrati della Giustizia Vecchia, dal 1485 i Provveditori alla Sanità, che concedono l'esercizio della farmacia, dopo esame e pratica di almeno otto anni, e fanno controlli annuali sul rispetto delle composizioni e delle tariffe, pena veder bruciati i materiali a Rialto. Altrove il Collegio dei farmacisti si era distinto prima da quello dei medici: a Padova, ad esempio, nel 1260. A fine Cinquecento Venezia fissa anche le distanze minime tra le farmacie.
Mandruzzato esorta a una riforma della farmacia in tre modi: "I mezzi adunque di promuovere questa Scienza, e di torla dall'ignoranza, e dall'inganno, possono ridursi a tre; che sono, la costruzione d'una Farmacopea ragionata; l'instituzione di buoni Maestri; l'allontanamento del Ciarlatanismo" (p. 14).
La farmacopea, cioè l'elenco ufficiale dei farmaci ammessi, contro la "farragine dei medicamenti composti" (p. 19), era un'esigenza sentita a Venezia. Altrove le prime farmacopee erano state emesse anche tre secoli prima. Mandruzzato ne abbozza la struttura: un piccolo trattato di materia medica con indicazioni sulla preparazione dei semplici, un compendio delle operazioni della recente "Teoria della Chimica", un elenco dei medicamenti dell'arte ridotto a poche e semplici preparazioni, la tavola delle affinità chimiche, per evitare interazioni dannose, l'elenco degli strumenti da lavoro e gli aggiornamenti periodici con i nuovi farmaci approvati. La nuova farmacopea del Collegio Medico di Venezia uscì quattro anni dopo gli auspici di Mandruzzato, nel 1790, ma, per ironia della sorte, era così piena di errori, che fu subito ritirata.
Il secondo strumento per la riforma della farmacia sono i buoni maestri: "Se i buoni libri bastassero a formare degli uomini dotti" sembra sospirare l'autore, "ma egli è certo... che non vi sia arte veruna, la quale apprender si possa dai soli libri senza maestro e senza esercizio" (p. 32). L'istituzione del praticantato è antica ed era prevista anche a Venezia dal 1485 prima dell'esame ufficiale.
L'ultimo strumento di riforma della farmacia, secondo Mandruzzato, è individuare le competenze specifiche per l'esercizio della professione: lo speziale si distingue dal medico, lasciandogli la competenza per la diagnosi e la prescrizione. Il farmacista deve avere, comunque, la formazione scientifica per saper leggere le prescrizioni del medico, per sventare errori. Per reciprocità, anche il medico non deve arrogarsi le competenze del farmacista, comprese quelle chimiche. Il farmacista deve anche distinguersi dal ciarlatano, in particolare i droghieri dovrebbero tenere un esercizio distinto e non dovrebbero vendere medicamenti. Per non creare confusione nei ruoli e non istigare una falsa concorrenza, il farmacista dovrà tenere un prezzo equo dei prodotti. La formazione aggiornata del farmacista richiede che sia sgombrato il campo dalle vecchie teorie, quella dei temperamenti o degli umori, o da quelle che lavoravano per superstiziose analogie, come la segnatura delle piante, che poteva curare l'organo a cui assomigliava nella forma. Il farmacista dovrà conoscere la chimica "che non da gran tempo conosciamo" (p. 12), e, per la scelta dei semplici, lo "studio di Botanica, e di Storia naturale sistematica che la Materia Medica comprende" (p. 13).

Un altro opuscolo sulla figura professionale del farmacista ha un taglio decisamente più politico: Del farmacista, dei suoi doveri e diritti di Bartolomeo Biasoletto (1793-1859). L'inizio parla chiaro: "Siccome ogni cittadino... è chiamato nel proprio ramo industriale di partecipare alla nuova organizzazione politica che si va ora attivando sulle basi costituzionali", così dovrà farlo il farmacista (p. 1). Con una visione paternalistica, il farmacista dovrà diffondere le conoscenze sostenendo il popolino ignorante, ad esempio con consigli all'agricoltore sulla composizione del terreno, o al conciapelle sugli artifici chimici utili alla sua professione, e così "contribuire all'avanzamento dell'industria e prosperità dello Stato" (p. 2). Paternalistica è anche la visione dello stato, che ha supremo diritto/dovere di tutela sui suoi membri, i quali, a loro volta contribuiscono alla prosperità generale: "Il dovere del farmacista esser deve in principalità il bene comune... ll farmacista quindi è, in stretto senso, un funzionario pubblico" (p. 5). Per questo motivo, lo stato accerterà le competenze del farmacista e gli impedirà di esercitare il servizio a fine personale di lucro. L'iter professionale dovrà comprendere lo studio, il tirocinio, l'esame pubblico, la pratica per almeno un biennio e il perfezionamento successivo per un biennio universitario, che comprenda lo studio di matematica, fisica, chimica, mineralogia, botanica, zoologia, farmacognosia, tecnologia. Per proteggere la serietà della professione, lo stato stabilisce uno stipendio adeguato, fissando una percentuale sui farmaci, definisce la distanza minima tra le farmacie e vigila sul loro esercizio. Non manca il richiamo etico: gli aspiranti farmacisti "dovrebbero essere dotati di morale integra con qualità fisiche di corpo e di spirito" (p. 8).