La tecnica farmaceutica

print this page

In farmacia la conoscenza dei semplici si associa alla competenza tecnica nella preparazione dei medicamenti. 

La scuola araba perfezionò alcune tecniche farmaceutiche. Della loro importanza è testimone anche la lingua, con alcuni termini specifici di chiara etimologia araba, come alambicco, alcool, sciroppo, elisir, collirio.
Il Liber servitoris Albucasis (Abu al-Qasim al-Zahrawi, 936 ca.-1013) è pubblicato nell'antologia veneziana del 1623 ed è il trattato di farmacia del celebre chirurgo arabo-andaluso. Sono esposte le tecniche di lavorazione dei semplici vegetali, animali e minerali, con acquisizioni proto-chimiche avanzate come la distillazione. Si descrive come confezionare oli essenziali, sciroppi, acque aromatiche, alcoliti, come preparare l'oppio dai semi di papavero.

La Scuola salernitana raccolse e portò avanti l'insegnamento arabo. Saladino Ferro d'Ascoli scrive il Compendium aromatariorum nella metà del '300: è un manuale per i farmacisti (aromatari) che raccoglie tutto il sapere dell'epoca, anch'esso pubblicato nell'antologia veneziana del 1623. L'opera è scritta in forma di domanda e risposta, quasi come un manuale per l'esame di Stato, già previsto dalle Costituzioni di Melfi del 1231, emanate da Federico II, e che regolamentano anche l'esercizio della farmacia. Si hanno scarse notizie dell'autore se non per la sua attività di medico del principe di Taranto, dichiarata nell'incipit. L'opera è divisa in 7 particulae, la prima elenca le operazioni del farmacista, le tecniche ("quod est officium aromatarium"): "terere, abluere, infundere, coquere, destillare, bene conficere, et confecta bene conservare" (c. 252r), cioè pestare, per ridurre in polvere, lavare, per imbibere le polveri in acqua, aceto o latte, mettere in infusione o macerare, cuocere, per decozione semplice, a bagno maria, nel vapore acqueo, o in sabbia o cenere o letame, distillare, comporre bene e conservare bene i composti. Seguono le principali norme etiche a cui l'aromatario deve uniformare la propria condotta ("qualis debat esse aromatarius") (si veda la sezione sulla professione del farmacista). Infine sono elencati i libri che gli occorrono ("quo libri sunt necessaria ipsis aromatariis pro arte eorum exercenda recte et cum bona conscientia"): i libri dei semplici di Avicenna e Serapione, il liber de Synonymis Simonis Ianuensis, il liber Servitoris, i libri di Mesue (compreso lo pseudo Mesue), l'Antidotarium Nicolai de Salerno, il Circa instans, Dioscoride e il Grabadin. L'antologia veneziana raccoglie la maggior parte dei libri "necessaria aromatariis". La seconda particula tratta della nomenclatura, della composizione e dell'azione dei composti ed è un elenco delle ricette dell'Antidotarium Nicolai. La terza particula tratta "dei pesi (si veda la sezione su dosi e misure); la quarta dei lavori farmaceutici; la quinta del tempo in cui vanno raccolti i vegetali; la sesta della conservazione dei medicamenti" (Conci p. 210-211) e comprende un elenco di quelle che ora diremmo le date di scadenza dei preparati, da riportare in etichetta sui contenitori. Nella settima e ultima particula si indicano gli ingredienti e i medicamenti da tenere sempre in farmacia.

Dopo Paracleso, i preparati chimici entrano a gran forza nella farmacia, con acquisizioni sempre più elaborate, che trovano un'esposizione sistematica nell'Vniuersale theatro farmaceutico di Antonio de Sgobbis, pubblicato a Venezia nel 1667. L'edizione riprodotta è quella veneziana del 1682, conservata nella Biblioteca di Storia della scienza dell'Università di Padova, nel fondo Pecile (copia digitale). Il libro, come dichiara il frontespizio, è un compendio delle tecniche farmaceutiche note all'epoca, perché è "fondato sopra le preparationi farmaceutiche scritte da' medici antichi, greci, & arabi, principalmente da Galeno, e Mesve. Appoggiato sopra le preparationi, dette spagiriche, già da gli antichi abbozzate, ma da più moderni medici illustrate ... scritte dal Beguino, Crollio, Hartmanno, Libavio, Minsicht, Paracelso, Quercetanno, Sennerto, & altri ... rappresentante e le vne, e l'altre preparationi, per fondamenti unitamente necessarii alla vera, & artificiosa methodo farmaceutica. Adornato & ampliato oltre le fabriche e compositioni medicinali, in qualsiasi forma fabbricabili, contenute ne'gli antidotarij veneti di Giorgio Melichio, aumentato da Alberto Stecchini".
Le operazioni del farmacista diventano molto più complesse di quelle esposte da Saladino d'Ascoli. De Sgobbis le distribuisce in cinque categorie: triturazione, imbibizione, estrazione, distillazione e calcinazione. Galenica e spagirica si mescolano, per dichiarazione dell'autore, perchè la storia non procede per scarti, ma per acquisizioni successive, e le due modalità hanno convissuto, ad esempio con le tecniche arabe, fino al perfezionamento moderno. Nell'opera prevale, comunque, la iatrochimica. Le sue novità riguardano principalmente l'estrazione, la distillazione e la calcinazione. L'estrazione è praticata con il liquido adatto, alcool, acqua, rugiada, aceto, idromele, siero di latte: dopo la macerazione, si estrae il liquido, per decantazione o filtrazione, e lo si concentra col calore. Specifica per i sali è l'operazione del deliquio, per ottenere l'olio di tartaro (carbonato di potassio), il percloruro e il solfato di ferro, e lavorare perle e coralli. La distillazione, già nota agli arabi, diventa una delle operazioni più importanti e si applica ad erbe, semi, miele, zucchero, legni, grassi, corna, ossi, sangue, resine, gomme, metalli, sali. Distillazioni particolari sono le operazioni, ancora in uso, di rettificazione, coobazione, sublimazione (per i sali mercuriali). La calcinazione, anch'essa già applicata dagli arabi, riduce in polvere un corpo liberandolo dall'umidità con il calore o gli acidi, ed è applicata soprattutto ai metalli.
Alle tecniche, De Sgobbis fa seguire le ricette. Speziale "allo Struzzo" a Venezia, riassume gli antidotari dei suoi predecessori nella stessa farmacia, Giorgio Melichio ed Alberto Stecchini. Non manca di celebrare il preparato per cui la farmacia veneziana era nota nel mondo: la teriaca. Le dosi e le tecniche di preparazione sono descritte minuziosamente, a volte con avvertimenti su varianti o precauzioni. Seguono le modalità di conservazione e somministrazione e infine il Giovamento, ossia l'indicazione terapeutica.
Nella conclusione l'autore si scusa perchè "Le occupationi quotidiane hanno per molti Mesi ritardata la pubblicazione di questa Opera" (p. 792) e promette almeno quattro supplementi su alcune "curiose Rarità non facilmente ritrovabili appresso qualche Farmacopeio" (ivi), cioè l'unicorno, le "mumie", le vipere e la pietra bezoar, concrezione che si forma nello stomaco dei ruminanti, allora in grande considerazione in farmacia.

Il cammino della farmacia procede verso la scienza, ma forti sono i retaggi di secoli di tradizione. La salute si dà "Herbis non verbis" (con le erbe non con le parole): così si apre Il nuouo tesoro degl'arcani farmacologici, galenici, & chimici, o spargirici, pubblicato a Venezia nel 1688 da Felice Passera (1610-1702), che fu cappuccino speziale dell'ospedale di Brescia (copia digitale vol. 1 e vol. 2). Il titolo richiama i libri dei segreti e, come questi, con un piacevole stile divulgativo, l'opera combina il sapere pratico con le innovazioni spagiriche, la tradizione superstiziosa con la sapienza antica delle innumerevoli autorità citate, in un accostamento non sistematico, condito con un continuo omaggio a Paracelso, che onora più il suo lato magico che quello (al)chemico. Ad esempio, viene riprodotta la scala arborea di Raimondo Lullo (col. 98-99).
La corrispondenza tra micro e macrocosmo, esaltata da Paracelso, si trova non solo negli influssi astrali e nella corrispondenza dei pianeti ai metalli e alle parti del corpo, illustrato in una bella tavola (col. 168-169), ma anche nell'indicazione astrologica dei tempi adatti alla raccolta delle piante medicinali o delle terapie come il "Cavar sangue" (col. 190-191). Alcune raccomandazioni ammiccanno al sapere agricolo pratico legato alle stagioni e alle lune: "Ricordati di raccogliere li tuoi pomi nel crescer della Luna... E ciò che s'è riferito di sopra da Paracelso, lo puonno testificare anco li Contadini" (col. 53). Anche la meteorologia ha un equivalente negli stati dell'uomo; in particolare nell'epilessia: come nel "Mondo Maggiore" c'è la tempesta con tutte le sue manifestazioni, così nel "Mondo Minore" c'è l'attacco epilettico, in cui ai tuoni si associa "la concussione di tutto il corpo", "quando succedono i nuvoli" "si fanno gli occhi tenebrosi", "la pioggia" è "la spuma" , eccetera (col. 39).
Questo mondo di corrispondenze e analogie è espresso anche nella segnatura delle piante: un'antica teoria secondo cui "le piante, le quali rapresentano overo gli Animali, overo le parti degli Animali, overo in altro modo hanno similitudine con qualche parte, [sono] valevoli à refolcilar ò roborar le parti, con le quali hanno simiglianza, overo giovano à scacciar li morbi, li quali vengono cagionati da questi animali" (p. 15). Un'analogia resa esplicita per volontà superiore: "Il Creatore della Natura, ci hà posto avanti li occhi nostri come in un vaghissimo Specchio la beltà della Natura, & la virtù della medesima, & delle piante... & la qualità di ciascheduna alle nostre necessità appropriata, & accomodata" (ivi). Ad esempio: "la lanugine de Pomi cottogni, che in qualche modo rapresenta li capelli: per ciò la sua decottione è efficacissima nel restituir i capelli decaduti per cagion del morbo Gallico" (col. 24). Altro esempio, cristianissimo, per cacciare i fantasmi, con "la Ruta per esser il segno della Croce impresso sopra il seme di quest'Herba" (col. 32).
Francesco Passera combina sempre più teorie: per le proprietà dei semplici medicinali ripropone le qualità tradizionali, l'azione sugli umori, e le qualità occulte. Il Tesoro è pieno di indicazioni pratiche per la preparazione, conservazione, somministrazione e dose dei rimedi. Si riassume e condensa il sapere acquisito dall'esperienza, dalla tradizione e dagli illustri predecessori, a volte affiancandone più versioni in semplice copia, senza commento critico, con la consapevolezza di essere in un momento di passaggio, se non di confusione: nell'Osservatione De principij Chimici l'autore scrive "Mà, à dir il vero, se più essattamente essaminasi la cosa, quasi non trovasi cosa sopra di cui fondar si possa certo giuditio" (col. 90).